Perché siamo sempre stanchi? È il cervello che decide. Il ruolo dei mitocondri “spenti” e il peso reale dello stress

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Perché siamo sempre stanchi? È il cervello che decide. Il ruolo dei mitocondri “spenti” e il peso
reale dello stress

17 MARZO 2025 – GEMMA ARGENTO

Le ultime ricerche sul senso di stanchezza cronica hanno scomodato il meccanismo di enterocezione:
quel processo con cui il cervello, di momento in momento, valuta quanto e come ci stiamo adattando
al mondo

Il troppo sport, il troppo lavoro, il troppo stress. Passiamo spesso le giornate a cercare una
motivazione valida per la perenne stanchezza che avvertiamo. In molti casi il sospetto di carenze
nell’organismo ci conducono dritto nello studio del medico, che indaga, a volte con non poca fatica,
le reali motivazioni di un senso di stanchezza che stenta a scomparire. Le ultime indagini della
scienza sul tema aprono ora nuovi meccanismi di causa ed effetto che riconducono la stanchezza a
ragioni più complesse dell’eccessivo dispendio di energie.

Un problema di molti

Secondo una recente analisi dei dati provenienti da 32 paesi, ben 1 su 5 adulti sani si lamenta di
livelli di affaticamento problematici. Sentirsi stanchi tutto il tempo è uno dei motivi più comuni
per cercare assistenza medica, tanto che in gergo il sintomo ha meritato anche un acronimo TATT, che
in inglese sta per tired all the time. Per questo gli scienziati hanno scelto di indagare ancora
meglio sulle possibili ragioni dietro la stanchezza perenne: «Il fatto che così tante persone in
buone condizioni di salute si sentano così stanche non sembra avere un senso. Molti, almeno in
Occidente, hanno un facile accesso a molte più calorie di quelle di cui hanno realmente bisogno. Se
sentirsi bene fosse semplicemente una questione di calorie, energia fuori, saremmo tutti pieni di
forza e vigore», spiegano.

Cosa vuol dire avere energia?

Fino a poco tempo fa la ricerca medica aveva dato poco spazio alla determinazione di ciò che dal
punto di vista dell’organismo significhi avere energia. Un vuoto accademico che soprattutto
l’industria alimentare e del benessere ha tentato di riempire in tutti i modi tra beveroni
energetici, integratori e snack proteici, mettendo in piedi un giro d’affari milionario. Ora gli
studiosi stanno dando una nuova visione su ciò che significa sentirsi energici: la ricerca sta
rivelando che il modo in cui percepiamo lo stato di stanchezza dipende in gran parte dalla
valutazione del cervello su quanta energia in quel preciso momento sia disponibile per le nostre
cellule. La sensazione di affaticarsi e di correre a vuoti dipende quindi non sempre dal reale
apporto energetico a disposizione del nostro corpo in quel momento.

L’enterocezione: che cos’è e cosa c’entra con la stanchezza?

Si chiama enterocezione il modo in cui il nostro cervello interpreta i segnali che arrivano
dall’interno del corpo. Un po’ come una specie di nostro sesto senso, è la capacità di rivelare i
cambiamenti corporei: dal battito cardiaco al cambiamento delle concentrazioni di alcuni ormoni nel
sangue, fino all’espressione psicologica di sentimenti ed emozioni. Integrate al cervello, queste
sensazioni corporee arrivano nel nostro stato mentale e di comportamento, conquistando una notevole
voce in capitolo su pensieri ed emozioni.

Tra le più importanti caratteristiche dell’enterocezione c’è la capacità di avverarsi in maniera del
tutto inconsapevole rispetto alla nostra percezione. «La ragione per cui generalmente non siamo
cognitivi di questo sistema di mantenimento della vita è perché i messaggi inintercettivi sono al di
sotto del radar della consapevolezza cosciente per la maggior parte del tempo», spiega Hugo
Critchley, neuroscienziato presso l’Università del Sussex, Regno Unito.

Eppure, anche quando vengono rilevati a livello inconscio, i segnali avvertiti possono influenzare
il modo in cui pensiamo, sentiamo e ci comportiamo.

Le ultime ricerche sul senso di stanchezza cronica hanno scomodato proprio il meccanismo di
enterocezione, e quel processo con cui il cervello, di momento in momento, valuta quanto e come ci
stiamo adattando al mondo. Nel costante dialogo corpo-cervello si tratta quindi di capire da dove
proviene il segnale per risparmiare energia. A questo fine sarà allora fondamentale prendere in
considerazione l’attività dei mitocondri, le centrali energetiche dell’organismo. Al loro interno
avvengono quei processi biochimici, come la respirazione mitocondriale, che forniscono alle cellule
l’energia di cui hanno bisogno per tutte le loro funzioni vitali. Quando i mitocondri non lavorano
in modo efficiente, le persone si sentono letargiche e stanche.

La stanchezza perenne è dunque sempre colpa di mitocondri “spenti”?

La più grande perdita di energia mitocondriale registrata dagli scienziati si verifica proprio in
caso di eccessivo “carburante” per l’organismo. L’energia solitamente viene rilasciata gradualmente
nei mitocondri, in una serie di piccoli passaggi biochimici che non possono essere affrettati e
devono accadere in un certo ordine per evitare di causare un blocco metabolico. Nel caso arrivi
troppo carburante e nello stesso momento, i mitocondri avranno bisogno di prendersi una pausa dal
rilasciare energia, in modo che le cellule poi siano in grado di concentrarsi sulla quantità in
eccesso. Questo meccanismo ci lascia, almeno a breve termine, con più senso di stanchezza e
lentezza, che non corrisponderà a un’effettiva scarsità di forze. Il processo di enterocezione, e
quindi l’avvertimento di questo processo da parte del cervello, ci porterà a un senso di fiacchezza
e di minore capacità percepita delle nostre cellule di produrre energia. Per questa stessa ragione i
regimi alimentari ad alto contenuto di zuccheri sono particolarmente problematici, favoriscono
infatti l’inefficienza dei mitocondri e rendono le persone più pigre e lunatiche, piuttosto che più
energiche.

Lo stesso meccanismo accade con lo stress

Poi c’è lo stress, fisico ed emotivo: secondo uno studio di Martin Picard della Columbia University
di New York e del suo gruppo di lavoro, lo stress aumenta del 60% la velocità con cui le cellule
bruciano energia. Questo è in parte dovuto al fatto che i mitocondri, che producono anche cortisolo,
ormone dello stress capace di inviare come una specie di segnale di autorizzazione che avverte: il
corpo non ha energia necessaria per affrontare una sfida in arrivo.

Lo stress non è solo un drenante e quindi un indebolitore dei mitocondri, ma anche un elemento
centrale nel famoso dialogo tra corpo e cervello. Lisa Feldman Barrett, neuroscienziata della
Northeastern University in Massachusetts spiega: «L ‘idea è che il cervello funzioni generando una
“migliore ipotesi” su ciò che sta accadendo nel corpo, adattandosi se necessario sulla base di
informazioni sensoriali in arrivo. Quando la previsione e le prove non corrispondono, il segnale
“error” risultante viene vissuto come una sensazione, che sia buona, cattiva, piena di energia o di
senso di stanchezza».

La percezione della fatica non segue l’effettivo apporto energetico del corpo

È importante sottolineare quindi che la valutazione del cervello sullo stato del nostro organismo
quindi potrebbe spiegare perché è perfettamente possibile dormire bene e sentirsi ancora esausto al
pensiero di una lunga giornata di riunioni avanti. E ancora, è in grado di rivelare anche perché una
buona notizia inaspettata può tradursi in una spinta energetica istantanea: anche in questo caso, lo
stato energetico del corpo non è cambiato, ma la previsione del cervello sulla forza con cui poter
lavorare ha trasformato la situazione.

Ecco perché anche soltanto invecchiare ci fa percepire esausti

Il fatto che ci siano così tanti input nella valutazione dell’energia corpo-cervello (alcuni fisici,
alcuni psicologici e molti che operano inconsciamente), rende difficile la misurazione oggettiva di
una condizione di stanchezza o di forza. Nonostante questo esistono diversi biomarcatori candidati
che possono indicare le sensazioni oggettive di vitalità o stanchezza. Uno fra tutti la crescita di
GDF 15, una molecola che le cellule rilasciano quando sono sotto stress. Secondo Stephen O’Rahilly
dell’Università di Cambridge, in risposta a infezioni, lesioni e stress psicosociale, GDF15 sembra
funzionare come un segnale di soccorso per informare il cervello che ha bisogno di risparmiare
energia.

Un’altra linea di prove mostra che GDF15 potrebbe anche spiegare perché anche soltanto invecchiare
sembra renderci più stanchi. GDF15 è un indicatore affidabile dell’invecchiamento, con livelli nel
sangue che aumentano fino al 25% con il passare di ogni decennio. Picard sospetta che anche questo
sia frutto dell’interocezione, della valutazione psicologica del nostro bilancio energetico. In un
recente articolo, sostiene che molti dei sintomi dell’invecchiamento, tra cui l’affaticamento, sono
dovuti a cellule che accumulano danni e lottano per tenere il passo con i costi energetici delle
riparazioni.

Mentre quindi si accumulano i detriti, le cellule inviano segnali di soccorso al cervello che
risponde risparmiando energia laddove possibile. «GDF15 a quel punto suggerisce al nostro cervello
di dover tagliare i costi, ridurre i muscoli, suggerisce di essere un po’ meno entusiasti,
ingrigirsi i capelli», spiega Picard. «Tutte queste cose sono modi per risparmiare energia».

Lo studio di Picard si è concentrato infine sulle relazioni tra stress e capelli grigi. I periodi di
particolare pressione potrebbero essere collegati al dialogo corpo-cervello che devia
temporaneamente l’energia che normalmente spenderebbe sul pigmento dei capelli a qualcosa di più
importante. Una volta passato lo stress, esistono possibilità che il colore ritorni. «Naturalmente,
questo non significa necessariamente che il grigio sia opzionale, ad un certo punto, le sfide
dell’invecchiamento probabilmente lo rendono inevitabile per coloro che hanno la fortuna di vivere
così a lungo. Ma suggerisce che il tasso di invecchiamento può essere più malleabile di quanto
pensiamo».

Come agire sulla percezione della fatica (e sentirsi meno stanchi)

Alla luce delle nuove intuizioni della scienza, le scelte e le abitudini quotidiane possono avere un
ruolo nel modo di percepire vitalità o fiacchezza. Una delle pratiche è quella che Elissa Epel
dell’Università della California, San Francisco, definisce «profondo riposo». Epel suggerisce che
pratiche come meditazione e preghiera sono in grado di migliorare il benessere e di calmare la mente
riducendo il bisogno percepito di accovacciarsi e risparmiare energia.

Anche la dieta e l’esercizio fisico svolgono un ruolo importante nel nostro budget energetico. Gli
snack zuccherati hanno dimostrato di far danni all’umore e ai livelli di energia, così come spiegato
nel caso dei mitocondri. Mentre brevi periodi di attività fisica sono in grado di provocare il
contrario. L’esercizio fisico in particolare costringe il corpo ad aumentare la produzione di
energia cancellando i mitocondri inefficienti e sostituendoli con quelli freschi che funzionano
meglio. «Non dimentichiamo infine che le persone che ci circondano influiscono sui livelli di
energia in un senso molto reale. Non importa quanto tu abbia nel tuo piatto, se di tanto in tanto
non rispetti una corretta alimentazione o non segui il piano di attività fisica, è bene sapere che i
nostri corpi e cervelli sono cablati in modo che, nella giusta compagnia, si trovi abbastanza
energia per vivere la giornata».

www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0306453023003001

www.nature.com/articles/s43587-024-00716-x

pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC11003855/

da open.online

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