Perche’ i giorni sembrano piu’ brevi quando invecchiamo

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Perche’ i giorni sembrano piu’ brevi quando invecchiamo

Con l’età, la diversa percezione dello scorrere del tempo dipenderebbe dal cervello, che diventa più
lento nell’elaborare le immagini – La spiegazione di uno studio che ha fatto discutere.

06 APRILE 2019 | CHIARA PALMERINI focus.it

È una sensazione universale, quasi un luogo comune: crescendo, e invecchiando, il tempo sembra
fuggire via molto più in fretta di quando si è giovani. Gli anni, che ai tempi della scuola
sembravano durare un’eternità, da adulti trascorrono a una rapidità che ogni volta stupisce. Sono
state fatte molte ipotesi per spiegare questa esperienza che sembra comune a tutte le culture e
tutte le epoche. Una nuova, possibile spiegazione la propone Adrian Bejan (Duke University, Usa):
alla base ci sarebbe un fenomeno fisico preciso, l’invecchiamento del cervello e della sua capacità
di elaborare le informazioni.

FRENATE E ACCELERAZIONI. È noto che la percezione del tempo può essere influenzata anche da fattori
fisici. La temperatura, per esempio, è uno di questi. Lo psicologo Hudson Hoagland, negli anni
Trenta, fu uno dei primi a notare che con la febbre il tempo sembra trascorrere più lentamente.
Altre ricerche condotte sui sub durante le immersioni hanno mostrato un indirizzo analogo: la
percezione del tempo variava a seconda che si immergessero in acque calde o fredde.

Per quanto riguarda invece il rapporto tra età e percezione del tempo, finora sono state avanzate
soprattutto spiegazioni di tipo psicologico.

DA BAMBINI COME IN VACANZA. L’ipotesi prevalente, sostenuta anche da diverse ricerche, vuole che
questa impressione sia strettamente dipendente dal tasso di cambiamenti di cui facciamo esperienza.
Per esempio, da bambini “tutto è nuovo”, e questo sperimentare e imparare continuamente cose diverse
rende il tempo “denso” e pieno, aumentando la sensazione della sua durata.

Un po’ quello che succede in vacanza, quando la routine di tutti i giorni viene meno: con molte
nuove esperienze da registrare, poi è come se la memoria ci ingannasse, facendoci credere che il
periodo per cui abbiamo tanti ricordi debba essere durato più a lungo di quello che effettivamente è
stato. Con l’età adulta, invece, diminuisce il tasso di novità nelle esperienze che viviamo, e la
minore varietà si tradurrebbe nella sensazione che il tempo scorra più veloce.

L’OCCHIO DELLA MENTE. L’ipotesi di Adrian Bejan, docente di ingegneria meccanica, è descritta in un
articolo dal titolo molto diretto (perché i giorni sembrano più brevi quando invecchiamo) in cui
mira a fornire una spiegazione fisica di questa sensazione puramente psicologica. Secondo il
ricercatore, che ha un approccio multidisciplinare e che in lavori precedenti ha sempre applicato
concetti della fisica ad ambiti sociali e umani, il tempo di cui facciamo esperienza non rappresenta
nient’altro che i cambiamenti da noi percepiti negli stimoli mentali. In sostanza, il tempo
percepito sarebbe in stretta relazione con il numero e la frequenza delle immagini che il nostro
cervello elabora.

Fu lo psicologo russo Alfred Yarbus a introdurre negli anni Cinquanta e Sessanta il concetto di
movimenti saccadici, registrando il movimento dell’occhio durante l’osservazione di immagini
complesse.

Bejan elabora l’idea a partire dai movimenti saccadici, quelli che compiamo con gli occhi diverse
volte al secondo: sarebbero questi movimenti a dettare, anche a livello nervoso, il ritmo di ciò che
il cervello “vede”, che non è un tutto continuo ma è suddiviso come in pacchetti, unità discrete.

Nei bambini il numero dei movimenti saccadici è superiore, e quindi sono di più anche le immagini
mentali processate. Via via che si invecchia, invece, rallentano i movimenti oculari, e anche
l’elaborazione di immagini da parte del cervello. Il risultato finale – sostiene Bejan – è che,
vedendo meno nuove immagini nello stesso lasso di tempo, i più anziani hanno la sensazione che il
tempo trascorra più velocemente.

CONSIGLI FACILI PER FERMARE IL TEMPO. Ci sarebbero poi anche altri fattori fisici che contribuiscono
al fenomeno. Uno è ancora legato ai cambiamenti del sistema nervoso che avvengono con l’età: via via
che, diventando adulti, si sviluppano connessioni nervose, il cammino che le informazioni compiono
per essere elaborate dal cervello diventa più complicato. Anche questa complessità del percorso,
secondo Bejan, modifica la percezione del tempo.

E ancora, la stanchezza: influenzando (ovvero rallentando) i movimenti saccadici, contribuirebbe
alla sensazione della fuga dei giorni e delle settimane. In questo caso il ricercatore azzarda anche
qualche consiglio per mettere i freni al tempo: fare una vita sana e regolata, dormendo bene e senza
stressarsi troppo. Rallenteranno gli anni? Forse, o forse no, ma di sicuro male non fa.

www.cambridge.org/core/journals/european-review/article/why-the-days-seem-shorter-as-we-get-
older/2CB8EC9B0B30537230C7442B826E42F1

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