Perché meditare – Riflessioni sulla pratica del Dharma

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Perché meditare

di Corrado Pensa

(Brano tratto dalla rivista dell’A.Me.Co. SATI n°2, 2013)

Riflessioni sulla pratica del Dharma

In un famoso discorso, il Sedaka Sutta, il Buddha spiega come sia
necessario prendersi cura di sé e prendersi cura degli altri. Non
dice – dogma del moralismo occidentale contemporaneo – che l’unica
cosa importante è prendersi cura degli altri. In realtà è fondamentale
sia prendersi cura di sé, sia prendersi cura degli altri. Il prendersi
cura di sé è frutto di una certa maturità e non ha niente a che
vedere con la costante auto-preoccupazione. Senza dimenticare che, se
ci siamo rafforzati grazie al prenderci cura di noi stessi, saremo
certo più in grado di rivolgere fruttuosamente la nostra attenzione
agli altri.

Consideriamo anche che questa costante auto-preoccupazione è
un’interessante combinazione di attaccamento al benessere e
odio-avversione per il malessere. Interessante nel senso che fornisce
materiale molto importante per applicare la pratica della
consapevolezza. Infatti solo limando con molta pazienza
l’attaccamento, l’avversione e la paura, potrà finalmente dischiudersi
la regina delle virtù: l’equanimità…

– Imparare un nuovo modo di vivere –

Io credo che la liberazione sia liberarsi di tutto un modo sbagliato
di essere, pensare, sentire, agire e – al tempo stesso – imparare un
nuovo modo di vivere, via via più illuminato dalla saggezza e dalla
compassione.

Annota Simone Weil: “Dalla prima infanzia sino alla tomba qualcosa in
fondo al cuore di ogni essere umano, nonostante tutta l’esperienza di
crimini sofferti, osservati, forse compiuti, si aspetta
invincibilmente che gli venga fatto del bene e non del male . È questo
innanzitutto che è sacro in ogni essere umano, il bene è l’unica
forma del sacro.”

Solo il bene, e ciò che è relativo al bene, è sacro. E potremmo
aggiungere che quello stesso qualcosa in fondo al cuore, oltre ad
aspettarsi il bene, desidera anche fare il bene, ma ne è impedito
dagli inquinanti.

In proposito, vorrei ricordare che un famoso maestro contemporaneo,
Chögyam Trungpa, ricorreva all’espressione ‘bontà fondamentale’
(presente in ogni individuo) per formulare il suo intendimento di
quella luce interiore che nel Buddhismo Theravāda si chiama
‘mente-cuore luminosa’, nel Buddhismo Mahāyāna ‘natura del Buddha’
(variante Zen: ‘la cosa che non nasce e che non muore’). Dunque, a
mano a mano che, in virtù del cammino interiore e della pratica della
meditazione, riduciamo il potere degli inquinanti, questa bontà
fondamentale – sempre meno da essi oscurata– ha la possibilità di
manifestarsi nel desiderio, appunto, di fare il bene. E ciò vuol dire
anche disposizione ad affrontare tutti gli ostacoli che si
frapporranno al compimento di questo desiderio profondo. Aggiungiamo,
infine, che il desiderio di bene ha la sua espressione più alta nel
desiderio di liberazione per noi e per gli altri.

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