Se una canzone vi “tormenta” non è solo questione di cantanti e musicisti preferiti ma di dinamiche
psicologiche che sono state decifrate. Eccole.
7 febbraio 2023 – Elisa Venco
Sarà capitato anche a voi di avere una musica in testa. Magari è una canzone ascoltata la sera
prima, e una sola volta, al Festival di Sanremo, oppure è una hit trasmessa in radio in
continuazione: si conficca in testa come un tarlo e da lì si fa (ri)sentire con una certa frequenza.
È l’effetto di un earworm (letteralmente: verme dell’orecchio), detto anche Mir (Musical imagery
repetition: ripetizione di immagini musicali): un motivo che ci torna in mente indipendentemente
dalla nostra volontà.
UNA CANZONE PER LA TESTA. Secondo le statistiche, oltre il 90% delle persone è preda di un tarlo
sonoro almeno una volta la settimana, per 15-30 secondi. Capita alle donne più che agli uomini: meno
agli anziani che ai giovani; in misura maggiore alle persone ossessivo-compulsive e, secondo alcuni
studi, di più ai mancini. Ma solo nel circa 15% dei casi il fenomeno diventa particolarmente
invadente. Per quanto un tratto tipico di tutti gli earworm sia la loro struttura ripetiviva, «a
restare impressi, in genere, sono i frammenti di un brano, non un intero pezzo», spiega Elizabeth
Hellmuth Margulis, a capo del Music Cognition Lab dell’Università di Princeton. Le canzoni ascoltate
di recente ritornano più facilmente di quelle vecchie, quelle con un testo più della musica
strumentale (che ossessiona in meno dell’8% dei casi) e la musica live più di quella registrata.
I TRUCCHI PER LIBERARSI DEL MOTIVETTO. Ma una volta che siamo preda del baco, come ce ne liberiamo?
Paradossalmente un buon rimedio può essere ascoltare il brano incriminato per intero. Infatti,
secondo alcuni esperti, quando la mente non ricorda come prosegue una canzone, “riavvolge il nastro”
fino alla parte che conosciamo, continuando a ripetersi. Avviene per il cosiddetto “effetto
Zeigarnik”, dal nome della psicologa lituana Bluma Zeigarnik, che ha scoperto che ricordiamo le
azioni incompiute o interrotte con maggio facilità rispetto a quelle completate: ascoltare il pezzo
per intero, dunque, annullerebbe gli inceppamenti continui.
Un’alternativa sta nel trovare una canzone “antidoto”, che metta in secondo piano l’earworm. Pare
che l’inno del Regno Unito, GoSave The Queen, funzioni particolarmente bene, al pari di Karma
Chameleon dei Culture Club. Terzo rimedio: masticare un chewing gum. Un articolo su Quarterly
Journal of experimental psicology mostra che la masticazione riduce i pensieri musicali
indesiderati, interessando la memoria a breve termine, come fa una parola a caso che viene ripetuta
più volte.
Quarto: fare un’attività che richieda un certo impegno, come un cruciverba, perché i tarli si
manifestano durante gli stati di bassa attenzione.
E poi, come forma di prevenzione, occorrerebbe evitare di ascoltare musica prima di dormire: per
quanto alcune ricerche suggeriscano che la musica distragga dai pensieri negativi, aiutando così a
prendere sonno, secondo altri studi aumenterebbe il rischio di svegliarsi di notte con un motivetto
in testa.
Ma il punto è proprio questo: perché “ci fissiamo” con un brano? Una prima ipotesi è che i bachi
siano utili a un tipo di memoria, detta audio-eidetica, in cui la musica ci aiuta a ricordare gli
avvenimenti cui è legata: in questi casi la sequenza di note attiva una regione del cervello, la
corteccia uditiva primaria sinistra, che è associata all’udito e che si mobilita perfino quando
semplicemente pensiamo a una canzone.
I RICORDI E LA MEMORIA. Un esperimento pubblicato nel 2021 dal Journal of Experimental Psychology
pare confermare che le canzoni “tarlo” aiutino il radicamento dei ricordi. Quando ai soggetti
esaminati è stato chiesto di ricordare i dettagli di alcuni filmati visti insieme a brani già
ascoltati in precedenza, ne è emerso che quelli che ricordavano meglio i brani ricordavano anche più
elementi visivi. Il che suggerirebbe il fatto che le nostre menti usino l’associazione mentale tra
un brano e un’immagine non tanto per fissare nella memoria un ricordo quanto per recuperarne i
relativi dettagli.
Ecco perché i motivetti ci tornano in testa quando abbiamo visto o sentito qualcosa associato a un
dato ricordo. Magari la prima volta che abbiamo guidato, la radio trasmetteva Azzurro di Adriano
Celentano e quel brano ci torna in testa quando ci capita di incrociare per caso un’autovettura
simile alla nostra vecchia auto. Perciò, anche se «di solito pensiamo ai tarli come a un fastidio,
in realtà si tratta di una forma di consolidamento mnemonico che aiuta a preservare le esperienze
più o meno recenti», precisa Benjamin Kubit, neuroscienziato all’Università di Davis in California,
coautore dello studio.
CANTANDO SOTTO LA DOCCIA. Una seconda ipotesi sul perché abbiamo queste allucinazioni sonore è che i
bachi funzionino come uno screensaver, un riempitivo musicale che tiene la mente in stand-by.
«Dunque a un regime minimo di attività cerebrale e cognitiva» spiega Lauren Stewart, ricercatrice
dell’Università Goldsmiths di Londra. Non a caso, i motivetti ci spuntano in testa quando siamo
sotto la doccia o camminiamo.
Ma si presentano anche quando siamo mentalmente troppo sotto pressione, “abbassando i giri”,
sostiene Ira Hyman, docente di psicologia all’Università diWashington.
Per silenziare il juke box interno, insomma, dobbiamo trovare un equilibrio: non essere né troppo
rilassati, né troppo impegnati. In realtà gli esperti non escludono neppure che gli earworm siano
sempre presenti nel nostro cervello, ma forse siamo troppo occupati a fare altre cose per
accorgercene. Li notiamo, cioè, solo quando la mente gira… a vuoto.
RITMO E UMORE. E ancora: nel 2015 il neuroscienziato canadese Steven Brown, a sua volta soggetto ad
“attacchi di tarli”, ha ipotizzato una variante di questa interpretazione: i tarli svolgerebbero un
ruolo chiave non tanto nel mantenere acceso il cervello quanto nello stabilizzare il nostro stato di
coscienza. La sua teoria è supportata da uno studio che mostra come il ritmo delle canzoni che ci
tornano in mente impatti sul nostro umore o sul livello di eccitazione. Ma il legame non è univoco:
può essere un motivo a suscitare uno stato d’animo o il secondo a evocare il primo.
Accadde per esempio nel 1985 all’alpinista Joe Simpson: rimase bloccato in un crepaccio sulla Siula
Grande (6.536 metri) nelle Ande peruviane. Eppure, come riportato nell’autobiografia La morte
sospesa (da cui l’omonimo film), seppur ferito e con un principio di congelamento agli arti, Simpson
riuscì a trascinarsi fino al campo base ritrovando lì il compagno che lo credeva morto. Per tutto il
tempo del tragitto, Simpson sentiva risuonargli nella mente Brown Girl in the Ring di Boney M., una
canzone che odiava. «Questo dettaglio suggerisce che la musica interiore abbia il potere di modulare
il nostro stato di eccitazione e che in una situazione estrema non importa se la melodia non è in
linea con i gusti personali», sigla la dottoressa Lauren Stewart. «L’importante è che il ritmo
aumenti lo stato di veglia e la capacità di reagire nel momento del bisogno».
Tratto da Bloc note di Elisa Venco (Focus 347, settembre 2021)
focus.it
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