Pensare oltre l’Ovvio

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Pensare oltre l’Ovvio

di: Maurizio Tucci

“La frammentazione del pensiero è come un virus che può infettare ogni sforzo dell’uomo. Abbiamo
diviso la nostra esperienza in parti separate, l’abbiamo segmentata in parti di sapere. Piuttosto
che pensare insieme, le persone preferiscono definire il loro ambito di lavoro, la loro parte,
cercando di vincere sugli altri.
Il dialogo ci ha dimostrato che questo è un modo riduzionistico di sezionare il mondo che conduce ad
un modo fittizio di pensare. Il concetto che tutti questi frammenti esistano in modo separato è
evidentemente un’illusione che conduce ad un conflitto e ad una confusione senza fine.”

David Bohm

Cos’è una struttura? Un ponte, un orologio, una sedia, dei cani che trasportano una slitta, questi
sono alcuni esempi di strutture. Osservando un ponte o una sedia è facile riconoscere gli elementi
che li costituiscono. Ed è altrettanto facile comprendere che una struttura è qualcosa di diverso
dagli elementi che la costituiscono.

Perché riflettiamo sulla nozione di struttura? Perché – come vedrete – ci permette di chiarire la
nozione di sistema. Se v’interessa chiarire il concetto astratto di sistema verificherete che –
nell’osservazione di elementi interagenti – le due nozioni non sono coincidenti ma corrispondenti
alla visione analitica e a quella sintetica. Possiamo definire un sistema come una struttura (
visione analitica ), osservata come un’unità durevolmente caratterizzata dai propri stati, aventi
significato autonomo ( visione sintetica).

Siete consapevoli del modo n cui percepite la realtà? Nell’osservare qualcosa vi accorgete di una
vostra maggiore tendenza alla scomposizione delle parti o vi sentite più abili nell’assemblaggio
delle parti?

In termini sensoriali alcuni hanno l’innata abilità nel rappresentarsi immagini di piccoli dettagli
e qualche difficoltà nel vedere l’immagine totale. Altri vedono bene il quadro d’insieme, ma non
mettono bene a fuoco i dettagli.

D’altra parte da una prospettiva più concettuale quando riduciamo l’oggetto completo della nostra
attenzione in piccoli elementi ci stiamo servendo della nostra capacità di analisi. Attraverso
questo processo di scomposizione siamo in grado di individuare le parti, i legami strutturali e
l’organizzazione che dà la funzione e la funzionalità di queste parti. In questo modo accresciamo la
nostra conoscenza di qualcosa, ma procedendo con la scomposizione del sistema nelle sue parti, esso
perde le sue proprietà.

Quando invece assembliamo piccoli pezzi d’informazione in un insieme più ampio passiamo alla sintesi
di ciò che stiamo prendendo in esame. Attraverso questo atto di composizione siamo in grado di
osservare elementi apparentemente distinti e ricercare le relazioni organizzative e i legami
strutturali esistenti per costruire una struttura e studiare le caratteristiche unitarie. Per
comprendere il funzionamento di un sistema è utile esaminarlo come un tutto. In questo modo
accresciamo la comprensione delle cose.

I CONCETTI CON CUI VIVIAMO

Non è particolarmente ovvio rendersi conto fino a che punto nella vita quotidiana “i concetti
strutturano le nostre esperienze.”

Naturalmente se incontrate una persona immersa in una situazione problematica forse non è il momento
migliore per spiegare con aria intellettuale: “Sai, i concetti strutturano ciò che percepiamo.” E’
facile prevedere che in un caso simile la persona impantanata in fondo ad un vicolo cieco, potrebbe
non essere pienamente disponibile nel riconsiderare un nuovo punto di vista.

Guardando invece ciò che è già accaduto e riflettendo sui pensieri e sentimenti che sostenevano una
certa decisione forse è più facile accorgersi del fatto che “il nostro sistema concettuale ha un
ruolo centrale nella definizione delle nostre realtà quotidiane.”

Quali sono le metafore che strutturano la nostra percezione? E in che direzione ci conducono le
metafore che – anche a nostra insaputa – usiamo ripetutamente?

Le metafore – come le teorie – “decidono cosa dobbiamo osservare”. E attraverso una metafora
scegliamo cosa mettere in rilievo e cosa cancellare. Lakoff & Johnson offrono un esempio efficace
sulla percezione del concetto di discussione e su come un concetto metaforico struttura una nostra
attività quotidiana. L’esempio è il seguente:

“LA DISCUSSIONE E’ UNA GUERRA”.

Potreste anche non aver mai sentito queste esatte parole, tuttavia è una metafora riflessa in molte
varietà di espressioni che s’incontrano nel linguaggio corrente. Non vi sembra che un individuo che
concepisce le discussioni come “una guerra” può effettivamente credere importante vincere o perdere
quando si trova a discutere? E come viene percepito l’individuo con cui sta discutendo? Cosa può
rappresentare l’interlocutore?

“E’ un nemico”. E cosa vuole?
“Vuole farmi perdere terreno”. E quindi?
“Devo attaccare le sue posizioni e difendere le mie”. Ma perché?
“Potrebbe demolire i miei argomenti”. Come lo sai?
“So che sparerà a zero sui miei punti deboli”. Cosa ti porta a crederlo?
“So come si comporta. Ne spara una dopo l’altra e finirà col farmi fuori.”

Questo è solo un esempio di cosa vuol dire non abbandonare mai “i concetti con cui viviamo” e che i
concetti metaforici strutturano ciò che facciamo e come comprendiamo ciò che stiamo facendo – ad
esempio – all’interno di una discussione.

Ma ce ne sono altri: “IL TEMPO E’ DANARO”, “LA MENTE E’UNA MACCHINA” etc. che esercitano – a questo
punto – una niente affatto misteriosa o segreta influenza.

LA METAFORA DELLA FORESTA

Sicuramente conoscete la metafora dell’essere capaci nel “tirarsi indietro” dai dettagli quanto
basta per poter “vedere la foresta invece dei singoli alberi”.

Tuttavia sono in molti a sperimentare ciò che può accadere nel “tirarsi indietro” senza ottenere i
risultati desiderati. A volte non emerge il quadro d’insieme della situazione, ma soltanto “un gran
numero di alberi”. A quel punto un individuo si trova, in base ai propri valori e alle convinzioni,
a “scegliere” da quel gruppo uno o due alberi per – iniziare o continuare a – concentrare
l’attenzione su una betulla o su un gruppetto di pini investendo buona parte delle proprie energie
sul come cambiarli.
Anche in Azienda il problema dei dipendenti e di molti manager riguarda l’eccesso di informazioni e
non l’essere sprovvisti di nuovi dati per agire. Proprio per questa ragione in situazioni
problematiche ciò di cui c’è realmente bisogno riguarda il modo in cui distinguiamo ciò che è
importante da ciò che non lo è. E la stessa cosa accade agli insegnanti e a coloro che affrontano un
disagio all’interno delle organizzazioni.

Su quali variabili ci concentriamo? E a quali prestiamo minore attenzione? Il Pensiero Sistemico
offre un ausilio efficace per andare oltre la metafora della foresta e degli alberi osservando le
relazioni fra le parti.

Il Pensiero Sistemico è una disciplina che permette di descrivere ed indagare la struttura di un
sistema. Un sistema è un insieme che si mantiene in vita e conserva le sue funzioni complessive
attraverso l’interazione delle sue parti. Come si “comporta” un sistema? Tutti i sistemi dipendono
dalle relazioni delle parti, piuttosto che dalla natura delle parti stesse. Provate ad immaginare un
sicuro vantaggio nell’acquisizione del pensiero sistemico. Con l’adozione di un pensiero circolare
studiamo e acquisiamo conoscenza di molti sistemi diversi applicando però i medesimi principi.

Attraverso il pensiero sistemico scopriamo che le leggi fondamentali della complessità sono con ogni
probabilità universali. In tal senso andiamo oltre le caratteristiche peculiari del singolo sistema
che stiamo prendendo in considerazione. E, come dimostra l’approccio sistemico, le medesime regole
del gioco valgono per il cervello umano, per l’economia mondiale, per il DNA e per internet. In
particolare si passa ad un tipo di apprendimento nel quale i modelli mentali vengono inseriti
all’interno del circolo di retroazione. Tale apprendimento a doppio circolo è noto come
Apprendimento Generativo.

In termini semplici è un tipo di apprendimento che permette ai modelli mentali degli individui di
essere influenzati dalla retroazione. Nuovi atteggiamenti stimolano nuove strategie e consentono
l’accesso a nuove categorie di azioni e di esperienze che precedentemente non venivano prese in
considerazione.

Cosa succede quando all’interno delle organizzazioni assistiamo agli effetti dell’apprendimento
generativo? La risposta migliore a questo interrogativo è quella contenuta in alcuni esempi. Cosa
succede quando metti in dubbio un tuo assioma, una forte convinzione? E quando impari ad imparare?
Ogniqualvolta riconsideri una situazione da una nuova prospettiva, cosa succede? Spesso in casi
simili le persone cambiano la loro percezione del lavoro e mettono in atto una modifica del “DNA
lavorativo” che permetterà loro di generare nuovi comportamenti.

L’apprendimento semplice permette il miglioramento di un’organizzazione. Produce una maggiore
efficienza nel fare in ciò che faceva già in precedenza. Quando invece l’intento è di cambiare le
modalità operative o di creare nuove opportunità per l’impresa è necessario un tipo di apprendimento
generativo.

L’apprendimento generativo è un buon esempio dell’espressione del pensiero sistemico; è l’arte nel
vedere attraverso la complessità, fino alle strutture sottostanti che provocano il cambiamento.

CIO’ CHE E’ TESSUTO INSIEME

Come si è già accennato il Pensiero Sistemico propone una maniera efficace di guardare il mondo per
dominarne meglio la complessità. E’ un invito a considerare non gli elementi singoli ma l’insieme
delle parti, intese come un tutto unico, concentrandosi sulle relazioni tra gli elementi piuttosto
che sui singoli elementi presi separatamente.
All’altro capo del bastone c’è la super specializzazione. L’iperspecializzazione – come in molti
continuano a sottolineare – impedisce di vedere il quadro globale. Che fine fa il quadro d’insieme
in un approccio super specialistico? E’ un pò come se smettesse di esistere perché frammentato in
particelle. E che ne è dell’essenziale? Si dissolve.

Edgar Morin illustra i limiti della super specializzazione anche riguardo al modo di trattare
correttamente i problemi particolari che possono essere posti e pensati solo nel loro contesto.
Morin afferma che “ i problemi essenziali non sono mai parcellari e i problemi globali sono sempre
più essenziali”. E aggiunge: “Mentre la cultura generale sollecitava a contestualizzare ogni
informazione e ogni idea, la cultura scientifica e tecnica, disciplina e parcellizza, disgiunge e
compartimenta i saperi, rendendo sempre più difficile la loro contestualizzazione.
Nel contempo, il taglio delle discipline rende incapace di percepire “ciò che è tessuto insieme”,
ovvero, nel senso originale del termine, il complesso. “

La complessità può essere vista in dettaglio o in termini dinamici. Si tratta di complessità di
dettaglio quando l’insieme è composto da un ampio numero di parti differenti. La complessità assume
un carattere dinamico quando invece le connessioni possibili fra le varie parti di un sistema sono
molte e d vario tipo perché ciascuna parte a quel punto può assumere diverse caratteristiche.

FINO AL MOMENTO DELLA SCELTA

In realtà un sistema non è una struttura ma presuppone una struttura durevole che presenta un flusso
di stati nel tempo. Nell’osservare un sistema svolgiamo una tipica attività di conoscenza ed è utile
ricordare che i sistemi non “sono”, ma si “osservano”.

Cosa presuppone l’osservazione? La presenza specifica di un osservatore. Sia chiaro, dunque che un
sistema non esiste in realtà ma è definito come tale da qualche osservatore che attribuisce
significato agli stati assunti da una struttura. E di fronte alla stessa struttura osservatori
diversi possono osservare sistemi diversi, e lo stesso sistema può essere descritto in forme
differenti

Concludiamo con l’”autobiografia in cinque brevi capitoli” di Portia Nelson.

Primo capitolo

Sto camminando per strada.
Nel marciapiede c’è una buca profonda.
Ci cado dentro.
Mi sento perduto.. impotente.
Non è colpa mia.
Per trovare il modo di uscire mi ci vuole tantissimo tempo.

Secondo capitolo

Sto camminando per la medesima strada.
Nel marciapiede c’è una buca profonda
Faccio finta di non vederla.
Ancora una volta ci cado dentro.
Non posso credere di trovarmi di nuovo nella medesima situazione.
Ma non è colpa mia.
Per trovare il modo di uscire mi ci vuole ancora molto tempo.

Terzo capitolo

Sto camminando per la medesima strada.
Nel marciapiede c’è una buca profonda.
Mi accorgo che c’è.
Ci cado dentro.. sta diventando un’abitudine.. ma ora ho gli occhi aperti.
So dove sono.
E’ colpa mia.
Esco subito.

Quarto capitolo

Sto camminando per la medesima strada.
Nel marciapiede c’è una buca profonda.
Ci giro intorno.

Quinto capitolo

Scelgo un’altra strada.

da www.neurosemantica.it/

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