Perche’ lasciamo i nostri dati su Facebook?

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Perche’ lasciamo i nostri dati su Facebook?

09 aprile 2018

Foto della nostra vita e di quella dei nostri figli, film preferiti, opinioni personali su qualunque
tema: perché quando siamo online non custiodiamo i nostri dati personali gelosamente quanto le
chiavi di casa? Forse perché Facebook riesce a sfruttare efficacemente tutti e sette i tipi di
gratificazione che è possibile ottenere su Internet

di Krystal D’Costa/Scientific American

Sulla scia dello scandalo Cambridge Analytica, molti utenti di Facebook stanno mettendo in dubbio la
sicurezza dei propri dati lasciati sul sito. Queste preoccupazioni sono valide ma non dovrebbero
essere nuove: quasi tutte le principali società che si occupano di vendite online negli ultimi anni
hanno subito una violazione dei dati.

Con una base attiva di oltre due miliardi di utenti, Facebook potrebbe conservare uno dei più grandi
serbatoi di dati personali, ma fa categoria a sé perché gli utenti offrono molto più delle 16 cifre
di una carta di credito: condividono l’essenza delle loro identità, ovvero foto, “like” e opinioni,
mostrano chi sono i loro amici, familiari e colleghi, e altro ancora. E quando sono combinati,
questi elementi costituiscono un prezioso profilo di un individuo.

Concediamo queste informazioni a Facebook da oltre un decennio. Perché ci siamo arresi così
volentieri, quando conserviamo così gelosamente password, numeri delle carte di credito e indirizzi
e-mail?

Un sondaggio condotto dal Pew Research Center rivela che la maggior parte degli americani online
(circa il 75 per cento) capisce i requisiti per una password sicura e sa che non deve effettuare
transazioni sensibili su WIFI pubblici; ma a parte questo, l’alfabetizzazione sulla sicurezza online
crolla notevolmente.

Per esempio, solo il 54 per cento circa degli intervistati può identificare un attacco di phishing
(il che suggerisce che metà degli adulti online clicca su link sospetti); solo il 39 per cento
comprende che la navigazione privata non è privata per il proprio provider; e solo il 10 per cento
sa identificare un esempio di autenticazione multifattoriale.

Ciò che sorprende di questi dati è che, mentre l’istruzione è un fattore predittivo di
alfabetizzazione della sicurezza online, l’età lo è meno. Gli utenti di età pari o superiore a 65
anni, a quanto pare, ne sanno quanto gli utenti nella fascia di età tra i 18 e i 29 anni; anche se è
diffuso il pregiudizio che l’alfabetizzazione online in generale sia appannaggio degli utenti più
giovani, il sondaggio Pew suggerisce che nel complesso esiste uno standard condiviso di ciò che
sappiamo e ciò che non sappiamo.

La nostra complicata relazione con Facebook è connaturata a questa confusa comprensione della
sicurezza online e di come funziona il web. Nel 2004, quando fu fondato Facebook, dapprima l’accesso
era limitato agli studenti di Harvard, poi fu aperto ad altri college, poi ulteriormente esteso agli
studenti delle scuole superiori e infine al pubblico generale. Fin dall’inizio, il requisito per
aderire al sito era la trasparenza: per iscriversi alla piattaforma, era necessario un indirizzo
email valido – agli inizi, questo voleva dire registrato presso il college che si frequentava – e
bisognava rivelare il proprio nome. La connessione con gli altri era subordinata alla rivelazione di
un aspetto fondamentale di sé, che contrastava con le aspettative online di un’esperienza mediata da
un alias in grado di garantire un certo anonimato.

Con l’allargamento graduale della cerchia d’inclusione, Facebook ha normalizzato la condivisione di
aspetti della vera identità di una persona. Condividere il nome in una comunità sociale chiusa come
un campus universitario è facile ma, via via che le persone si spostano e la loro rete offline
cresce, la scelta commerciale di aprire Facebook a tutti con la scusa di aumentare e mantenere la
connettività e la rilevanza per gli utenti ha portato gli utenti a condividere il proprio nome – e
altri aspetti di sé – con un pubblico sempre più vasto di persone e servizi.

Naturalmente, il nome di per sé non racconta l’intera storia della persona che sta dietro lo
schermo, motivo per cui è stato importante per Facebook introdurre nuove funzionalità: il News Feed
ha dato un’idea delle attività, degli aggiornamenti di stato, delle modifiche al profilo, dei
compleanni, degli articoli condivisi e delle foto dei propri amici; i tag hanno permesso di
collegare i nomi alle persone e ampliato il potenziale di collegamento con gli altri; il pulsante
“Mi piace” ha semplificato la comunicazione di opinioni e feedback; e l’integrazione con le app di
gioco e di localizzazione ha ulteriormente condiviso informazioni su interessi e movimenti.

Tutti questi piccoli scorci sulla persona sono stati rivelati così gradualmente che gli utenti hanno
fatto ben poca attenzione a ciò che stavano concedendo. Queste funzionalità erano pensate per
attirare gli utenti in base alla familiarità e al fascino della partecipazione. E questa
partecipazione ha perpetuato un circolo in cui si fornisce sempre qualcosa in più di noi stessi
online: siamo più propensi a compiere un’azione se vediamo che viene compiuta da altri che sono come
noi (o come vorremmo essere).

Questa conferma psicologica delle nostre azioni convalida il nostro senso di appartenenza. La
convalida invoca un senso di soddisfazione che attinge alle aree di ricompensa del nostro cervello,
rendendoci più propensi a tornare e ripetere le stesse azioni.

Tutti i social media offrono un ciclo di feedback basato sulla gratificazione. Ci sono sette tipi di
gratificazione legati a Internet, e Facebook riesce a sfruttarli tutti attraverso varie funzionalità
ed estensioni:

Gratificazione Esperienza su Facebook

Comunità virtuale Uno sbocco per connettersi con amici di amici (di amici) per aumentare le
connessioni

Ricerca di informazioni Scoprire le notizie più importanti, così come eventi locali ed eventi più
importanti tramite il feed di notizie e le funzionalità di ricerca degli eventi

Esperienza estetica Sperimentare nuove funzionalità interattive con l’integrazione di app e
servizi

Compenso in denaro Vendere e comprare servizi

Svago Integrazione di app di gioco (Ricordate FarmVille?)

Status personale Avere una misura del proprio successo sociale rispetto ai pari

Mantenimento delle relazioni Sviluppare e mantenere relazioni sociali

Molti si collegano a Facebook ogni giorno, alcuni ogni ora, altri ancora sono costantemente
connessi. La nostra relazione abituale con Facebook è nata dalla sua capacità di attingere a queste
aree di soddisfazione. Garantendo una ricompensa costante per la nostra partecipazione, Facebook è
diventato un meccanismo di soddisfazione quotidiana delle nostre piccole richieste di attenzione. È
un’esperienza che crediamo sia centrata sull’individuo, e conserviamo quel senso di autenticità
donando pezzi di noi stessi.

Con la campagna #deletefacebook su Twitter, gli utenti stanno cercando di capire se possono
interrompere completamente i legami con la piattaforma, come dimostrano i numerosi articoli che
istruiscono gli utenti su come limitare e gestire i loro dati e come scaricarne una copia.

Mentre ci sono articoli che spiegano come eliminare il tuo account, ce sono anche numerosi altri che
spiegano perché potrebbe non avere importanza: mentre puoi sfuggire all’app, non puoi sfuggire
completamente alla sua portata grazie al prolifico pulsante “Mi piace”. Anche se non sei un utente
attivo di Facebook, la tua stessa esistenza sul web viene tracciata e i dati vengono memorizzati da
qualche parte.

Eppure, ci sono molti utenti che potrebbero non voler mollare. Le basi che hanno gettato sulla
piattaforma contribuiscono in modo significativo alla comprensione che hanno di se stessi. E altri
che lasciano potrebbero ritrovarsi a perpetuare un circolo simile su una nuova piattaforma. Facebook
ha plasmato e continua a plasmare tanta parte della nostra esperienza online e della comprensione
che abbiamo di questa esperienza che il divorzio potrebbe essere un processo più complesso di quello
che intuiamo al momento. Potremmo non riconoscere Internet quando smetterà di riconoscerci.

(L’originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 28 marzo 2018.
Traduzione ed editing a cura di Le Scienze. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)
blogs.scientificamerican.com/anthropology-in-practice/why-did-we-give-our-data-to-facebook-i
n-the-first-place/

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