Pitagora, la vita e la scienza del filosofo e matematico greco

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Pitagora, la vita e la scienza del filosofo e matematico greco

Chi era Pitagora, il “sapiente di samo” del VI secolo a.C. a cui dobbiamo il teorema sulla lunghezza
dei lati del triangolo rettangolo? Un razionalista o nonno della new age?

13 ottobre 2023 – Maria Leonarda Leone

L’aspetto di un santone indiano, unito al cervello di uno scienziato e alla spiritualità ascetica di
un maestro buddista. Un po’ Gandhi e un po’ Einstein, pura razionalità in salsa new age: ecco
l’essenza di Pitagora. Sì, proprio il papà del famoso teorema sulla lunghezza dei lati del triangolo
rettangolo, il primo che si studia a scuola quando si impara la geometria.

PITAGORA, CHI FU VERAMENTE? Eppure l’intuito matematico è solo una delle mille sfaccettature di
questo poliedrico greco. Uomo virtuoso, convinto assertore della reincarnazione dell’anima,
animalista e vegetariano, padre della meditazione e della musicoterapia occidentale; semi divinità
con poteri soprannaturali secondo i suoi discepoli e astuto affabulatore, fan del governo
oligarchico, secondo i suoi detrattori: chi fu realmente il contraddittorio sapiente?

A Pitagora risale il teorema per cui in ogni triangolo rettangolo il quadrato costruito
sull’ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. La “tavola pitagorica”
non è invece sua: l’attribuzione è frutto di un equivoco nato nel V secolo d.C.

UOMO DI CARISMA. «Pitagora non fu né uno specialista della riflessione teoretica né un “santo ne” di
tipo primitivo: rientra piuttosto nell’immagine del “sapiente carismatico”», ha affermato Maurizio
Giangiulio, esperto di Storia greca. «Appartenne infatti a un’epoca, quella arcaica, preclassica, in
cui il “sapiente” deteneva una forma di conoscenza autorevole e multiforme, che rendeva privilegia
to e prestigioso chi la possedeva. Talora, ed è il caso di Pitagora, questo “sapere di più” rispetto
ai comuni mortali si accompagnava a un eccezionale carisma personale, che dava alla figura una
natura quasi sovrumana»

E sovrumana era considerata, da alcuni antichi cronisti, anche la nascita del filosofo, avvenuta
sull’isola di Samo (Mar Egeo) intorno al 570 a.C.: la leggenda lo vuole figlio dell’umana Pitaide e
del divino Apollo. Alla Pizia, la profetessa del dio, sarebbe spettato invece l’ingrato compito di
informare il marito tradito, Mnesarco: san Giuseppe ante litteram, l’uomo aveva accolto con gioia
quel bambino che, diceva la profezia, sarebbe stato “della massima utilità per la stirpe umana”.

FASCINO MAGNETICO. Da un lungo viaggio di istruzione intrapreso in Oriente, Pitagora non portò solo
conoscenze, credenze e divieti: quando tornò a Samo, nel 538 a.C., a nessuno sfuggì l’enorme fascino
che aveva acquisito. Alto e magnetico, vestiva sempre di bianco e portava una ghirlanda d’oro tra i
capelli. A conferma della sua straordinarietà, la gente bisbigliava che avesse una “coscia d’oro”
(forse una voglia), che sapesse controllare le forze della natura, placare la peste e vedere le vite
precedenti di ogni uomo. Da parte sua, lui diceva di non conoscere alcuna arte, ma di essere solo un
filosofo (che letteralmente significa amante del sapere), uno di quei rari uomini “che senza tenere
in alcun conto tutto il resto, si dedicano con passione allo studio della natura”.

Ben presto gli si raccolse intorno una folla di studenti: persino le migliori menti della Grecia si
recarono a Samo per partecipare alle sue lezioni, nel cosiddetto Emiciclo di Pitagora. Eppure il
maestro non si sentiva a suo agio nell’isola natia: come racconta il pitagorico Aristosseno di
Taranto, “quando ebbe 40 anni e vide che la tirannia di Policrate era troppo oppressiva, […] fece
vela per l’Italia”. Attraccò in Magna Grecia, nella vivace Crotone (Calabria), e conquistò “con
molte acute discussioni” il Senato, che dopo avergli affidato l’istruzione dei giovani e delle
donne, gli chiese consigli su come migliorare il governo.

ANIMALISTA E VEGETARIANO. Nella realtà, più che Apollo furono i primi maestri di Pitagora a far
avverare quelle parole: tra loro infatti c’erano alcuni tra i migliori filosofi e sapienti del
tempo, personalità come Ferecide di Siro, Talete e Anassimandro di Mileto, e, fuori dalla Grecia, i
sacerdoti egizi esperti di geometria e forse anche il fondatore stesso dell’orfismo, il mitico poeta
Orfeo. Da Orfeo (originario della Tracia, in Grecia) Pitagora avrebbe preso spunto nel modo di
parlare, nel definire la propria posizione spirituale e nell’eliminazione della carne dal suo menù.
Lo racconta il poeta romano Ovidio, per il quale sarebbe stato proprio il sapiente di Samo il primo
a importare in Occidente, nel VI secolo a.C., il vegetarianismo, già praticato in Oriente da
buddisti, induisti, taoisti e seguaci di Zoroastro.

A differenza di oggi, il suo regime dietetico non era motivato dai video sui polli allevati in
batteria o dalle crociate anticarne rossa dell’Oms, bensì dalla convinzione che, dopo la morte,
l’anima si reincarnasse nel corpo di qualsiasi altro essere vivente, animali inclusi. Quindi al
bando il cannibalismo: molto meglio far colazione con pane di miglio e miele e cenare con focaccia e
legumi. Escluse le fave. Il motivo? Pare, tra le varie ipotesi, perché considerate connesse al mondo
dei morti, della decomposizione e dell’impurità: tutte cose da cui i filosofi dovevano tenersi
lontani.

I PITAGORICI A CROTONE. Pitagora aveva trovato la città giusta per fondare la sua scuola. Setta o
accademia? A metà fra setta mistico religiosa e comunità scientifica, era un sodalizio aperto solo
agli iniziati, non più di 300 persone, sia uomini che donne, selezionate con criteri rigidissimi.
“Egli non faceva diventare nessuno suo amico o conoscente senza averlo prima esaminato
fisiognomicamente, per vedere quale genere di persona fosse”, scrisse il teologo Porfirio nel II
secolo d.C.

Poi “lasciava che per tre anni fosse osservato dall’esterno, per esaminare con quale stabilità e
autentico desiderio di apprendere si comportasse e se fosse preparato a tal punto contro la gloria
da disprezzare gli onori”. Seguivano 5 anni di silenzio obbligato, “giacché fra tutti i tipi di
continenza il più difficile è dominare la lingua, secondo quel che ci manifestano anche coloro che
hanno istituito i misteri” e soltanto alla fine di questo duro training l’iniziato poteva entrare
nella ristretta cerchia ammessa alle lezioni più segrete del maestro.

«Nella sua predicazione e forse anche nei suoi scritti, Pitagora fondeva insieme intuizioni,
formulate in forma non scientifica, che avevano a che fare con la matematica, l’astronomia, la
musica, la filosofia, gli insegnamenti morali, la politica. Predicava la trasmigrazione delle anime
e metteva in primo piano l’importanza dei nume­ri nella natura delle cose del mondo e dei rapporti
umani, ma soprattutto affermava uno sti ­ le di vita speciale, puro ed esclusivo, basato su precetti
rituali e pratiche di vita a sfondo ascetico», spiega Giangiulio. Si andava da cose banali, come
l’ordine in cui calzare le scarpe (sempre prima la destra) e gli esercizi per la memoria, alle
passeggiate quotidiane da soli o in piccoli gruppi nei luoghi più sacri, per evitare di toccare
perso ­ ne impure; dalle riunioni nei templi, tutti rigorosamente vestiti di bianco, alla pratica
dello sport per curare il proprio corpo, mantenendolo in armonia con l’universo anche attraverso la
danza e la musica, che tranquillizzavano l’anima. Motivo per cui, ogni mattina, Pitagora suonava la
lira e intonava antichi canti di guarigione.

I NUMERI DA 1 A 4. Il filosofo aveva dimostra­to che anche la musica, proprio come il cosmo e tutte
le cose del mondo, si fondava sui numeri. Se n’era accorto, così si racconta, di fronte alla fucina
di un fabbro, ascoltando i diversi suoni prodotti dai vari martelli sulle incudini. Associando i
numeri alle note e lavorando sul monocordo, una specie di chitarra a una sola corda, aveva scoperto
che l’altezza e la consonanza delle note potevano essere espresse da precisi rapporti numerici
(basati sulla cosiddetta tetraktys, i numeri da 1 a 4 che secondo i pitagorici erano la chiave
segreta della spiegazione del mondo): in questo modo individuò gli accordi di quarta, quinta e
ottava, alla base della scala musicale come oggi la conosciamo.

LA FUGA E LA MORTE. Non siete convinti? “L’ha detto lui”: avrebbero risposto i pitagorici.

E tanto basta va a dar forza ai suoi precetti. Ma nulla poté invece contro l’arroganza di Cilone:
vedendosi negare l’ammissione alla scuola, all’inizio del V secolo a.C. questo borioso e violento
aristocratico fomentò una rivolta contro i pitagorici. I suoi scagnozzi diedero fuoco alla casa in
cui erano riuniti, molti morirono tra le fiamme, altri furono trucidati, ma alcune fonti dicono che
Pitagora riuscì a salvarsi. La fuga lo portò a Metaponto, dove la sua fine viene descritta in molti
modi: chiuso nel tempio delle Muse, dopo 40 giorni senza cibo né acqua; per suicidio, non potendo
sopportare l’idea che i suoi amici si fossero sacrificati per salvarlo; o durante la fuga, quando si
bloccò di fronte a un campo di fave: Meglio esser catturato che calpestare fave”. L’ha detto lui. E
venne ucciso dai suoi inseguitori.

da focus.it

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