Perche’ bisogna essere sempre ottimisti (ma non troppo)

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Perche’ bisogna essere sempre ottimisti (ma non troppo)

Pensare positivo è una vera medicina per la salute psicofisica e aiuta perfino la risposta immunitaria ai vaccini. Ma attenzione: essere troppo ottimisti non va tanto bene. Ecco perché.

8 luglio 2023 – Elena Meli

L’ottimismo allunga letteralmente l’esistenza perché allontana anche il rischio di guai di salute come tumori, infarti, ictus. Che l’ottimismo sia dunque il vaccino più efficace (e a basso costo) che ci sia? A giudicare dai risultati degli studi che hanno indagato l’effetto dell’atteggiamento mentale sulle immunizzazioni, chi è ottimista produce per esempio il 73% di anticorpi in più dopo il vaccino per l’epatite B, stando a un’indagine dell’Università di Pittsburgh (Usa).

Lo stesso è stato verificato per l’antinfluenzale e altri vaccini al punto che Lena Brydon psicologa all’University College di Londra, dopo aver analizzato le conseguenze del pensiero positivo sulla risposta vaccinale, ha concluso che «L’ottimismo agisce come un “adiuvante” dei vaccini, potenziandone l’effetto e contrastando anche l’azione negativa dello stress, che favorisce l’infiammazione».

GLI EFFETTI SUL SISTEMA IMMUNITARIO. Questo è solo uno dei tanti modi con cui l’ottimismo innesca reazioni benefiche in corpo e mente. Come conferma Maria Catena Quattropani, docente di Psicologia clinica e direttore scientifico del Centro di Ricerca e di Intervento Psicologico dell’Università di Messina: «Gli effetti dell’atteggiamento psicologico sul sistema immunitario sono evidenti e non solo in caso di risposta a un’infezione: è stato dimostrato per esempio che nei pazienti con tumore sottoposti a chemioterapia i risultati, a parità di intervento, sono nettamente migliori negli ottimisti perché la risposta immunitaria “aiuta” la terapia a funzionare di più».

L’effetto è ancora più netto negli anziani, stando a un’ulteriore indagine di Maria Catena Quattropani: quelli portati per natura a essere disfattisti sono risultati più vulnerabili e riferiscono di avere una qualità di vita più bassa nel periodo di emergenza sanitaria appena passato. E contagiano perfino i familiari che si occupano di loro, che infatti dichiarano di sentire maggiormente il peso della cura, e di essere più stressati e infelici rispetto a familiari e assistenti con un atteggiamento positivo.

I DANNI DEL PESSIMISMO. La correlazione fra ottimismo e salute cardiovascolare è marcata: chi vede il mondo attraverso le lenti rosa «ha il doppio di probabilità di avere cuore e vasi sani rispetto ai pessimisti, anche tenendo conto  di variabili  socio-demografiche  e  del  gra­do di benessere mentale», osserva Rosalba Hernandez dell’Università di Urbana-Champaign in Illinois (Usa), che ha dimostrato come essere pessimisti comporti per esempio avere il colesterolo più alto e livelli di glicemia elevati, quindi anche un maggior pericolo di diabete.

«I pessimisti sono più sedentari, fumano di più e sono più spesso in sovrappeso», precisa Hernandez. Come se non bastasse, hanno pure una maggior probabilità di dover essere sottoposti ad angioplastiche ripetute per “riaprire” coronarie occluse e scongiurare infarti fatali, inoltre per loro è più probabile un decorso complicato dopo le operazioni chirurgiche (raddoppia, per esempio, il rischio di un nuovo ricovero dopo un intervento di bypass). Tanto che Alan Rozanski ha suggerito di «offrire un trattamento psicoterapeutico contro il pessimismo ai pazienti in riabilitazione cardiologica dopo un infarto o un’operazione di cardiochirurgia».

A UNA CERTA ETÀ. «Negli anziani una valutazione dell’ottimismo è poi utile per misurare il grado di fragilità: analizzando i tratti del carattere di un gruppo di over 65, la correlazione è emersa chiaramente», dice Quattropani. Chi non è più giovanissimo ed è “negativo” di natura insomma dovrebbe essere seguito più da vicino dai medici, anche perché rischia più di altri sotto tanti punti di vista: durante l’International Stroke Conference del 2020 sono stati presentati dati secondo cui negli ottimisti gli eventuali ictus sono meno gravi e lasciano minori disabilità residue.

Non solo: di recente Alan Rozanski, del Dipartimento di cardiologia del Mount Sinai Hospital di New York, analizzando 15 studi su circa 230mila persone è arrivato alla conclusione che gli ottimisti hanno una probabilità del 35% più bassa di andare incontro a malattie cardiovascolari, dall’infarto all’ipertensione.

VIVERE MEGLIO E DI PIÙ. Il risultato di uno sguardo cupo sul futuro, infatti, non è difficile da immaginare: la ricerca di Hernandez e lo studio di Rozanski hanno dimostrato con chiarezza che gli ottimisti vivono di più. Per la precisione, hanno in media un rischio del 14% più basso di morire anzitempo per qualsiasi causa. Invecchiano in salute e diventano più spesso arzilli vecchietti: lo sottolineano i dati pubblicati di recente da alcuni ricercatori dell’Università di Harvard che, seguendo nell’arco di 30 anni oltre 70mila persone, hanno osservato come vedere il bicchiere sempre mezzo pieno significhi campare l’11-15% più a lungo, e avere dal 50% al 70% di probabilità in più di spegnere 85 candeline e oltre.

Secondo dati raccolti dal Danish Aging Research Center dell’Università della Danimarca del Sud, proprio l’atteggiamento positivo sarebbe il miglior elisir di lunga vita: è l’ottimismo, infatti, il tratto psicologico comune a tutti i centenari.

Che credono nel futuro ma non lo sfidano: «Sono ligi alle regole di un corretto stile di vita, in genere bevono e fumano di meno; sono più sani e tendono a non esporsi ai pericoli per esempio correndo in macchina e rischiando incidenti», commenta Enrico Zanalda, presidente della Società Italiana di Psichiatria. «Non si infilano in situazioni stressanti e non vivono con ansia gli eventi problematici della vita, hanno un tono dell’umore migliore e anche invecchiando restano positivi».

SENTIRSI GIOVANI. Ecco perché gli ottimisti vivono meglio la loro età e andando in là con gli anni tendono pure a sentirsi più giovani, a tutto vantaggio del benessere generale: un sessantenne ottimista che si sente i suoi 60 anni, ma non uno di più, oltre ad avere una vita sessuale sicuramente più soddisfacente, ha la metà delle probabilità di morire negli anni successivi rispetto a un coetaneo con un’età soggettiva di 65 anni.

L’ottimismo quindi allunga la vita e ringiovanisce, ma deve essere “genuino” e non di facciata: chi si sforza letteralmente di sorridere alla vita può perfino trarne svantaggi, come dimostra una ricerca statunitense secondo cui le persone che lavorano a contatto con gli altri e fingono o amplificano emozioni positive hanno un maggior rischio di esagerare con il consumo di alcol.

MEGLIO FREQUENTARE GLI OTTIMISTI. Invece di sforzarsi a dimostrare allegria può semmai aiutare avere accanto un ottimista, come ha sottolineato di recente William Chopik, psicologo dell’Università del Michigan (Usa): un partner con un approccio fiducioso alla vita sprona anche chi è catastrofista a prendersi più cura di sé, tanto da ridurre il pericolo di deficit cognitivi. Specifica Chopik: «C’è una componente ereditaria nell’ottimismo, alcuni geni sembrano favorirlo; tuttavia conta di più l’ambiente. Anche se non si può prescrivere con la facilità di una pillola, la positività si può imparare soprattutto da chi ci vive accanto».

E prima ci si siede alla scuola di un cuorcontento meglio è, come osserva lo psichiatra Enrico Zanalda: «L’ottimismo si apprende soprattutto nei primi anni di vita, dal comportamento che i genitori hanno con noi: costruire una solida sicurezza in se stessi è il prerequisito per affrontare il mondo con positività e per farlo servono relazioni sane da piccoli. Le esperienze successive hanno un peso e possono cambiarci, ma un “imprinting” ottimista da mamma e papà è il primo passo per guardare con fiducia alla vita».

PERCHÉ TROPPO OTTIMISMO FA MALE. Anche nella positività, però, è meglio non esagerare. Altrimenti il rischio è scivolare nella sindrome di Pollyanna, dal nome dell’inguaribile ottimista del romanzo per bambini di Eleanor Hodgman Porter: “inguaribile” non a caso, perché l’ostinazione a vedere solo ciò che va bene ignorando gli inevitabili lati negativi della vita può diventare un’arma a doppio taglio.

Non riconoscere i problemi infatti rende impossibile risolverli e li fa solo peggiorare, inoltre come sottolinea Enrico Zanalda, presidente della Società Italiana di Psichiatria, «l’ottimismo a oltranza può far male alla salute: credere in un fato benigno che ci accompagna sempre diventa un modo per deresponsabilizzarsi e di conseguenza non percepire i rischi, spingendosi troppo oltre le proprie possibilità. Un atteggiamento che sconfina nell’incoscienza e che può esporre a incidenti d’auto e pericoli fra i più vari, ma che impedisce anche di cambiare uno stile di vita sbagliato o di accorgersi di una malattia. Non bisogna insomma essere euforici a prescindere, ma avere una fiducia nel futuro accompagnata dal buonsenso».

da focus.it

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