Perche’ parlare di Dio

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Perche’ parlare di Dio

Le Chiavi Mistiche dello Yoga

di Guido Da Todi

Capitolo 59:

Indubbiamente, esistono dei concetti che rappresentano una sorta di modello archetipo universale.

Sono molto rari, e possiedono una forza dirompente nei loro contenuti più essenziali, capaci di proiettare l’individuo che li ospita nel suo mondo soggettivo, al di là della propria sfera d’essere abituale.

Si tratta di frasi simboliche, di un uso del linguaggio che riesce a trascendere sé stesso, grazie a quanto ne causò l’espressione formale.

In India, il potere del suono e dei suoi contenuti sintetici, è gestito in quell’antica arte, detta dei mantras.

Tutto ciò che contiene, tuttavia, una leva che trasformi letteralmente la persona, e la proietti in una lunghezza d’onda evolutiva di gran lunga più intensa di ogni suo passato, appartiene ai modelli archetipi di cui parliamo.

La grandezza si lega, allora, alla semplicità.

Ad esempio, uno di questi concetti è contenuto nelle seguente affermazione: “Perchè parlare sempre Dio? Iniziamo, invece, a parlare Dio” Vi rendete conto di cosa vogliano dire queste parole?

Intanto, rappresentano un diretto collaudo delle nostre motivazioni guida esistenziali.

A che ci riferiamo, nella nostra tensione evolutiva quotidiana? Possiamo chiamare l’apice della nostra ricerca:? Oppure, cosa?

Preferiamo adoperare un metro di analisi che adoperi delle esegesi di natura diversa?

Seguiamo una ricerca di identificazione con l’universale, il cui esito sia del tutto privo di una definizione formale qualunque – visto che intendiamo trascendere ogni tipo di restrizione che ci allontani dall’idea di assoluto?

Crediamo che, alla fine del viaggio, si incontrerà un nulla-pieno intraducibile? Oppure, che la divinità, diluita in ogni cosa, e di cui ogni cosa è un aspetto, avrà, invece, una piena capacità di riscontro con la nostra essenza?

Ecco, qui, il lettore è del tutto libero di seguire il proprio talento individuale.

E, da questo punto, chi scrive esprime, allora, la sperimentazione diretta che gli è pertinente. Ma, eccoci, quindi, cadere in un altro di quei concetti archetipi, di cui si parla.
La percezione di Dio, intesa come una indicibile brezza reale, che provoca un brivido di costante rigenerazione soffusa in tutti i suoi aspetti manifesti, inizia a martellare la coscienza di colui che ha superato qualunque resistenza a proibirsene il contatto, e a dialogare con ogni sorta di filtro che egli vede frapporsi fra sè e l’Anima delle cose

Viene garantito da qualunque alto insegnamento metafisico che giunge un punto, lungo il sentiero evolutivo, durante il quale si frattura, si sfalda l’ultima pellicola che l’ego pone tra sè ed il resto delle cose.

Ricordate la magnifica descrizione indù, ove si paragona l’essere umano ad un pesce, che naviga nell’oceano? E si dice che, proprio come quello non si accorge di stare pienamente immerso nell’acqua – da cui la sua intera vita dipende – così l’individuo non si rende conto che Dio lo avvolge in ogni più intima e celata fibra, dall’origine dei tempi?

Ebbene, quando la di cui parliamo si mostra lacerata in più punti, ecco scivolare all’interno di essa – in un amalgama nel quale, come l’assoluto non mostra alcun limite, così anche l’essenza individuale diviene del tutto inafferrabile nella sua interezza – ecco scivolare in essa,

dicevamo, un che si impadronisce dell’unità, trasportandola, sempre più velocemente, in quella dimensione nota a tutte le anime liberate.

Dio ha avvolto le Sue sacre spire flessuose attorno all’uomo che ha voluto fissare fermamente lo sguardo stellare del Cobra Cosmico.

Come trasmettere questa esperienza?

Intanto, l’uomo si trova scomposto in parti soggettive sconnesse, senza più alcun valore coerente ed unitario; e questi frammenti affondano – con immensa delizia – nel corpo mistico dell’Uno.

La sensazione è talmente reale, acuta e costante da provocare il cosiddetto
quotidiano.

Quando incontrerete una simile persona, vi accorgerete che nei suoi occhi arde l’amore immenso per tutti; ma, noterete, pure che, in qualche maniera, una qualità comune la lega al mondo: un’illimitata, intensa, gioia silente. Una gioia che non è, di sicuro, paragonabile a qualunque altra beatitudine che impera nei tre piani di esistenza.

Una delle sue caratteristiche è un intimo desiderio di non ; nè, tantomeno, di opporle una all’altra.

Forme concettuali, forme che vadano a nutrire processi mentali, forme che, addirittura, vogliano definire e contenere l’Anima Universale – che gli sussurra costantemente, attimo dopo attimo, il suo ipnotico verbo rigenerante.

Quando l’uomo e la donna ancora seguono il sentiero dell’articolazione e del vibrante suono ossuto, espresso dal serpente a sonagli del pensiero analogico e concreto, essi si imprigionano nelle sbarre ritorte del definito e del compiuto.

Quest’uomo e questa donna continueranno a confrontarsi con il resto del mondo e con i propri simili, porgendo loro le proprie braccia avvolte dalle catene della dialettica pura e tagliente; catene, sovente, luccicanti e dorate. Ma, catene.

L’unico ponte su cui avverrà il raffronto tra gli esseri intellettuali – pur ricchi delle grandi abilità polemiche e di tintinnanti metafisiche competenti – sarà proprio questa fredda massa di catene.

L’uomo continuerà ad aver paura dell’uomo; a vedere le lotte tribali di un suo lontano passato, trasformate in sottili ed ostili sofismi di contrapposizione evolutiva…

E l’uomo di Dio?

L’uomo di Dio continua nel suo incredibile viaggio. Egli ha stabilito, infine, un dialogo stupefacente; verso cui si è spasmodicamente teso per vite, richiedendolo con disperazione, nel proprio intimo.

Ed il miracolo, ora, è avvenuto!

E, strano a dirsi, quando egli iniziò a trascurare ogni suono mentale, fatto di acuti e di contrappunti, di contrasti e di alleanze con il suo simile e con le idee, e con ogni tipo di struttura logica e definitiva, ecco che venne la percezione immensa ed oceanica della Presenza immanente.

Egli si era abbandonato al Ritmo originale delle cose.

Guardate un pò, quest’uomo, mentre, in pieno 2000, guida la sua auto, nel traffico delle nostre città. Una leggera, distesa espressione di serenità gli ammorbidisce il volto.

Nel suo cuore batte una Presenza che sfugge a molti. Egli si trova immerso nell’oceano dell’Uno vivente. Le sue radici attecchiscono alla Presenza Universale, con cui sta provando l’intimità cosmica che ogni uomo di Dio ha visto nascere, per tradizione, ed infinitamente crescere in lui.

Ecco, quest’uomo resisterà ad ogni esame rarefatto dei valenti analisti dello Spirito. Li renderà perplessi, poiché essi non proveranno, in sua presenza, la stanchezza di quel solito gioco , a cui sono abituati.

L’uomo di Dio ha la forza di trasmettere Dio agli altri. Egli agisce con il silenzio. E, anche quando parla, è il silenzio che scorre nel suo dialogo – spesso, sostenuto per il compromesso della vita giornaliera.

“ Lo yoghi la cui mente è assorta in Me conosce senza dubbio la felicità suprema. Grazie alla sua identità con Brahman, egli è liberato; la sua mente è serena, le sue passioni placate, ed egli è libero dal peccato (Bhagavad Gita – verso 27 –capitolo 6)”.

“Il vero yoghi vede Me in tutti gli esseri e tutti gli esseri in Me. In verità, l’anima realizzata Mi vede ovunque (Bhagavad Gita – vero 29 – capitolo 6°)”.

“L’essere che Mi vede ovunque e vede tutto in Me non è mai separato da Me, come Io non sono mai separato da lui (Bhagavad Gita – verso 30 – capitolo 6°)”.

Perchè, allora, continuiamo a parlare , e non .

Se le nostre motivazioni sono oneste e forti, Dio sta pur là, presente, nei riferimenti che facciamo a Lui, durante i nostri mille argomenti di gruppo. Non siete d’accordo? Ed, allora, non è semplicemente più logico saltare a piè pari ogni steccato dialettico, e correre ad immergerci nella Sua costante ed immediata presenza?

Ricordate il pesce e l’acqua che lo circonda?

Vi troverete anche voi in quell’acuta esperienza d’amore sacro, nella quale, forse, l’unica nota dissonante sarà il vostro desiderio di vederla replicata in tutti gli esseri; ma, nel contempo, di non possedere il potere di descriverla nel minimo modo soddisfacente.

Il sobbollire ardente che la roccia fusa ed incandescente vive, in un ruggito senza posa, nel fondo del vulcano è la più pallida e fugace descrizione di quell’Amore senza pari che l’Uno porta ad ogni sua emanazione.

E, questa, è la verità, al di fuori di ogni metafora e simbolismo. “Perchè parlare di Dio, e non con Dio?”

– LA PAURA: ULTIMO –

Dal più grande al più piccolo, dal bimbo all’adulto, dal quasi allo spiritualista medio, la paura ne ritma, nelle sue multiformi sinuosità, ogni espressione esistenziale.

Non è giunto il momento di parlarne, tra di noi?

E, però, prima, tratteggiamo un po’ la fisionomia di questo tentacolo urticante che abbiamo appena evidenziato. Riempiamo la informativa che ne delinea, sufficientemente e genericamente, le caratteristiche.

Per farlo, bisogna partire da molto lontano. Addirittura – visto che tutti noi rappresentiamo un nutrito campione di persone – dal riconoscimento della reincarnazione, quale metodo espressivo, assorbitore e conservatore per eccellenza di ogni esperienza umana.

Sarebbe fuori luogo, oggi, intendere come paura, essenziale e semplice, gli stati di paralisi generale, di terrore e di annichilimento che accompagnano delle esperienze, in verità, molto rare, nella quotidianità di ogni individuo.

No, la paura – genere – non costituisce l’argomento dell’articolo.

Di questo tipo di sensazioni specifiche la media umanità può averne sperimentate, sì e no, una decina, in tutta la sua esistenza (e, forse, esageriamo nella statistica..)

Una media umanità che non faccia, evidentemente, parte di quella frangia sociale, che vive e si manifesta nel mondo violento della delinquenza e del crimine; e dove le grandi sensazioni elementari e istintuali costituiscono la prima e nutrita leva a qualunque sua motivazione d’essere.

Noi parliamo di qualcosa che è molto più concreto e pertinente alla realtà vissuta, giorno per giorno, da ogni uomo e donna, di medio-alta cultura e spiritualità.

Esistono due aspetti di quanto è stato chiamato : lo statico e il dinamico.

Esaminiamoli.

Ognuno di noi nasce con delle spore radicali, che costituiscono il delle sue emozioni, del suo pensiero e della sua fisicità. Si tratta di tendenze, istinti, atteggiamenti ereditati dalle – così ampiamente citate, ovunque – sue vite passate.

Certi ad avanzare in alcune direzioni, piuttosto che in altre; certi a gestire un determinato tipo di esperienze, piuttosto che altre rivelano delle dinamiche precise, o dei nodi prestabiliti, che fanno parte della nostra genetica.

Insomma, ogni individuo si ritrova con le sue belle paure e con le sue doti creative, già confezionate e impaccate, ad uso e consumo degli itinerari che seguirà nella presente reincarnazione.

La moderna psicologia potrà assurgere a vette ora incomprensibili quando accetterà l’assunto che gran parte dei complessi e delle qualità dell’uomo e della donna risiedono in un loro lontano passato.

Si tratta proprio di quelle tendenze e di quelle funzioni – spesso torbide – dell’inconscio, che, in tutta evidenza, divergono dall’educazione ambientale e di nascita di chi le possiede; e che, proprio per tale contrasto, indicano le loro radici in un passato remoto, quando il singolo viveva immerso nei più diretti istinti ed egoismi evolutivi.

Una , quindi, di strutture emozionali e mentali, oltre che fisiche, posseduta già da tutti noi; e che dovremo riconoscere quale principale radice delle nostre paure.

Viene ritenuto che gran parte delle stratificazioni emozionali successive e della creazione di nuovi timori umani nasca e si sviluppi da questo di base, di antica preconfigurazione.

Era, quindi, necessario che – in una monografia sulla paura – si toccassero le sue origini più vere e sostanziali, prima di proseguire nello sviluppo ulteriore dell’argomento.

I timori dinamici.

Sono semplicemente il sobbollire di quelli antichi, nello scontro che essi hanno, in tutte le loro svariate situazioni esistenziali.

La tendenza dell’uomo e della donna è di conservare a lungo , in sè, le radiazioni che risultano dalle loro costanti esperienze, nel mondo tridimensionale.

Esse nascono – lo abbiamo visto – con una matrice motivazionale antica; e, a questa, mano a mano, aggiungono il peso dei risultati di ogni loro esperienza reincarnativa.

Ogni impatto che avranno con le decine di frammentari contesti espressivi, in cui porteranno la loro esperienza di anima, ingraviderà questa matrice di nuova forza potenziale.

Un buon potrebbe indicarvi – in questo esatto momento – quelle zone d’ombra paralizzanti, che soggiacciono al vostro personale, e mostrarvene il peso e l’importanza prioritaria che hanno, a riguardo della vostra serenità e del vostro equilibrio.

La paura statica, in effetti, addizionandosi alla paura accresce sproporzionatamente i valori delle nostre reazioni singole, di fronte ad ogni esperienza, sì da mostrare un potere che, in ultima analisi, risiede soltanto nella nostra volontà subconscia e patogena.

Potremmo, quindi, fare due flashback – o due foto distinte – delle paure, nell’individuo. Una, mentre si trova, tranquillo, al di fuori di ogni situazione aggredente. In tal caso – ed a seconda delle caratteristiche soggettive di ognuno – egli vive l’esperienza dell’; quasi serena.

Però, proviamo a sollecitargli un ricordo, una sensazione precisa, ed ecco che, dal serbatoio in equilibrio instabile del suo subconscio, si estroflettono, immediatamente, i suoi timori, e le sue angosce latenti.

Ciò che risulta prioritario, nel far leva ad ogni nostro intimo buon senso, è la consolidata realizzazione che, in effetti, questa idra invisibile, dalle mille teste sinuose – questa sommatoria di

ogni nostra precedente paura, stratificata nell’inconscio profondo – ipotizza i suoi valori su di un nulla di fatto; su esperienze passate, e che ora non esistono più!

Vi fu chi affermò – con un mirabile senso delle proporzioni:” Solamente il 99 per cento di ogni nostro timore istintivo ha dimostrato, alla fine, di possedere una sua valida ragion d’essere…Solamente il 99 per cento delle cose immaginarie temute, in effetti e per esperienza consolidata, si avvera…”

Come uscire da queste soggettive, e celate nel nostro profondo subconscio; da questa morsa invisibile; a volte, sicuramente nemica della serenità piena di ognuno di noi, ed a volte solo infastidente?

Sarebbe, a dir poco, leggero e senza alcun senso volere dare un decalogo rapido e secco, in proposito.

Noi crediamo che aver evidenziato il fenomeno delle due paure – la statica e la dinamica – ed il peso che esse hanno sulla nostra vita, sovrapponendosi comunque e sempre una all’altra, possa risultare essenziale per molti lettori.

Vogliamo solo dar cenno ad un fattore positivo delle nostre capacità subconsce. Un fattore che potrebbe mostrarsi, alla lunga, rivelatore di grandi liberazioni soggettive.

Non esiste un solo pensiero – fugace, o prolungato negli anni –la cui sopravvivenza non dipenda strettamente dall’uomo che lo abbia creato, e che lo stia mantenendo in vita.

All’interno del nostro ampio campo energetico, è possibile – all’occhio investigatore spirituale – scoprire e portare alla luce un grande numero di sue . Esse sono il nodo di volontà inconscia e personale che noi tutti creiamo, nell’originare qualunque manifestazione, concetto, espressione e pensiero nostri.

Non solo siamo i soli responsabili delle nostre paure, ma addirittura – senza rendercene conto – le amiamo, stentiamo a liberarcene, e le manteniamo costantemente in vita, reggendole , nel nostro subconscio.

Se solo percepissimo l’esatto punto del nostro mondo energetico in cui – giorno dopo giorno, notte dopo notte – la nostra volontà istintiva e inconsapevole crea la morsa che sorregge quella data paura, per la sua intera durata, e la allentassimo, all’improvviso, ebbene, all’improvviso codesta angoscia cesserebbe di esistere, e di riflettersi sui nostri stati d’animo e sull’intera nostra esistenza.

Questa è una realtà di fatto. Siamo noi, e solo noi, i creatori di ogni nostro incubo e di ogni nostra felicità.

(Guido Da Todi)

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