Perche’ parliamo da soli? E’ il nostro cervello che pensa ad alta voce

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Perche’ parliamo da soli? E’ il nostro cervello che pensa ad alta voce

A chi non capita di parlare tra sé e sé o di sorprendere qualcuno a farlo? Si tratta di un fenomeno
normale dovuto alla struttura del cervello, che pensa “ad alta voce”.

29 marzo 2023 – Raffaella Procenzano

Almeno qualche volta, a tutti è capitato di sorprendersi a parlare da soli a voce alta, magari in un
momento di stress. Alcuni lo fanno per convincere se stessi di qualcosa, altri semplicemente per
ripassare un discorso difficile che dovranno prima o poi fare a qualcuno, altri ancora per
memorizzare meglio un’informazione.

CHE COS’È IL SOLILOQUIO? Non c’è nulla di strano: il soliloquio non è altro che l’emergere
all’esterno del cosiddetto “discorso interiore”, la modalità più comune in cui prendono forma i
nostri pensieri, che spesso si esprimono appunto a parole. Nella nostra testa, il chiacchierio è
continuo: “Devo fare questo o quello?”, “Tra poco esco, prendo l’ombrello”, “Oggi vedrò Carlo, gli
porterò quella relazione di lavoro” ecc.

Già da questi esempi si capisce a che cosa serva di solito parlare tra sé e sé: a darsi istruzioni e
a ricordare meglio qualcosa. E non c’è da stupirsi se questo discorso di tanto in tanto affiora alle
labbra involontariamente e diventa udibile anche dagli altri: vuol dire soltanto che il meccanismo
cerebrale che in questi casi inibisce l’articolazione delle parole non si attiva (o si attiva solo
in parte).

Osservando con la risonanza magnetica un cervello che pensa, infatti, diversi gruppi di ricerca
hanno visto “accendersi” le aree connesse al movimento dei muscoli che ci permettono di parlare
anche se poi l’individuo che sta pensando resta silenzioso, visto che altre zone del cervello di
fatto bloccano il movimento. Ma ci sono casi in cui (nei momenti di stress, appunto) questo
meccanismo non funziona al meglio e i pensieri “escono allo scoperto” in un discorso vero e proprio.
Un fenomeno in cui le differenze individuali sono molto spiccate: c’è chi molto raramente si trova a
parlare da solo e chi lo fa praticamente ogni giorno, senza che questo dimostri nulla di anomalo.

PERCHÉ I BAMBINI PARLANO DA SOLI. Lo studio del discorso interiore, del resto, coinvolge da molti
anni diversi scienziati perché tocca temi affascinanti e in parte ancora misteriosi come la nascita
dei pensieri, il senso del sé e la natura della coscienza. Lo psicologo Lev Vygotsky, quasi un
secolo fa, fu il primo a osservare che il dialogo interiore si sviluppa insieme al linguaggio vero e
proprio: verso i 2 o 3 anni, i bambini iniziano a parlare da soli mentre giocano e poi gradualmente
smettono di farlo ad alta voce, ma ovviamente continuano per tutta la vita a dirsi le cose tra sé e
sé.

Durante questi discorsi, i piccoli, come gli adulti del resto, si danno istruzioni e si auto
incoraggiano, magari ripetendo frasi che hanno sentito dire dai genitori o dalle maestre.

CHE COSA SIGNIFICA ASCOLTARE I PIENSIERI? Ma il linguaggio interiore, perlomeno negli adulti, non è
sempre deliberato. In alcuni esperimenti di imaging cerebrale, condotti da Charles Fernyhough della
Durham University (Regno Unito) su un gruppo di volontari a cui è stato chiesto in modo casuale a
che cosa stessero pensando mentre si trovavano all’interno di un apparecchio per la risonanza
magnetica, si è visto che in alcuni casi ad “accendersi” insieme ai pensieri erano le regioni
dell’emisfero sinistro (tra cui l’area di Broca e il lobulo parietale inferiore) normalmente
connesse all’emissione del linguaggio, ma in altri si attivavano di più regioni cerebrali di solito
connesse con le percezioni uditive.

Nel primo caso i volontari hanno dichiarato che stavano deliberatamente pensando qualcosa, nel
secondo caso che stavano più che altro “ascoltando” i loro pensieri mentre la mente vagava libera
(situazione che si verifica soprattutto a riposo e che coinvolge reti neurali diverse da quelle del
discorso interiore intenzionale).

CHE COS’È IL DISCORSO INTERIORE? Il meccanismo con cui si esprime la nostra voce interna è dunque
più complesso di come aveva ipotizzato Vygotsky. Inoltre, le ricerche di Gary Oppenheim e Gary Dell,
dell’Università dell’Illinois, hanno evidenziato che a volte il discorso interiore è molto simile a
una serie di parole silenziose, mentre altre volte è molto più astratto e non ha tutte le
caratteristiche del linguaggio vero e proprio (ne perde il ritmo, per esempio). Tra l’altro, gli
studi di Fernyhough hanno dimostrato che almeno il 60% delle persone riferisce che il proprio
discorso interiore è più che altro un dialogo tra se stessi e un’altra “voce”, e non può essere
definito un monologo.

Questo perché, oltre ad avere un ruolo importante nella regolazione del comportamento (è
fondamentale per esempio nell’autocontrollo, come è stato dimostrato da alcuni ricercatori
dell’Università di Toronto), il discorso interiore serve anche a motivarsi quando si deve fare
qualcosa. Basta pensare agli atleti che spesso vengono sorpresi dalle telecamere mentre parlano tra
sé per incoraggiarsi e ripassare mentalmente i movimenti necessari alla prestazione.

PARLARE AD ALTA (O BASSA) VOCE. In questi casi si ascolta la “voce” di qualcuno che ci sta vicino
(si ripensa ai consigli di un allenatore, per esempio).

Inoltre, in qualunque forma si presenti (dialogo o monologo), la nostra voce interna sembra avere
grande importanza nel renderci consapevoli di chi siamo come individui: «Il discorso interiore ci
consente di analizzare verbalmente le nostre emozioni, motivazioni, i nostri impulsi e modelli
comportamentali, portando alla coscienza ciò che resterebbe sommerso nel subconscio», sostiene lo
psicologo Alain Morin, della Mount Royal University di Calgary (Canada), uno dei più importanti
studiosi della ruminazione interna.

Del resto tutti parlano tra sé e sé a bassa e, spesso, ad alta voce: persone sorde sono state
osservate fare lunghi soliloqui utilizzando il linguaggio dei segni. Secondo Ethan Kross, neurologo
sperimentale e fondatore del laboratorio sulle emozioni e sull’autocontrollo dell’Università del
Michigan, il discorso interiore è proprio il meccanismo che sta alla base di pratiche millenarie
come la preghiera silenziosa e la meditazione.

AUMENTARE L’ATTENZIONE E LA MEMORIA. La funzione più importante del discorso interiore, però, resta
quella di rendere più efficiente la memoria di lavoro, quella che ci permette di fare tutte le
piccole cose quotidiane. L’antropologo inglese Andrew Irving ha origliato nelle menti di oltre 100
newyorkesi per ben 14 mesi. Chiedeva all’improvviso, a persone incontrate casualmente per strada, di
incidere su un registratore che cosa stessero pensando in quel momento: ha così scoperto che molti
ripassavano le cose da fare nell’immediato, ma molti altri riflettevano su avvenimenti del passato
per poter dire a se stessi che cosa avrebbero fatto nel futuro (consolare un’amica che aveva
ricevuto una brutta notizia, per esempio).

Andare mentalmente su e giù nel tempo è dunque un altro degli scopi del nostro discorso interno. Che
quando è intenzionale, e in questi casi non è raro che affiori alle labbra, ha un ruolo fondamentale
anche nell’aumentare l’attenzione, e dunque favorisce la concentrazione nello studio e in qualsiasi
altro compito complesso.

Le ricerche di Michael Emerson all’Università del Colorado hanno in effetti dimostrato che la voce
interna è decisiva quando si deve passare da un compito mentale all’altro: in un’operazione
matematica, per esempio, è lei che dicendoci “aggiungi” quando c’è un segno + o “sottrai” quando c’è
un – consente al cervello di cambiare modalità di calcolo e quindi, in definitiva, di fare i conti
più in fretta. E aiuta anche nella risoluzione di problemi cognitivi che coinvolgono le capacità
visuo-spaziali e quelle in cui si tratta di dividere le cose in categorie: secondo gli studi dello
psicologo evoluzionista statunitense Bernard Baars, ciò accade sia che si tratti di discorso
interiore deliberato sia del vagabondaggio involontario dei pensieri.

CHE COS’È IL LOOP FONOLOGICO? La voce interiore funziona grazie a quello che viene chiamato loop
fonologico, ovvero una sorta di “orecchio interno” che ci consente di memorizzare ciò che viene
detto intorno a noi, e che è dotato di una voce (sempre interna) che ce lo fa ripetere mentalmente.
Un meccanismo velocissimo: si calcola che questo genere di pensiero proceda al ritmo di 4.000 parole
al minuto (per fare un paragone, gli speaker sportivi più bravi arrivano a 3-400).

Il loop si sviluppa durante l’infanzia, quando si parla ad alta voce con se stessi. Ecco perché le
ricerche dimostrano che ciò che dice la voce interna è di solito in sintonia con l’educazione
ricevuta. Non solo: il discorso interiore monitora ciò che stiamo facendo per raggiungere gli
obiettivi che ci siamo fissati, ovvero se stiamo studiando abbastanza per quell’esame, o se
lavoriamo abbastanza per meritare una promozione ecc.

Questo monitoraggio si presenta con pensieri improvvisi, che emergono quando meno ce l’aspettiamo e
che ci ricordano come comportarci. Una sorta di “grillo parlante”, che può perfino trasformarsi in
un nemico se non riusciamo a tenerlo a bada. Per esempio, secondo Kross, la voce interiore
interferisce con i movimenti automatici appresi e a volte porta gli atleti a fallire un obiettivo
proprio perché riflettono su ciò che stanno facendo invece di farlo e basta.

Il nostro “chiacchierone interno”, insomma, va gestito: anche perché, come hanno scoperto
Christopher Heavey e Russell Hurlburt dell’Università del Nevada, passiamo a parlare con noi stessi
circa un quarto del nostro tempo da svegli. Allora, tanto vale fare come Barak Obama, che ha
scritto: «Metto sempre a confronto le mie azioni con la mia voce interiore che, almeno per me, è
udibile, attiva, e mi dice sempre se sto muovendomi nei binari di ciò che è giusto o se sto
deragliando». E chissà se anche lui, qualche volta, ha pronunciato questi discorsi a se stesso ad
alta voce.

da focus.it

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