Perché la mente divaga durante la concentrazione

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Perché la mente divaga durante la concentrazione

10 ottobre 2012

La difficoltà di mantenere focalizzata l’attenzione a lungo e in modo continuativo sembra legata al
fatto che quando ci si concentra su qualcosa diminuisce drasticamente la capacità di rilevare
cambiamenti anche vistosi nell’ambiente, capacità che viene ripristinata da piccole pause di
“distrazione”. Lo ha stabilito una ricerca che ha sviluppato una tecnica per rilevare in continuo le
fluttuazioni dell’attenzione (red)

La concentrazione ha un prezzo potenzialmente elevato, ed è il motivo per il quale circa metà del
tempo in cui siamo impegnati in un compito la nostra mente tende comunque a vagare. E’ questo il
risultato di una ricerca condotta da Marlene R. Cohen dell’Università di Pittsburgh, che firma in
proposito un articolo pubblicato su “Science”.

Studiare come le fluttuazioni di attenzione influenzino il comportamento è complesso perché è molto
difficile stabilire se un particolare errore nell’affrontare un compito è provocato da un calo di
attenzione o perché il compito supera le capacità del soggetto.

Cohen ha cercato di risolvere il problema progettando un esperimento in cui ha seguito l’attività
dell’area corticale V4 del cervello, che codifica le informazioni visive, in un gruppo di scimmie
addestrate a rilevare e ad anticipare piccole modifiche sullo schermo di un computer.

“Per misurare ciò che accade quando la mente di un soggetto vaga, abbiamo dovuto registrare
contemporaneamente l’attività di più neuroni”, ha detto Cohen. Usando una nuova tecnologia che ha
permesso di monitorare l’attività di 80 neuroni alla volta, i ricercatori sono riusciti a produrre
una “fotografia istantanea” delle informazioni disponibili a un animale in un dato momento,
individuando così il centro della sua attenzione nel corso del tempo.

I risultati hanno dimostrato che l’attenzione delle scimmie vagava, e che queste fluttuazioni
influenzavano profondamente le prestazioni degli animali. Non sorprendentemente, i momenti in cui la
loro attenzione si indirizzava a un particolare, per esempio l’orientazione di un gruppo di righe
sullo schermo, la capacità di accorgersi di variazioni anche minime nella scena miglioravano
decisamente. Tuttavia, a questo miglioramento corrispondeva un deciso calo nelle prestazioni
relative al riconoscimento di altri cambiamenti. Variazioni pure macroscopiche in altri gruppi di
righe o punti anch’essi sullo schermo passavano inosservate.

In altri termini, concentrarsi su qualcosa rischia di assorbire tutte le risorse attenzionali,
distraendole dal monitoraggio del contesto, mentre l’attimo di distrazione permette di fare
attenzione a quello che sta intorno. Questo apparente paradosso, fastidioso per uno studente alle
prese con un problema matematico, ha verosimilmente un’origine evolutiva: evitare di farsi cogliere
di sorpresa da qualche predatore mentre si è intenti a controllare qualcos’altro.

Anche il metodo messo a punto per realizzare la ricerca e riuscire a seguire gli spostamento di
attenzione delle scimmie riveste un notevole interesse, potendo essere adattato per seguire
fluttuazioni non solo dell’attenzione, ma anche di altri processi cognitivi. Un passo importante,
ha concluso Cohen, per imparare come i diversi stati mentali siano codificati nelle varie aree
cerebrali, come queste comunichino fra loro, e come siano correlati alla percezione.

www.sciencemag.org/content/338/6103/58.full

lescienze.it

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