Perchè non impariamo a morire ogni giorno, in Dio?…
Tratto da:
“L’eterna ricerca dell’uomo”
– di Paramahansa Yogananda –
– Il segreto della felicità è la consapevolezza della presenza di Dio –
Apprezzare la vita va benissimo; il segreto della felicità sta nel non attaccarsi ad alcuna cosa.
Godete del profumo del fiore, ma vedete Dio in esso. Io ho conservato la coscienza dei sensi solo
perchè, usandoli, potessi sempre percepire Dio e pensare a Lui: “I miei occhi sono fatti per vedere
la Tua bellezza ovunque. Le mie orecchie sono fatte per udire la Tua onnipresente voce”. Questo è
Yoga, unione con Dio. Non è nessario andare nella foresta per trovarLo. Le abitudini terrene ci
terranno incatenati dovunque siamo, finchè non ci saremo liberati di esse. Lo yoghi impara a trovare
Dio nel recesso del proprio cuore. Dovunque vada, porterà con sè la beata coscienza della presenza
di Dio.
L’uomo non è soltanto disceso nella coscienza mortale dei sensi, ma si è legato ad anormalità di
questa coscienza sensoria, quali l’ingordigia, l’ira, la gelosia. L’uomo deve bandire tutte queste
anormalità per poter trovare Dio. Tanto gli orientali quanto gli occidentali dovrebbero liberarsi
dall’asservimento ai sensi. Un uomo comune può arrabbiarsi perchè non gli è stato portato il suo
caffè della prima colazione, ed è sicuro che questa privazione gli procurerà un mal di testa. Egli è
schiavo delle proprie abitudini. Lo yoghi evoluto è libero.
Ognuno può essere uno yoghi proprio là dove si trova adesso. Ma noi siamo inclini, invece, a
considerare strana e difficile qualsiasi cosa trascenda l’orizzonte delle nostre abitudini di vita.
E non pensiamo a come le nostre abitudini possano apparire agli altri!
La pratica dello Yoga porta alla liberazione. Alcuni yoghi portano all’estremo questo concetto del
distacco. Essi insegnano che si dovrebbe essere in grado di giacere su un letto di chiodi senza
disagio, e di applicare altre forme di tapasya, o di disciplina fisica. E’ vero che chi sia in grado
di sedere su un letto di chiodi pensando a Dio dimostra una grande forza mentale, ma tali imprese
non sono necessarie. Si può sedere su una comoda sedia e meditare su Dio altrettanto bene.
Patanjali (nota 10: principale esponente dello Yoga. L’epoca in cui visse è sconosciuta, ma molti
studiosi la pongono nel II secolo a. C.) insegna che qualunque posizione, purchè mantenga la spina
dorsale eretta, è buona per la meditazione: la concentrazione yoghica su Dio. Non è necessario
sottoporsi a contorsioni fisiche e praticare esercizi che richiedano straordinaria sopportazione ed
elasticità fisiche, come quelli raccomandati dallo Hata Yoga. La meta è Dio, e la coscienza della
Sua presenza è ciò che dobbiamo sforzarci di raggiungere. La Bhagavad Gita dice: “Colui che si
assorbe in Me, con l’anima immersa in Me, Io lo considero fra tutte le categorie di yoghi come il
più equilibrato” (nota 11: VI,47).
E’ noto che alcuni yoghi indù hanno dimostrato indifferenza verso il caldo e il freddo estremi,
verso le zanzare e altri fastidiosi insetti. Tale dimostrazione non è un requisito fondamentale per
essere uno yoghi, ma essa costituisce un naturale raggiungimento dell’adepto. Cercate di eliminare
gli elementi disturbatori, o di sopportarli, se necessario, senza venirne toccati interiormente. Se
è possibile rimanere puliti , è inutile essere sporchi. Ci si può attaccare alla vita in una capanna
come a quella vissuta in un palazzo.
Il fattore più importante nel raggiungere il successo spirituale è la buona volontà. Gesù disse: “La
messe è davvero abbondante, ma gli operai sono pochi” (nota 12: Matteo, 9,37). La gente del mondo
cerca i doni di Dio, ma chi è saggio cerca il Donatore stesso.
Essere uno yoghi significa meditare. Lo yoghi, quando si sveglia al mattino, non pensa, come prima
cosa, al cibo per il suo corpo; egli nutre la sua anima con l’ambrosia della comunione con Dio.
Colmo dell’ispirazione raccolta dalla mente che si è tuffata profondamente nella meditazione, egli è
in grado di svolgere con gioia tutti i compiti della sua giornata.
Con intenzione, Dio fece la terra qual’è; nel Suo piano è compito dell’uomo rendere il mondo
migliore. Gli Occidenali tendono ad andare agli estremi nell’essere continuamente intenti a creare
per se stessi sempre nuove e perfezionate comodità materiali. L’Oriente tende agli estremi
nell’accontentarsi di ciò che ha. C’è qualcosa di attraente in entrambi, nello spirito di
avanguardia dell’Occidente e in quello semplice e calmo dell’Oriente. Noi dobbiamo prendere
l’equilibrata via di mezzo.
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Lo yoga trasforma la teologia in esperienza pratica.
Lo yoga pone l’uomo in grado di percepire la verità in tutte le religioni. I Dieci Comandamenti
vengono predicati, con parole differenti, in ogni religione. Ma i due comandamenti massimi sono
quelli sottolineati da Gesù: “Ama il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua mente e
con tutta la tua anima”, e “Ama il prossimo tuo come te stesso” (nota 6: Matteo, 22, 37, 39).
Anche gli insegnamenti di Krishna nella Bhagavad Gita pongono l’accento su questi due comandamenti:
“Su Me fissa la tua mente, sii tu il Mio devoto, con adorazione incessante inchinati con riverenza
dinanzi a Me. Essendoti così unito a Me come il tuo più alto Traguardo, tu sarai Mio” IX, 34; e “il
tipo migliore di yoghi è colui che sente per gli altri, sia nel dolore che nel piacere, come sente
per sè stesso” VI, 32).
Amare Dio “con tutta la mente” significa ritirare l’attenzione dai sensi e darla a Dio, dare a Lui
tutta la propria concentrazione nella meditazione. Ogni ricercatore di Dio deve imparare a
concentrarsi. Una preghiera pronunciata mentre, sullo sfondo della mente, si pensa ad altre cose,
non è vera preghiera e non attira l’attenzione di Dio. Lo yoga insegna che, per trovare il Padre, è
necessario cercarLo prima con tutta la nostra mente, con concentrazione esclusiva.
Alcuni dicono che gli indù sono più adatti alla pratica dello Yoga, che lo Yoga non è fatto per gli
occidentali. Questo non è vero. Molti occidentali, attualmente, sono avvantaggiati rispetto agli
indù nella pratica dello Yoga, perchè i progressi scientifici hanno concesso agli occidentali molto
tempo libero. L’India dovrebbe utilizzare in misura sempre maggiore i metodi avanzati sulla via del
progresso materiale d’Occidente per rendere la propria vita più facile e più libera; e l’Occidente
dovrebbe prendere dall’India i pratici metodi metafisici dello Yoga, per mezzo dei quali ogni uomo
può trovare la propria strada verso Dio. Lo Yoga non è una setta, ma una scinza universalmente
applicabile, per il cui mezzo possiamo trovare il nostro Padre.
Lo Yoga è per tutti, per la gente dell’Occidente e per quella dell’Oriente. Non diremmo che il
telefono non è fatto per l’Oriente perchè è stato inventato in Occidente. Così anche i metodi Yoga,
benchè siano stati sviluppati in Oriente, non sono riservati esclusivamente all’Oriente, ma sono
utili a tutta l’umanità.
Che un uomo sia nato in India o in America, un giorno dovrà morire. Perchè dunque non imparare a
morire ogni giorno in Dio, come San Paolo? (nota 7: I Corinti, 15,31) Lo Yoga ne insegna il metodo.
L’uomo vive nel corpo come un prigioniero: quando ha finito di scontare la sua condanna, deve
sopportarne l’umiliazione di esserne buttato fuori a calci. L’amore del corpo, dunque, non è che
amore per una prigione. Abituati da lungo tempo a vivere nel corpo, abbiamo dimenticato cosa
significa essere veramente liberi. L’essere nato in Occidente non è una scusa per non cercare la
libertà. E’ essenziale per ogni uomo scoprire la propria anima e conoscere la sua natura immortale.
Lo Yoga indica la strada.
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