Passi dal ‘Commento alla Bhagavad Gita’ 13
di Paramahansa Yogananda
(CON IL COMMENTO DI PARAMAHANSA YOGANANDA)
(Parte tredicesima)
Verso 40°
“O Krishna, per mancanza di religione le donne della famiglia diventano corrotte. E quando – o
Varshneya – le donne sono diventate una casta corrotta, si diffonderà l’adulterio”.
Interpretazione Spirituale
“O Spirito, con il predominio della disdicevole abitudine d’indifferenza ai sensi, la percezione dei
sensi delle cose materiali sarà corrotta, e con la distruzione delle capacità dei sensi materiali saranno distrutte le loro caratteristiche individuali”.
Interpretazione Spirituale Elaborata
Qui il devoto cade in un ulteriore malinteso, e pensa che la sospensione delle percezioni dei sensi
nell’estasi li renderebbe per sempre indifferenti a tutti gli oggetti materiali, e una volta che
diventassero oziose e corrotte esse perderebbero i loro poteri individuali o le caratteristiche di
casta; poiché le forze femminili, o le percezioni di sentimento, una volta corrotte dal disuso
dimenticherebbero le loro funzioni caratteristiche e si mischierebbero con l’indifferenza,
l’indolenza e la confusione. Questo è falso, perché nella trance i sensi vengono ringiovaniti e
sviluppano le loro caratteristiche individuali, godendo molto più intensamente cose, persone, cieli e tutto con la gioia infinita di Dio.
Verso 41°
“I distruttori del clan saranno consegnati al limbo, per aver mescolato il sangue della famiglia; e
soccomberanno anche gli spiriti dei loro antenati, privati delle offerte di acqua e dolci di riso”.
Interpretazione Spirituale
“Se il clan dei sensi, trincerato nel corpo, fosse distrutto dai rampolli della saggezza, allora la
acute percezioni dei sensi diventerebbero ottuse per mancanza d’uso, e cadrebbero nell’Ade vivente
della sofferenza interiore. Quindi, gli antenati delle tendenze di saggezza, o i discendenti delle
nobili facoltà, inaridirebbero per la mancanza di forza vitale che dal cervello e dal corpo si ritirerebbe nell’Infinito”.
Interpretazione Spirituale Elaborata
Quando il devoto decide di ritirare la sua saggezza e forza vitale dai sensi per mezzo della
meditazione, teme di perdere le sue facoltà discriminative per mancanza della loro interazione coi
sensi. Egli pensa che se le facoltà di saggezza non sono utilizzate nel godimento dei sensi, e
vengono invece fatte risiedere nel santuario dell’anima, esse saranno gettate nell’Ade della
solitudine. Se le facoltà-dei-sensi maschili di desiderio, conseguimento materiale, abilità creativa
ed iniziativa per il godimento materiale venissero distrutte nella battaglia contro le facoltà
discriminative, allora le facoltà-dei-sensi femminili di attaccamento, piaceri dei sensi, illusione
e cieca schiavitù ai sensi si unirebbero con le vittoriose facoltà discriminative.
L’idea è che i negativi e femminili piaceri dei sensi sono guidati dalle positive e maschili facoltà
dei sensi. Quando i prodotti delle attività dei sensi – o i desideri dei sensi – sono distrutti, le
femminili percezioni dei sensi perdono la loro efficacia e spirito guida e diventano più negative, a causa dell’unione con le potenti tendenze discriminative.
Gli antenati delle facoltà di saggezza sono l’ego, l’anima, l’intuizione e così via; e se non
ricevessero la fonte dell’ispirazione (cibo) dalle facoltà di saggezza, essi degenererebbero. Quando
viene sviluppata la vitalità della concentrazione e della saggezza, essa ispira l’anima e
l’intuizione. L’anima ispirata rinforza a sua volta la saggezza e l’intuizione con poteri
onniveggenti, ma il devoto pensa erroneamente: “Se distruggessi le inclinazioni dei sensi, le
facoltà discriminative deperirebbero per mancanza d’azione, e quindi l’emaciata saggezza non
riuscirebbe a ispirare l’anima; e l’anima non ispirata cesserebbe di dare potere onniveggente alla saggezza umana. Così la saggezza umana degenererebbe”.
Quest’errore nasce dall’attaccamento unilaterale della mente del devoto al grado inferiore dei
piaceri dei sensi. Quando ritira le sue facoltà di saggezza dalla schiavitù dei piaceri dei sensi,
egli sente solitudine; ma, quando va più profondamente in meditazione, le sue facoltà discriminative
godono coscientemente il grado superiore di Beatitudine supercosciente, trovata nel contatto dell’anima con l’Infinito.
Ogni devoto deve ricordare che quando rinuncia ai piaceri dei sensi non si sta negando nulla, ma che
sta solo spostando i suoi gusti dagli impermanenti ed inferiori piaceri dei sensi alla permanente e
superiore felicità dell’anima. Come uno dovrebbe essere contento di rinunciare a mille dollari per
guadagnare cinquemila, similmente si dovrebbe essere felici di rinunciare ai piaceri dei sensi per
gli eterni piaceri in Dio. Lo stato divino d’emancipazione finale non è uno stato di vuota nullità,
o una condizione d’estinzione interiore, ma è il possesso di un positivo senso cosciente d’eterna e
beata espansione. Le persone materialiste trovano piacere in desideri contrastanti e rimangono a
rotolare nel fango della sofferenza. D’altro canto, le anime supercoscienti non sono attaccate agli
oggetti materiali, e non sono neppure indifferenti, come un vagabondo che è troppo pigro per fare
uno sforzo sufficiente per godere gli oggetti materiali o quelli spirituali. Il vero devoto che ha
gustato le supersottili percezioni della beatitudine dell’anima, rimane impassibile e senza brame
per i piaceri materiali anche se può muoversi tra essi. Questo è il vero e sicuro stato spirituale.
La stanza quarantuno sottolinea l’idea che nessun devoto dovrebbe nascondersi sotto il falso
ragionamento e cercare di ingannare ed intimidire la sua anima con la stupida paura di rinunciare ai
primi arrivati, tangibili ed inferiori piaceri dei sensi per conseguire la beatitudine superiore
dell’anima, ancora da acquisire. Invece di essere depresso, ogni devoto dovrebbe essere contento di
mandare al limbo i piaceri inferiori per avere in cambio gli eterni piaceri dell’anima.
Durante la meditazione, quando grazie all’autocontrollo il devoto stacca astralmente la forza vitale
dai nervi sensori, essa comincia a scorrere all’interno e viene focalizzata nel punto tra le
sopracciglia, in una luce opalescente. Questa corrente astrale interna e la luce interiore sono le
oblazioni della saggezza umana ai suoi antenati di anima, ego ed intuizione. La saggezza umana deve
offrire queste forze alle facoltà dell’anima con le oblazioni delle percezioni spirituali interiori
e della luce dell’occhio spirituale, altrimenti le facoltà dell’anima rimarrebbero addormentate, degradantemente non sviluppate.
Verso 42°
“Con queste cattive azioni dei distruttori della famiglia che producono la confusione delle caste, vengono distrutti gli antichissimi riti religiosi di casta e di stirpe”.
Interpretazione Spirituale
“Con le rinuncianti attività della saggezza distruttrice dei sensi, le specifiche tendenze dei sensi
si uniranno con le altre inclinazioni interiori, cesseranno di compiere le loro funzioni specifiche e quindi saranno distrutte da sole a causa del disuso”.
Interpretazione Spirituale Elaborata
Inoltre il devoto pensa erroneamente che le facoltà imparziali della saggezza sono le solite
distruttrici della famiglia (gruppo) dei piaceri dei sensi, e che i sensi non pilotati dalla
discriminazione andrebbero alla deriva nei mari sconosciuti della confusione. In questo modo gli
organi dei sensi perderebbero la facoltà distintiva innata in loro (cerimonie religiose di casta),
ed inoltre le stesse facoltà dei sensi verrebbero distrutte per il disuso e la mancanza
d’interazione con le facoltà interne. Il devoto immagina erroneamente che se andasse nelle regioni
più profonde dell’estasi, la sua mente diventerebbe completamente incosciente del mondo dei sensi, e
per il continuo contatto interiore potrebbe perdere le cinque sensibilità dei sensi (confusione
delle caste); ed infine, per il lungo disuso, le sue stesse facoltà dei sensi potrebbero essere
totalmente annientate. Questa paura è infondata, poiché – nell’estasi profonda della meditazione –
un vero devoto trova i suoi sensi e le loro percezioni altamente sensibilizzati dal contato dell’onnipotente ed onniveggente Dio.
Versi 43°, 44°, 45° e 46°
“E noi abbiamo appreso, o Janardana (Krishna), che gli uomini privi di riti religiosi familiari vengono inevitabilmente consegnati al limbo.
Spinti dall’avidità per i piaceri del possesso di un regno, noi siamo pronti ad uccidere i nostri parenti, azione che ci coinvolgerà in una grande iniquità.
Se i figli di Dhritarashtra, armi in mano, mi uccidessero nella battaglia senza che io opponessi resistenza e disarmato, questo sarebbe a me più gradito e benefico”.
Sanjaya disse: “Gettando l’arco e le frecce, con la mente angosciata dal dolore, sparlando in questo modo sul campo di battaglia Arjuna sedette sul sedile del suo carro”.
Interpretazione Spirituale Letterale
Queste stanze descrivono lo stato del devoto che non ha il coraggio di distruggere i vecchi
beniamini dei piaceri dei sensi per ottenere la realizzazione della felicità superiore. In questo
stato la mente usa tutti i tipi di scuse con cui dissuadere le tendenze e gli istinti spirituali
dall’annientare le familiari abitudini dei sensi. Nella stanza quarantatre, la mente incline ai
sensi dice che se le tendenze discriminative diventassero colpevoli della distruzione delle famiglie
dei sensi ci sarebbe confuso nel funzionamento dei sensi e delle qualità interiori, cosa che produrrebbe la corrosiva sofferenza continua di un autentico Dade interiore.
Interpretazione Spirituale Elaborata
Il devoto ha paura che il corpo soffrirà di deterioramento frenando i sensi, e che – controllandoli
– la mente e le sue facoltà rifiuteranno di funzionare, producendo così un ossessionante inferno di
guai interiori. In questo stato il devoto pensa che la mente, non occupata dai piaceri dei sensi,
sarà sede di una torturante vuotezza. L’autocontrollo in se stesso, nello stato negativo, produce
infelicità a causa della separazione dai sensi che danno piacere; ma dopo che l’autocontrollo
matura, l’anima comincia a fare esperienza di percezioni più sottili e beate e gode molto più di
quando viveva identificata coi piaceri dei sensi. Il devoto che soffre per paura dei risultati della
rinuncia e del sentimento di vuoto deve realizzare che la rinuncia non è fine a se stessa, ma è un
mezzo per un fine, perché insegna a spostare l’attenzione dagli inferiori piaceri dei sensi ai più profondi piaceri dell’anima.
Interpretazione Spirituale Letterale e Elaborata dei Versi 44° e 45°
Immaginate quale colpevole rincrescimento s’abbatterà sull’anima quando dovrà rinunciare ai piaceri
dei sensi che le danno gioia immediata. Questa è un’altra dolorosa paura che patisce il rinunciante
devoto al pensiero di perdere gli effettivi e tangibili piaceri dei sensi del presente per gli oscuri e sconosciuti piaceri dell’anima del futuro.
Il devoto si chiede spesso perché dovrebbe seguire austere leggi d’autocontrollo e vivere nella
vuotezza, senza il piacere disponibile ed istantaneo dato dai sensi. In questo stato egli non usa
l’immaginazione per dipingersi le durevoli gioie dell’anima difficili da ottenere. Egli pensa:
“Ecco, i piaceri dell’anima sono materia di speculazione futura e sarei sciocco a rinunciare alle
presenti gioie tangibili dei sensi. La mia vita sprofonderebbe nel peccato della continua
sofferenza, distruggendo i piaceri dei sensi datimi da Dio che attualmente sono facilmente disponibili”.
Il devoto deve realizzare che i piaceri dei sensi creano insaziabili, insoddisfacenti e brucianti
desideri di maggiore indulgenza sensuale, senza mai placare la sete interna. Il piacere dei sensi è
come bere della cicuta, che quando si beve crea più sete invece di placarla. Il piacere dell’anima,
sebbene difficile da ottenere, una volta ottenuto non può mai essere perduto, e non finisce mai nella sazietà, ma dà sempre nuovo ed interminabile piacere.
Allora il devoto, in estrema simpatia con i piaceri dei sensi, comincia a pensare: “Preferirei
essere disarmato di autocontrollo e del potere di resistere al male, e lasciare uccidere la mia
felicità spirituale dalle armi della tentazione, piuttosto che essere coinvolto nella rovinosa battaglia tra le forze discriminative e i piaceri dei sensi”.
Dopo un lungo periodo d’autodisciplina egli comincia a sentire rincrescimento per i piaceri dei
sensi abbandonati. L’autodisciplina richiede non solo la rinuncia dei piaceri dei sensi, ma anche il
loro oblio e la loro uccisione con la spada della saggezza, altrimenti la mente identificata ai
sensi comincia a sentire autocompassione e pensa: “Preferirei lasciare le armi distruttive della
saggezza e farmi distruggere dalle tentazioni, piuttosto che essere coinvolto nella battaglia
psicologica tra le forze discriminative e i piaceri dei sensi, che risulterebbe nella probabile sconfitta delle orde dei sensi”.
Il devoto è quindi insoddisfatto con lo stato della sua rinuncia e scontento a causa della lunga
separazione dai piaceri dei sensi. Quando, a questo punto, il Sé interiore spinge la mente a
distruggere perfino la gratificazione mentale o immaginaria di un piacere dei sensi,, la coscienza
umana si ribella contro tutti i modi d’autodisciplina. Ora il devoto dovrebbe rilassarsi e non
essere troppo rigido nel disciplinare la sua mente poco convinta. Questo stato dev’essere vinto
concentrandosi sulla pace nata dalla rinuncia e dall’indulgenza moderata nei sani piaceri dei sensi.
Il devoto pensa: “non mediterò più. Non userò l’arma del controllo vitale (pranayama) per
distruggere l’attrazione magnetica dei sensi. Non importa se sarò sopraffatto dagli istinti
materiali e soffrirò torture inumane, non diventerò un individuo semiparalitico e mezzo morto
rinunciando al desiderio delle cose materiali e distruggendo gli strumenti di godimento dei sensi”.
Interpretazione Spirituale Letterale e Elaborata del Verso 46°
L’introspezione rivelò: “Arjuna, o l’autocontrollo, gettando gli archi dei poteri interiori e le
frecce che perforano l’ignoranza, rimase immobile proprio nel mezzo della battaglia psicologica, seduto sul seggio del carro dell’intuizione”.
Capita spesso che, se il devoto non ha sufficiente potere d’acquietare i suoi dubbi spirituali, egli
si senta debole e getti l’arco della saggezza e tutte le frecce dell’autocontrollo che perforano
l’ignoranza. In questo stato eguali diventa pieno d’angoscia e, nello stesso tempo, s’accomoda con
indifferenza su un pezzo d’esperienza intuitiva. Molti devoti non progrediscono perché gettano via
ogni autocontrollo e i suoi dardi che scacciano l’ignoranza. Un uomo spirituale scoraggiato spesso
abbandona tutti gli sforzi d’autocontrollo, quando non ottiene realizzazioni grandiose lungo il sentiero spirituale.
Il sedile del carro rappresenta una particolare e potente percezione dei sensi, nella quale il
devoto rimane dopo un forte scontro tra le forze discriminative e le orde dei sensi. In questo stato
il devoto rifiuta di meditare, getta via tutte le regole di disciplina autoimposta e si lascia
andare alla deriva nella valle dell’indifferenza spirituale segnata da qualche occasionale
percezione intuitiva. Questo stato dev’essere corretto con la meditazione regolare e la discriminazione costante.
L’ETERNA SCELTA
Sommario del Primo Capitolo della Bhagavad Gita
In molti libri moderni l’introduzione dà un’idea del contenuto del libro, ma – diversamente dagli
scrittori moderni – gli scrittori delle sacre Scritture sanscrite generalmente riferiscono lo scopo
di un libro nel primo capitolo. Ecco perché il primo capitolo della Bhagavad Gita è realmente solo
introduzione. Il primo capitolo descrive lo stato iniziale dell’aspirante spirituale che si sforza.
Il devoto che ha imparato la tecnica di salvezza dal proprio guru, o precettore, non desidera più
rimanere attaccato alla mondanità e essere schiavo del destino nello sperimentare le dualità di
malattia, procrastinazione, illusione, pigrizia, volubilità e falsità, risultanti nel disturbo del
sentimento primario, che dà vita alle sensazioni di caldo, freddo, piacere, dolore, e a tutte le
dualità psicologiche interiori. Per liberarsi dei suddetti disturbi, il devoto deve portare sotto
controllo l’intero cosmo, stabilendo la comunione estatica con l’onnipotente, onnisciente ed incessantemente gioioso Spirito.
L’aspirante devoto deve perciò vincere la battaglia tra le tendenze discriminative e quelle dei
sensi, conoscendo le loro relative forze. Egli usa la visione imparziale della sua introspezione
(Sanjaya), e da un lato vede Krishna, o la Forza dell’Anima, con le tendenze discriminative di
calma, vitalità, autocontrollo, e le tendenze d’aderire al bene ed astenersi dal male, trincerate
nei sei sensi plessi. (L’anima del centro Cristico, tra le due sopracciglia; calma, vitalità,
autocontrollo, e i poteri d’aderire al bene ed astenersi dal male trincerati rispettivamente nei
plessi cervicale, dorsale, lombare, sacrale e coccigeo). Inoltre egli percepisce la corrente nervosa
Kundalini, che risiede nel plesso coccigeo, e i vari soldati di devozione, castità, memoria, estasi,
saggezza, non attaccamento, yama, niyama, pranayama (controllo della vitalità), interiorizzazione
della mente, concezione cosmica, ed unione con lo Spirito, schierati insieme con le forze della discriminazione.
Dall’altro lato il devoto vede le facoltà nate-dalla-mente di ignoranza, egoismo, attaccamento,
avversione, paura della morte, tendenze passate, azione e desiderio, insieme a molte altre tendenze
che impediscono la salvezza, completamente schierate nella roccaforte dei sensi e nei solchi delle cattive abitudini nel cervello.
Il devoto vede inoltre che le tendenze dei sensi, consapevoli della debolezza dei loro malvagi
soldati-tendenza, realizzano il potere superiore delle forze della discriminazione. Così, le
tendenze dei sensi vengono percepite mentre si trincerano rumorosamente nei seducenti rifugi delle
percezioni dei sensi sotto la guida dell’egoismo. Allora i sensi vibrano con entusiasmo per rincuorare l’ego incline alla materia.
Facendo seguito all’attrazione vibratoria delle tendenze dei sensi, le percezioni discriminative si
concentrano nelle trincee dei sei plessi (il centro Cristico nel punto tra le sopracciglia, il
plesso cervicale nella gola, e i plessi dorsale, lombare, sacrale e coccigeo). Allora la mente del
devoto è attirata dai musicali suoni vibratori emanati dai sei centri, come segue: il concerto
astrale dal centro Cristico, il mugghiare dell’oceano dal cervicale, il suono di gong-campana dal
dorsale, il suono di uno strumento a corda dal lombare, il suono di flauto dal sacrale e il suono simile al ronzio del calabrone dal centro coccigeo.
Queste vibrazioni spirituali, quando il devoto le ascolta attentamente e vi si concentra sopra,
mettono grande paura nel cuore delle tendenze dei sensi, che cominciano ad allentare la morsa delle loro abitudini sull’aspirante spirituale (stanze 14- 19).
Allora il devoto, per poter distruggere le tendenze mentali, risveglia la sua ardente volontà e
l’autocontrollo nel centro Cristico (nel punto tra le sopracciglia), durante la pratica dell’iniziazione superiore e della tecnica di stiramento spinale.
A questo punto il devoto è preso dal desiderio di vedere i suoi nemici, le tendenze dei sensi. Alla
luce della Coscienza Cristica interiore e dell’introspezione, il devoto è molto addolorato che i
suoi vecchi amici – le abitudini passate dei sensi, l’egoismo, l’azione e il desiderio – siano tutti schierati contro di lui per combattere i suoi soldati-tendenze spirituali.
La bocca del devoto diventa secca, il suo corpo suda, la sua spina dorsale si curva (rompendo l’arco
della meditazione), ed egli si sente estremamente angosciato al pensiero di dover combattere e distruggere i suoi desideri materiali lungamente familiari (stanze 20-30).
Egli è sorpreso di vedere che i suoi vecchi compagni delle tendenze dei sensi si oppongono ai suoi
sforzi di meditazione. E pensa erroneamente: “Neanche per l’acquisizione dell’intero cosmo voglio
rinunciare alla compagnia dei miei spiritualmente ribelli, ma dolcissimi sensi. Se le carissime
tendenze dei sensi venissero distrutte, a che servirebbe questa vita ornata di sensi e quale sarebbe
la necessità di rimanere nella vuota dimora – non occupata dai sensi – dell’attuale esistenza?
Distruggere queste care inclinazioni dei sensi non produrrebbe alcuna felicità, ma causerebbe invece
molto danno (stanze 31-36). Se distruggessi le vecchie abitudini esterne dei sensi, allora esse
s’ancorerebbero internamente su fantasie represse e causerebbero allucinazioni. Se facessi morire di
fame i sensi, la mente e l’intelligenza, senza cibo mentale cesserebbero di funzionare. Anche se la
distruzione delle tendenze dei sensi potrebbe essere buona dal punto di vista delle tendenze
discriminative, tuttavia distruggere i vecchi sensi e i loro piaceri mi sembra odioso (stanze
37-42). Oh, com’è terribile che possa perfino pensare di distruggere i miei cari sensi”.
Dopo questi pensieri il devoto diventa depresso e, abbandonando la pratica della meditazione, siede ribelle nel suo carro corporeo, rifiutando di compiere qualsiasi attività.
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