Di Cristina Da Rold
11 dicembre 2012
Novità per chi fatica a lasciarsi cadere tra le braccia di Morfeo. La cura dellinsonnia, un
problema che in Italia colpisce circa un terzo della popolazione, in futuro potrebbe trovare un
valido aiuto nella musica. A fornire interessanti dimostrazioni in questo senso è un recente studio
compiuto da un gruppo di ricercatori del Wake Forest Baptist Medical Center di Winston-Salem,
North Carolina, pubblicato dalla rivista Brain and Behavior.
Per capire come note e armonie possono aiutarci a dormire bene occorre esplorare il funzionamento
del nostro cervello, costituito da due emisferi, destro e sinistro, che lavorano insieme come
processori paralleli. Quando un individuo subisce un trauma o uno stress importante, gli emisferi
possono manifestare uno squilibrio che, se persistente, può provocare sintomi diversi, uno dei quali
è proprio linsonnia. La ricerca compiuta dallequipe americana propone in questo senso un approccio
sperimentale tutto nuovo che mira a ristabilire lequilibrio perduto tra le frequenze del cervello,
migliorando così la qualità del sonno, grazie allutilizzo della musica.
Attraverso questa nuova tecnologia, denominata HIRREM e basata sullelettroencefalografia (EEG), le
oscillazioni delle frequenze cerebrali sono trasformate in note musicali, creando unarmonia che
viene poi rimandata al cervello, ripristinandone così lequilibrio. In altre parole, è come se il
paziente potesse ascoltare il proprio cervello attraverso una risonanza tra impulsi elettrici e
frequenze musicali rielaborate ad hoc e dal benefico effetto.
Gli esperimenti compiuti finora sembrano fornire risultati incoraggianti. Nei pazienti con un
livello di insonnia considerato medio-basso, infatti, gli scienziati hanno rilevato un significativo
miglioramento della qualità del sonno. I limiti sperimentali dellindagine, compiuta su soli 20
individui e senza considerare limportante variabile delleffetto placebo, indicano però che
ulteriori prove saranno necessarie per confermare lefficacia di questo approccio. A questo scopo,
lequipe americana sta già progettando uno studio clinico didimensioni più ampie.
Fonti:
onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/brb3.101/full
approfondimento su
goo.gl/7UTvv
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