Perche’ il dolore sembra piu’ forte di notte?

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Perche’ il dolore sembra piu’ forte di notte?

Anche la sopportazione del dolore è regolata dai ritmi circadiani, come il sonno o la fame: di notte
è più bassa e il male avvertito è più acuto.

19 settembre 2022 | Elisabetta Intini

Perché il dolore sembra più forte di notte?

L’orario peggiore per essere svegli

Avete mai notato che quando vi fa male qualcosa, il dolore sembra più forte di notte? Medici e
scienziati lo sanno da tempo: la percezione del dolore non è sempre uguale, ma sembra fluttuare
durante il giorno. Ricerche passate hanno provato a collegare il fenomeno alla carenza di sonno, ma
senza grandi risultati. Ora uno studio pubblicato sulla rivista Brain propone un’altra spiegazione:
anche il dolore, così come l’appetito o il sonno, sembrerebbe seguire i ritmi circadiani.

SALITE E DISCESE. I ritmi circadiani sono cicli della durata di circa 24 ore in cui si ripetono
regolarmente alcuni processi fisiologici. Come sappiamo, essi sono regolati sia da una specie di
ticchettio interno presente in tutti gli organismi viventi (l’orologio biologico), sia da fattori
esterni come luce o temperatura.

Un gruppo di neuroscienziati del Centro di Ricerca di Neuroscienze di Lione, in Francia, ha
dimostrato la loro influenza sulla percezione di uno stimolo doloroso: un breve impulso troppo caldo
è stato percepito come massimamente doloroso alle tre del mattino, e minimamente doloroso alle tre
del pomeriggio. In mezzo a questi due estremi, la percezione del dolore è andata aumentando dal
pomeriggio alle prime ore del mattino, e diminuendo dalle prime ore del mattino al pomeriggio
successivo.

TORTURATI PER LA SCIENZA. Per isolare l’influenza dei ritmi circadiani da altri possibili stimoli, i
12 partecipanti allo studio sono stati sottoposti a un rigido protocollo detto “di routine
costante”: sono rimasti in una posizione semisdraiata ma senza dormire per 34 ore, con
un’illuminazione scarsa e spuntini identici ogni due ore. In queste condizioni non c’è alcun segnale
che rimandi all’ora del giorno: perciò, se i ricercatori notano un fenomeno biologico che segue un
ritmo tarato sulle 24 ore, significa che quell’andamento è regolato da un meccanismo interno e che
fa parte dei ritmi circadiani.

QUANTO MALE FA? Ogni due ore, gli scienziati hanno testato la sensibilità al dolore dei malcapitati
piazzando sulle loro braccia un dispositivo che aumentava gradualmente di temperatura, un grado alla
volta. In genere, i partecipanti chiedevano di fermarlo quando raggiungeva i 46 gradi °C. In
un’altra batteria di test, i volontari hanno sperimentato lo stimolo doloroso a temperature
specifiche (42, 44 e 46 gradi), e spiegato ai ricercatori quanto dolore provavano, come se dovessero
rappresentarlo visivamente su una scala.

Infine, i risultati sono stati tarati sulle caratteristiche individuali – è stato per esempio tenuto
conto dell’attitudine a svegliarsi presto o andare a letto tardi, dei “gufi” e delle “allodole”, ed
è stato sincronizzato il tutto in un singolo grande orologio per mettere i dati a confronto.

IL SONNO NON C’ENTRA. A questo punto è emerso un ciclo molto chiaro. La sensibilità al dolore
raggiungeva un picco tra le tre e le quattro del mattino prima di toccare il suo punto più basso 12
ore dopo. Questi ritmi costanti funzionano solo per gli stimoli dolorosi (per esempio caldo
bollente) e non per la percezione del caldo e del freddo (per esempio caldo tiepido).

Poiché i partecipanti non avevano dormito, il team ha dovuto anche escludere che l’accumulo di sonno
influenzasse il dolore percepito. Se così fosse stato, la sensibilità dei volontari avrebbe dovuto
aumentare mano a mano che cresceva l’impulso a dormire, anziché avere un andamento ritmico,
crescente e poi calante. Quindi anche questo aspetto è stato scartato: secondo gli autori dello
studio l’80% dei dati raccolti può essere spiegato dai ritmi circadiani.

IL RITMO DELLE CELLULE. Che cosa causa variazioni così costanti e precise? Un’ipotesi è che dipenda
dall’orologio molecolare presente in ogni cellula del nostro corpo, finemente sincronizzato con il
cervello: il dolore percepito potrebbe dipendere proprio dal ritmo con cui quelle cellule
individuano il dolore.

INTERVENTI MIRATI. La ricerca potrebbe aiutare a somministrare in modo più appropriato i farmaci
contro il dolore: è noto che i pazienti negli ospedali lamentano più dolore di notte, eppure di
solito gli analgesici non vengono somministrati prima del mattino seguente. Un altro aspetto
importante sarà studiare se, e come, le fluttuazioni scoperte cambino tra uomini e donne, tra
giovani e anziani e tra persone di diversa etnia. E come siano invece nelle persone affette da
malattie croniche: si sa, per esempio, che chi soffre di malattie infiammatorie come l’artrite prova
più dolore alla mattina.

bit.ly/3UqXnb5

da focus.it

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