di Andrea Casadio*
Lo aspettava – e lo meritava – da tempo, ed ora il suo sogno si è realizzato: oggi il
neuroscienziato americano Eric Kandel ha vinto il Nobel per la Medicina, insieme ai colleghi Paul
Greengard e Arvid Carlsson. “Il premio – come ci ha spiegato Kandel, che abbiamo raggiunto
telefonicamente nella sua casa newyorkese, in riva al fiume Hudson – mi è stato attribuito grazie
alle mie ricerche sulla plasticità sinaptica. In altri termini, i miei studi hanno contribuito a
chiarire i meccanismi cellulari, molecolari e genetici della memoria.”Ma cos’è la plasticità
sinaptica? “Beh, i neuroni – le cellule nervose – sono legati tra loro da speciali connessioni dette
sinapsi, attraverso le quali essi si scambiano i segnali. Queste sinapsi non sono immodificabili: i
neuroni, in determinate condizioni, hanno la capacità di modificarle. La plasticità sinaptica è per
l’appunto la capacità che i neuroni hanno di modificare le proprie sinapsi.”
Capire come si immagazzinano i ricordi. Riprendendo una teoria che il grande fisiologo spagnolo
Santiago Ramon y Cajal aveva formulato all’inizio del secolo, Kandel ipotizzò che la plasticità
sinaptica potesse cosituire il substrato per la formazione della memoria all’interno del nostro
cervello. Comprendere come vengono immagazzinati i ricordi equivale a porsi questa domanda: visto
che il
sistema nervoso è composto da neuroni connessi tra loro da sinapsi, cosa succede ai neuroni e alle
sinapsi quando un ricordo viene immagazzinato? La storia è semplice: quando apprendiamo e
memorizziamo qualcosa, il nostro cervello in qualche modo cambia. Mandiamo a memoria una nuova
poesia che prima non conoscevamo, impariamo a guidare la macchina, cosa che non sapevamo fare prima,
e queste tracce di memoria devono venire impresse da qualche parte all’interno del nostro cervello.
E le possibilità sono scarse: si modificano i neuroni, si modificano le sinapsi, oppure si
modificano entrambi. Kandel ipotizzò che la memoria fosse il risultato di sottili modificazioni
fisiche a livello della sinapsi. Nell’uomo tali modificazioni sono forse disperse tra i miliardi e
miliardi di sinapsi che compongono il nostro cervello. Il vero problema per i ricercatori era nel
fatto che le modificazioni delle sinapsi che probabilmente sono alla base della memoria potrebbero
essere troppo esigue e diffuse per essere osservate e studiate nell’uomo.
L’Aplysia californica. Qui la grande intuizione di Kandel: “Per ricercare le basi fisiche della
memoria, io decisi di studiare il ¿cervello¿ di un animale semplice come l’Aplysia”. Una soluzione
geniale, la chiave dei successi scientifici di Kandel. Egli scommise che in fondo l’uomo doveva
avere una certa somiglianza con l’Aplysia californica, un placido gasteropode, una sorta di lumaca
marina che abita le scogliere rocciose di Catalina Island, il paradiso californiano dei surfisti.
Intanto, i neuroni di questo gasteropode sono simili ai nostri (in realtà i neuroni dell’Aplysia
sono solo più grossi); poi, i segnali elettrici che le sue cellule nervose si scambiano tra loro
sono assolutamente identici a quelli che i raffinati neuroni del nostro cervello utilizzano per
comunicare tra loro.
Perché proprio l’Aplysia? in sostanza, per comprendere come funzioni la memoria due sono le
questioni fondamentali da risolvere: bisogna capire innanzitutto come e quindi dove vengano
immagazzinati i ricordi. Quanto alla risposta alla domanda dove vengono archiviati i ricordi, beh,
la risposta è relativamente facile nel caso dell’Aplysia, che possiede un
piccolo sistema nervoso composto di soli 20mila neuroni suddivisi in gangli; molto più difficile
comprendere dove vengano archiviati i ricordi nello sterminato cervello dell’uomo, che di neuroni ne
possiede 11 miliardi.
Grazie a questo approccio riduzionistico, Kandel è stato in grado di dimostare che un semplice
riflesso dell’Aplysia – il riflesso di retrazione della branchia e del sifone – può venire
modificato in due modi: per abitudine o sensibilizzazione. “L’aplysia ¿ spiega il neoNobel – respira
attraverso un organo respiratorio, la branchia, che termina in un piccolo sifone carnoso dorsale. Se
qualcuno vi soffia su un occhio, automaticamente voi socchiudete la palbebra. Alla fine
però, se lo scherzetto continua voi vi abituerete a quello stimolo fastidioso (a meno che il getto
d’aria non sia doloroso) e la palpebra non la socchiuderete più. Allo stesso modo, se un getto
d’acqua viene soffiato sul sifone dell’aplysia, l’animale ritira energicamente sia il sifone che la
branchia. Se però continuiamo a farlo, l’animale ritirerà il sifone sempre meno, si abituerà.
Abitudine e sensibilità. Ma l’abitudine non è la sola forma di apprendimento osservabile. Il
riflesso di retrazione del sifone e della branchia può anche esser sensibilizzato”. Per provocare la
sensibilizzazione del riflesso, Kandel ed i suoi colleghi applicavano una breve scossa elettrica
alla cute della testa dell’Aplysia: in seguito, anche uno stimolo tattile lieve applicato alla cute
del sifone provocava un energica e immediata retrazione del sifone medesimo e della branchia. “Io ho
provato ¿ continua Kandel – che queste due modificazioni comportamentali sono provocate dalla
modificazione
plastica della sinapsi la quale collega il neurone sensoriale che registra la stimolazione tattile
del sifone al neurone motore che comanda la retrazione della branchia. Quindi, coi miei colleghi ho
provato che una memoria aveva sede in una sinapsi.”
Non solo: Kandel fu anche in grado di dimostrare che tale memoria esisteva in due forme: una forma
transitoria, o a breve termine, ed una duratura, o a lungo termine. “Se continuavamo a stimolare con
scosse elettriche la testa dell’animale, la sensibilazzione durava per tutta la vita dell’animale:
per fare ciò era necessario che all’interno del neurone sensoriale si attivasse un gene, detto CREB,
il quale poi attivava la sintesi di proteine che modificavano in maniera altrettanto duratura la
sinapsi: in pratica il segnale era potenziato, così la retrazione della branchia aumentava e restava
così potenziata a lungo”. Altri scienziati hanno poi provato che questo stesso gene CREB, che si
potrebbe definire il gene della memoria, è coinvolto nella formazione della memoria in vari animali,
dal moscerino al topo e all’uomo.
Da Freud alle neuroscienze. Nato a Vienna nel 1920, da una famiglia ebraica, Eric Kandel si trasferì
ben presto con i suoi famigliari negli USA; qui si è laureato in medicina e si è specializzato poi
in psichiatria. Ma le teorie del suo concittadino Freud gli parevano inadeguate a comprendere il
normale funzionamento della mente: “ero convinto che anche certe attività mentali superiori come la
memoria potessero avere una base organica, fisica”. E così la scienza che Kandel contribuì a
fondare, le neuroscienze, stanno erodendo a poco a poco il terreno della psicanalisi.
“Beh, ora sono contentissimo, è una cosa magnifica – confessa Kandel, rompendo per l¿occasione il
tradizionale silenzio che richiede la festa ebraica dello Yom Kippur – E questo è avvenuto grazie
anche all’opera di tanti italiani che hanno lavorato nei miei laboratori, da Pier Giorgio Montarolo,
a Mirella Ghirardi e a te. Ma la gioia dura solo 24 ore. Poi si ritorna in laboratorio.” E così tra
pochi giorni l’energico ed elegante Kandel, agghindato con l’immancabile papillon, riceverà il Nobel
dalle mani del re di Svezia.
*Andrea Casadio è medico, specializzato in fisiologia degli organi di senso. Ha lavorato nel
laboratorio di Eric Kandel dal 1995 al 1999.
Lascia un commento