PNEI – PSICONEUROENDOCRINOIMMUNOLOGIA 1-2
da “Enciclopedia olistica”
di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli
PSICONEUROENDOCRINOIMMUNOLOGIA
A cura di Maria Carmela Sgarrella
Il problema dell’identità
Dopo aver preso conoscenza dei punti essenziali di come si sia creata la complessa struttura del sistema nervoso umano con il suo asse spinale, i suoi tre cervelli e i due emisferi, presentiamo una serie di “colonne” fondamentali per una conoscenza globale dell’essere umano e del suo cervello.
Come nelle altre scienze, anche nella medicina e nella neurofisiologia osserviamo la mancanza di un soggetto o “unità di coscienza” e, utilizzando il modello Cyber, cerchiamo di riproporre una visione medica più globale e umana. Il Sé, in medicina, viene di fatto intuitivamente considerato il centro dell’essere umano, ma questa percezione viene poi rimossa nei testi e nella logica medica ufficiale. Fortunatamente, negli ultimi decenni, la radicale trasformazione in atto nella cultura planetaria ha portato a rivoluzionari mutamenti che creano unità e integrazione anche nella medicina e nella neurofisiologia. Vediamo come le due categorie, corpo e coscienza, oggi stanno ritornando all’originale unità.
Candace Pert: il corpo come rete di informazioni emozionali
Uno dei maggiori contributi alla riunificazione della dicotomia umana in medicina è dovuto al lavoro e alla visione pionieristica di Candace Pert. La Pert, neurofisiologa, direttrice del centro di biochimica cerebrale del NIMH, National Institute for Mental Health, è una delle più importanti figure nell’ambito della ricerca internazionale sul cervello: ha infatti scoperto le endorfine e un vasto numero di neuropeptidi, le molecole che trasmettono le informazioni nel sistema nervoso, ed ha evidenziato che i neuropeptidi sono i mediatori sia delle informazioni, sia delle emozioni e sono attivi praticamente in tutte le cellule del corpo, nel sistema nervoso, ma soprattutto nel sangue, nel sistema immunitario e nell’intestino. Queste scoperte l’hanno candidata al Nobel per la medicina, ed hanno creato – come spesso accade in questi ultimi anni – una sorta di rivoluzione nel modello di essere umano della medicina ufficiale. Come l’editore John Maddox ha riportato su Nature, le persone più esperte in questo campo sostengono che ogni stato d’ animo é fedelmente riflesso da uno stato fisiologico del sistema immunitario.
Occorre puntualizzare che, fino ad una ventina di anni fa, termini come “mente”, “emozione” o “coscienza” non erano nemmeno menzionati nei testi di medicina, in quanto il modello umano ufficiale considerava il corpo come unica realtà e la mente un concetto estraneo alla scienza e non indispensabile. In neurofisiologia si riteneva (e molti purtroppo molti ritengono ancora) che il cervello “producesse” il pensiero e che il suo funzionamento fosse quello di un computer, basato su una semplice logica di acceso-spento. La scoperta dei primi mediatori sembrava avvalorare questa cooncezione puramente meccanicista, ad esempio un neurotrasmettitore “eccitava” un neurone che “attivava” un muscolo mentre un secondo mediatore “inibiva” il neurone e “rilassava” il muscolo.
Tutto il corpo pensa: la chimica delle emozioni
Con le scoperte della Pert sui neuropeptidi, questo modello è stato scardinato completamente. Innanzitutto i neuropeptidi devono essere considerati delle molecole “psichiche”, in quanto non trasmettono solo informazioni ormonali e metaboliche, ma “emozioni” e segnali psicofisici: ogni stato emotivo (amore, paura, piacere, dolore, ansia, ira… ), con le sue complesse sfumature chiamate sentimenti, è veicolato nel corpo da specifici neuropeptidi. Anche la vecchia divisione tra neurotrasmettitori e ormoni è diventata obsoleta, in quanto entrambi sono da considerarsi categorie di neuropeptidi. Contrariamente alle aspettative, questi neuropeptidi e i loro recettori sono stati rinvenuti in ogni parte del corpo e non soltanto nel sistema nervoso: inoltre la semplice meccanica dell’”acceso-spento” è stata soppiantata dalla logica estremamente più complessa della “neuromodulazione”. Lo psicofisiologo francese Jean-François Lambert, sul concetto di neuromodulazione, ha valutato le possibili variazioni di comunicazione in una singola sinapsi neuronica nell’ordine delle centinaia fino alle migliaia di differenti possibilità.
Questo significa che l’intero corpo “pensa”, che ogni cellula o parte del corpo “sente” e prova “emozioni”, elabora le proprie informazione psicofisiche e le trasmette ad ogni altra parte attraverso una fittissima rete di comunicazioni di estrema varietà comunicativa.
Tutto il corpo è vivo, intelligente e cosciente, ogni cellula prova piacere e dolore ed elabora strategie metaboliche per il benessere collettivo. Finalmente la medicina scopre che il corpo non è una macchina! Su queste basi teoriche e sperimentali, Candace Pert parla dell’essere umano come di una complessa “rete di informazioni” e dichiara che l’antica divisione tra mente e corpo non ha più ragioni di sussistere: al vecchio concetto bisogna sostituire quello di psicosoma (bodymind), in cui ogni aspetto psicofisico umano è visto come parte di un’unica organica realtà. Queste avanzate concezioni mediche costituiscono un importante sostegno alla concezione unitaria o psicosomatica del modello Cyber, in particolare se consideriamo che è stata documentata la presenza di neuropepdidi e dei loro recettori anche negli unicellulari: tale dato sostiene la nostra ipotesi degli organismi unicellulari come unità di coscienza in grado di sentire ed elaborare informazioni in modo analogo agli animali superiori, anche se su livelli o densità informatiche più semplici e primitive.
Psiconeuroimmunologia: l’intelligenza e il cuore dell’essere
La psiconeuroimmunologia – lo studio di come la psiche, il sistema nervoso centrale e il sistema immunitario si influenzino vicendevolmente – sta diventando una delle branche più interessanti e in rapido sviluppo dell’intera medicina moderna. Questa nuova scienza attira l’interesse di psichiatri, endocrinologi e biologi molecolari. Le nuove intuizioni cliniche nel ruolo della mente nel processo di guarigione offrono affascinanti prospettive di ricerca e nuove speranze.
Sin dai tempi dei Greci, filosofi e medici avevano discusso e dibattuto sulla supremazia del cuore o del cervello come centro dell’identità degli organismi viventi. In India il cervello è la sede dell’Atman, la coscienza superiore, il cuore è la sede di Jivatman, la coscienza vitale. Nelle medicine antiche, come la medicina taoista, ogni organo era considerato sede di una certa anima o emozione: lo Shen. Il cuore tuttavia veniva considerato come l’imperatore dell’intero dominio che è il corpo fisico. Cuore come centro di coscienza e di benessere, ma soprattutto della gioia e dell’amore di vivere che permettono la nostra stessa esistenza. Le recenti scoperte di psiconeuroimmunologia, in accordo con la concezione olistica, evidenziano una profonda interrelazione tra cuore e cervello. L’antica saggezza ora riemerge proprio in seno ad una delle branche più avanzate della ricerca medica.
Il cuore del cervello e il cervello del cuore
Le emozioni e le sensazioni non solo sarebbero alla base del processo di memorizzazione delle esperienze, ma sarebbero responsabili della maggior parte dei meccanismi neurofisiologici che regolano o bloccano il funzionamento dell’intero organismo vivente. Da differenti esperimenti e ricerche emerge che il cuore, da sempre sede delle emozioni, e il sistema limbico, vero “cuore del cervello”, costituiscono il centro della complessa unità psicosomatica.
Abbiamo una serie di dati: l’amigdala e l’ipotalamo, che rappresentano la parte centrale del cervello mammifero e sono deputate alla gestione delle emozioni e delle memorie, sono le aree cerebrali in cui si trova la maggior concentrazione e varietà di neuropeptidi, mediatori delle informazioni e delle emozioni. Al centro della stessa zona si trova l’ipofisi, la ghiandola che gestisce (modula) le attività di tutte le altre ghiandole del corpo. Molti neuropeptidi sono ormoni e svolgono la loro funzione attraverso il sangue. Il sistema immunitario agisce attraverso i linfociti (globuli bianchi del sangue) che producono e hanno recettori per trasmettere e ricevere gran parte dei neurotrasmettitori, e quindi rappresentano una sorta di “sistema nervoso liquido” circolante nel corpo. È stato ampiamente dimostrato che, nel cervello mammifero, le emozioni positive favoriscono la produzione di una cascata di reazioni tale da attivare il sistema immunitario ed in particolare i linfociti killer. Al contrario, gli stati di depressione emotiva portano ad un’inibizione della resistenza immunitaria. Il timo, la grossa ghiandola situata appena sopra il cuore (esattamente nel punto in cui portiamo la mano sul petto quando, col linguaggio corporeo, vogliamo indicare il nostro “io”), è una primaria stazione linfatica sede del complesso meccanismo di produzione dei linfociti T (timici) e della loro “istruzione” a riconoscere il self (il proprio essere vivente) dal non-self (ogni batterio, virus o entità estranea). Sono stati scoperti neurotrasmettitori che dal cuore influenzano l’ipotalamo.
Le posizioni antiche si confondono: il cuore ha quindi un suo cervello rappresentato dai globuli bianchi e dal sistema immunitario e il cervello ha un cuore che sente e gestisce le emozioni di tutto il corpo. Se nell’antichità il cuore era visto come imperatore che riceve le informazioni da tutto il regno, prende le decisioni e le rimanda a destinazione, nella moderna neuroscienza l’ipofisi assume esattamente l’identica posizione. Essa riceve dal sistema nervoso e dal sistema sanguigno le informazioni di ogni distretto del corpo, le elabora, ne valuta in modo altamente equilibrato il senso e secerne nel sangue nuovi messaggeri biochimici, gli ormoni, che portano a compimento le sue decisioni per il benessere globale.
Alcuni dati di neuropsicoimmunologia
In una conferenza di alcuni anni fa, a Toronto, una équipe di ricercatori dell’Università di Pittsburgh ha riferito importanti dati emersi dallo studio di settantacinque donne affette da cancro al seno. Queste le interessanti scoperte: le donne che si mantenevano “calme e indifferenti” al loro male avevano meno cellule killer naturali per combatterlo. Quelle inizialmente più preoccupate avevano invece ottenuto una risposta immunitaria maggiore e dimostravano di avere maggiori possibilità di guarigione.
Alla scuola di medicina dell’Università di San Francisco si è visto che i malati di asma che usavano una particolare tecnica di visualizzazione per “viaggiare attraverso il corpo” fino alle cellule sofferenti, necessitavano minori cure rispetto agli altri. Essi dimostravano inoltre un miglioramento nella respirazione.
Ad una conferenza all’Università di Los Angeles sono state presentate ulteriori scoperte sul ruolo della mente nella guarigione. Il sistema immunitario incomincia a sembrare un organo liquido sensorio-motore ha detto il Dott. Ted Melnechuk, direttore delle ricerche sulla comunicazione presso l’Institute for the Advancement of Health. Questa definizione di sistema immunitario era stata precedentemente elaborata dagli studiosi Nelson Paz e Francisco Varela.
Gli scienziati sovietici furono i primi a rilevare un simile collegamento mente.cervello.difesa immunitaria. Essi furono inizialmente ridicolizzati dagli immunologi conservatori, i quali ribattevano che le risposte immunitarie potevano essere osservate anche “in vitro”, senza quindi l’intervento di mente o cervello.
Ecco alcune sorprendenti scoperte riviste da Melnechuk:
– Le piacevoli sensazioni sperimentate ascoltando musica vengono eliminate se si bloccano le naturali sostanze narcotiche presenti nel cervello.
– Le emozioni negative innescano il processo di emissione di norepinefrina, un messaggero biochimico noto come soppressore della funzione immunitaria. Questo conferma il ruolo delle emozioni positive nel mantenimento della salute.
– Le risposte immunologiche possono essere apprese. Recentemente si è scoperto che una risposta immunologica appresa può prolungare la vita di cavie allevate per sviluppare un disordine autoimmunitario che li porta alla morte.
– Gli uomini sposati con donne malate di cancro in fase terminale hanno un diminuito numero di linfociti (le cellule del sistema immunitario deputate a respingere il male).
– È stato visto che le cellule nervose del ponte di Varolio, una regione critica per il mantenimento del basilare supporto della vita, si proiettano sino alla ghiandola del timo, un’importante stazione di ricambio per le sostanze immunitarie. Sono state trovate anche cellule nervose che dal timo tornano al cervello, mostrando perciò che esiste una comunicazione nei due sensi. Nei linfociti sono stati trovati recettori dei messaggeri chimici usati da queste cellule, fornendo perciò un diretto legame chimico tra il sistema immunitario e il sistema nervoso.
– Alcune scimmie separate dalla madre mostrano una depressione immunitaria. Questa situazione può essere migliorata se le si pone in un ambiente sociale attivo in cui trovano sostegno.
– Uno studio su pazienti malati di cancro ha rilevato un aumento dell’attività delle cellule killer e una diminuzione della crescita del tumore usando la tecnica dell’immaginazione visiva. L’effetto fu contrario quando i pazienti interruppero questa pratica.
– I conigli accarezzati dagli sperimentatori mostrano una maggiore resistenza all’arteriosclerosi rispetto ad un gruppo di conigli non amati.
– I topi accarezzati dagli sperimentatori sin dalla nascita hanno mostrato un netto miglioramento nei test di apprendimento.
L’enorme avanzamento delle ricerche nel campo della psiconeuroimmunologia rende questi dati ormai “vecchi”, come comprovano testi recenti e aggiornati come il libro Psiconeuroimmunologia di Francesco Bottaccioli, un volume di grande interesse e impatto per creare la connessione scientifica, concettuale e linguistica tra la medicina ufficiale e la medicina olistica.
Psiconeuroendocrinoimmunologia – il sistema di informazione con cui dialogano il corpo e la mente
di Candice Perth
Relazione al “Symposium on Consciousness and Survival” sponsorizzato dalI’Istitute of Noetic Science, estratto da Whole Earth Review, Summer 88.
In questo articolo descriverò un insieme di affascinanti e, per lo più, nuove informazioni sulle sostanze chimiche del corpo chiamate neuropeptidi. Basandomi su queste scoperte, avanzerò l’idea che i neuropeptidi e i loro recettori formano una rete per le informazioni all’interno del corpo. Potrebbe sembrarvi un’ipotesi di poca importanza, ma le sue implicazioni sono tuttavia vastissime. Io credo che i neuropeptidi e i loro recettori sono la chiave per capire come la mente e il corpo sono interconnessi e come le emozioni si manifestano nel corpo. In effetti più conosciamo i neuropeptidi più diventa difficile pensare a ‘corpo e mente’ in modo tradizionale, risulta sempre più evidente che bisogna parlare di ‘mente/corpo’ come un’unica entità integrata.
La maggior parte di quello che descriverò sono risultati di laboratorio: scienza ‘dura’; è importante ricordare che, benché gli studi scientifici di psicologia sono tradizionalmente focalizzati su una sperimentazione fatta su animali, se guardate l’indice di un recente libro di testo di psicologia, non sarà difficile trovare termini come ‘consapevolezza’, ‘mente’ o anche ‘emozioni’. Questi argomenti finora non sono mai stati accettati nel regno della psicologia sperimentale tradizionale, che, normalmente, studia esclusivamente il comportamento, perché può essere osservato e misurato.
La specificità dei recettori
Esiste un campo della psicologia in cui la mente, intesa come stati di coscienza, è stata studiata oggettivamente da almeno vent’anni: è il campo della psicofarmacologia in cui i ricercatori hanno sviluppato metodologie molto rigorose per misurare gli effetti dei farmaci e gli stati alterati della coscienza.
La ricerca in questo campo si è sviluppata partendo dall’assunto che una sostanza può agire solo se è ‘fissata’, ossia se, in qualche modo, si ‘attacca’ al cervello. Quindi i ricercatori inizialmente immaginarono degli ipotetici tessuti i cui costituenti erano capaci di legare una sostanza chimica, proprio come una chiave con la serratura, e li chiamarono ‘recettori’. In questo modo, la nozione di recettori cerebrali specifici per una sostanza, diventò in psicofarmacologia una teoria centrale. E un concetto ormai vecchio.
Negli ultimi anni un punto focale nello sviluppo di questa ricerca si è avuto con l’invenzione di tecniche che permettono di legare le specifiche sostanze ai loro recettori, di studiarne la distribuzione nel cervello e nel corpo e di evidenziarne la struttura molecolare.
Il mio lavoro iniziale in questa area fu presso il laboratorio di Solomon Snyder, alla Johns Hopkins University, dove focalizzammo la nostra attenzione sull’oppio, una sostanza che ovviamente altera la coscienza e che è anche usata in medicina per alleviare il dolore. Ho lavorato a lungo e duramente, superando molti mesi di iniziale fallimento, per sviluppare una tecnica capace di misurare il materiale cerebrale con cui l’oppio interagisce per produrre i suoi effetti. Rendendo breve una storia lunga (e tecnica), diversa dirò che abbiamo usato sostanze radioattive che ci permisero di identificare i recettori per l’oppio nel cervello. Potete immaginare la molecola di oppio che si lega ad un recettore specifico e come da questa piccola connessione si producano una grande sequenza di eventi.
Risultò poi che l’intera classe di sostanze a cui appartiene l’oppio, chiamate oppiacei, che includono la morfina, la codeina e l’eroina, si attaccano agli stessi recettori. Scoprimmo poi che i recettori erano sparsi non solo per tutto il cervello ma anche per il corpo. Dopo aver trovato i recettori per gli oppiacei di provenienza esterna, ci fu un nuovo sviluppo nelle ricerche. Se il cervello e le altre parti del corpo hanno dei recettori per sostanze che provengono dall’esterno, è logico supporre che le stesse sostanze debbano essere prodotte anche all’interno del corpo, altrimenti perché dovrebbero esistere tali recettori? Questa nostra ipotesi ci condusse all’identificazione delle sostanze chimiche chiamate beta endorfine, gli oppiacei endogeni del cervello. Le beta endorfine sono sostanze peptidiche create nei neuroni del cervello e sono quindi dei neuropeptidi. I peptidi vengono prodotti direttamente dal DNA che contiene le informazioni della costruzione Del nostro cervello e del nostro corpo. Se immaginate una normale cellula nervosa potete visualizzare il meccanismo generale. Nel centro della cellula, il nucleo, c’è il DNA, una parte di questo DNA codifica la produzione dei neuropeptidi, che poi si spostano lungo gli estesi prolungamenti della cellula nervosa (gli assoni) e vengono immagazzinati in piccole sfere vicino alla superficie della membrana cellulare, in attesa di una certa carica elettrofisiologica che li libera. Il DNA produce anche i Rettori che sono costituiti dalla stessa sostanza dei peptidi, ma che sono molto più grandi. Bisogna aggiungere che sono stati identificati più di 60 neuropeptidi ognuno dei quali specifico, come le beta endorfine. Abbiamo quindi un sistema enormemente complesso. Fino a pochi anni fa, si pensava che le informazioni del sistema nervoso erano distribuite presso la superficie tra due cellule nervose: la sinapsi, questo comporta che la sinapsi dei neuroni determina ciò che viene comunicato. Ora invece sappiamo che una grande parte delle informazioni che partono e giungono al cervello, non dipendono direttamente dalle sinapsi di una serie di neuroni posti uno dopo l’altro, ma dalla specificità dei recettori.
Infatti quando una cellula nervosa secerne i suoi peptidi oppiacei, questi possono agire a ‘chilometri’ di distanza da quella cellula nervosa, e lo stesso vale per tutti i neuropeptidi. Nello stesso istante moltissimi differenti neuropeptidi possono scorrere nel corpo, e attaccarsi ai loro specifici recettori. I recettori quindi servono come meccanismo che sceglie le informazioni trasmesse nel corpo.
La biochimica delle emozioni
A cosa ha portato tutto ciò? A qualche cosa di molto affascinante, il fatto che i recettori dei neuropeptidi sono, a tutti gli effetti, la chiave biochimica delle emozioni. Negli ultimi anni i ricercatori del mio laboratorio hanno formalizzato questo concetto in un grande numero di pubblicazioni scientifiche, di cui vi parlerò in breve. Molti scienziati giudicherebbero questa idea oltraggiosa, in quanto non è ancora stata accettata dalla ‘saggezza’ ufficiale. Infatti, venendo da una tradizione in cui i libri di testo di neurofisiologia non contengono neanche la parola ‘emozione’ nell’indice, non è senza un certo imbarazzo che abbiamo iniziato a parlare di substrato biochimico delle emozioni.
Inizierò puntualizzando un fatto su cui i neuroscienziati sono concordi da molto tempo, ossia che le emozioni sono mediate dal sistema limbico del cervello. Il sistema limbico include l’ipotalamo (che controlla i meccanismi omeostatici del corpo, e che a volte è chiamato il ‘cervello’ del cervello) e l’amigdala, due aree di cui noi tratteremo particolarmente.
Gli esperimenti che mostrarono la connessione tra emozioni e sistema limbico furono iniziati da Wilder Penfied e altri neurologi scoprirono che quando stimolavano con elettrodi la corteccia sopra l’amigdala, provocavano un’intera gamma di manifestazioni emozionali: potenti reazioni di rabbia, di dolore o di piacere associate a profonde memorie e sempre accompagnate da un comportamento del corpo, connesso a quelle emozioni. Il sistema limbico quindi fu identificato tramite esperimenti psicologici. Quando iniziammo a creare una mappa delle localizzazioni dei recettori oppiacei nel cervello, scoprimmo che il sistema limbico conteneva alte concentrazioni di questi recettori e, come scoprimmo poi, anche di tutti gli altri tipi di recettori. L’amigdala e, l’ipotalamo, che sono ritenuti classicamente essere i più importanti costituenti del sistema limbico, risultano infatti colmi di recettori oppiacei: quaranta volte di più che nelle altre aree del cervello. Questi ‘punti caldi’ corrispondono a nuclei molto specifici o gruppi di neuroni che gli psicologi e i neurofisiologi hanno identificato come i centri di controllo dell’appetito, del comportamento o del bilanciamento dei liquidi nel corpo. La nostra mappa di recettori conferma ed espande in modo molto importante gli esperimenti psicologici sul sistema limbico.
Introduciamo ora nel nostro quadro alcuni altri neuropeptidi, che, come ho già detto, sono ormai più di 60. Da dove vengono? Molti di loro sono degli analoghi (composti chimici simili) di sostanze chimiche psicoattive, ma, inaspettatamente, una grossa parte è rappresentata dagli ormoni. Gli ormoni storicamente sono stati ritenuti essere prodotti dalla ghiandole endocrine, e non dalle cellule nervose. Si pensava che un ormone fosse concentrato in una ghiandola del corpo e quindi viaggiasse nel sangue, verso i recettori in un’altra parte del corpo. Uno degli ormoni principali è l’insulina, secreta dal pancreas. Si è scoperto ora che questa insulina non solo è un ormone ma è pure un neuropeptide, prodotto e conservato anche nel cervello, e che, naturalmente, esistono recettori cerebrali per l’insulina. Quando abbiamo fatto la mappa dei recettori insulinici, di nuovo abbiamo scoperto ‘punti caldi’ nell’amigdala e nell’ipotalamo. In breve, abbiamo chiaramente provato che il sistema limbico, il luogo delle emozioni nel cervello, è il punto focale dei recettori dei neuropeptidi.
Un altro punto focale: quando abbiamo studiato la distribuzione di questi recettori, abbiamo scoperto che non sono esclusivamente localizzati nel sistema limbico ma che sono presenti in altre parti del corpo. Abbiamo chiamato questi punti di grande concentrazione dell’attività chimica ‘punti nodali’ e abbiamo rilevato che sono collocati in zone del corpo in cui esiste una forte modulazione delle informazioni emozionali. Uno dei punti nodali è nella spina dorsale sulle corna posteriori del midollo spinale, zona in cui vengono gestite le informazioni sensoriali. Abbiamo scoperto che ogni area che riceve le informazioni, da tutti i 5 sensi, è un punto nodale che contiene recettori neuropeptidi.
Credo che queste scoperte hanno affascinanti implicazioni per comprendere come le emozioni lavorano e operano. Consideriamo ora la sostanza chimica angiotensina, un altro classico ormone diventato ora un neuropeptide. Quando abbiamo fatto la mappa dei recettori per l’angiotensina, ancora abbiamo trovato una grande concentrazione nell’amigdala. È noto da tempo che l’angiotensina controlla la sete, infatti, se attraverso un tubicino inserito nel cervello di un topo, mandiamo una goccia di angiotensina nell’amigdala, in dieci secondi il topo inizierà a bere anche se è totalmente sazio di acqua. Chimicamente parlando l’angiotensina provoca un’alterazione dello stato mentale che può essere tradotto come ‘ho sete’. In altre parole i neuropeptidi modificano gli stati di coscienza.
È ugualmente importante considerare il fatto che i recettori non sono solo nel cervello ma anche nel corpo. Le nostre mappe mostrano infatti gli stessi recettori dell’angiotensina sia nel cervello che nei reni, dove favoriscono la ritenzione dell’acqua. Quindi la produzione di angiotensina conduce sia al comportamento del bere che alla conservazione dei liquidi.
La mia convinzione di base è che i neuropeptidi rappresentano la base fisiologica delle emozioni. Come i miei colleghi ed io abbiamo recentemente discusso in un articolo sul Journal of Immunology: la particolare struttura della distribuzione dei recettori neuropeptidici nelle aree della regolazione umorale del cervello, tanto quanto il loro ruolo di mediazione delle comunicazioni nell’interno organismo, rende i neuropeptidi gli ovvi candidati quali mediatori biochimici delle emozioni. È possibile che ogni neuropeptide veicoli un certo tipo di informazioni solo quando occupa un recettore in un certo punto nodale del corpo e del cervello. Se così fosse ogni neuropeptide potrebbe evocare un particolare ‘tono’ emozionale equivalente ad un preciso stato psichico.
All’inizio del mio lavoro di ricerca credevo, a tutti gli effetti, che le emozioni fossero nella testa ossia nel cervello.
Ora sono persuasa che sono realmente presenti anche nel corpo, esse sono prodotte dal corpo e parte del corpo. Ora non posso più fare la distinzione precisa tra cervello e corpo.
Comunicazione con il sistema immunitario
Voglio portare ora in questo quadro il sistema immunitario. Abbiamo già visto che il sistema ormonale, ritenuto da sempre separato dal cervello, è invece concettualmente parte del sistema nervoso. Quantità di ‘succo’ vengono secrete e diffuse molto lontano dal luogo dove verranno ricevute. L’endocrinologia e la neurofisiologia sono quindi due aspetti dello stesso processo.
Parlerò ora dell’immunologia, che considero parte di questo stesso processo e che non può più essere considerata una disciplina separata. Una proprietà fondamentale del sistema immunitario è che le sue cellule si muovono. Se non fosse per questo, esse sono identiche agli stabili neuroni del cervello. I monociti, per esempio, che ‘mangiano’ gli organismi estranei, iniziano la loro vita nel vostro midollo spinale e vengono quindi diffusi nelle vene e nelle arterie. Un monocita viaggia lungo le vie sanguigne e ad un certo punto può ricevere un certo neuropeptide,che si attacca a un recettore sulla sua memoria, ricevendo l’informazione di iniziare un processo di aggregazione (chemiotassi). I monociti non sono solo responsabili del riconoscimento e della gestione dei corpi estranei ma sono anche coinvolti nel meccanismo di riparazione dei tessuti e della guarigione delle ferite. Stiamo parlando del fatto che le cellule del sangue hanno una funzione importante nell’elaborazione delle informazioni che proteggono il nostro intero organismo.
La nuova scoperta a cui voglio dare enfasi ora, è che ogni recettore dei neuropeptidi che abbiamo analizzato (usando un elegante e preciso sistema sviluppato dal mio collega Michael Ruff) è presente anche sui monociti umani. I monociti umani hanno recettori per gli oppiacei, per il PCP, per un altro peptide chiamato bombasina e così di seghetto. Questi motori biochimici delle emozioni sembrano attualmente controllare il ricambio e le migrazioni dei monociti. I monociti comunicano con i linfociti B e T, agendo in tutto il sistema sanguigno, per combattere le malattie e per distinguere il Self da non Self, decidendo, diciamo, quali parti del corpo sono degenerate (come le cellule tumorali) o estranee e devono essere eliminate dai linfociti K (Killer). Sembra anche che le cellule del sistema immunitario, non solo hanno i recettori per i neuropeptidi, ma che esse stesse producono neuropeptidi. Ci sono categorie di cellule immunitarie che producono beta endorfine e altri peptidi oppiacei. In altre parole, queste cellule producono le stesse sostanze che sono sempre state ritenute i controllori biochimici degli umori del cervello. Queste cellule controllano l’integrità dell’intero corpo e producono sostanze che modificano l’umore: ancora una volta psiche e soma sono fusi in una unità complessa.
L’unità della varietà
Il prossimo punto che voglio sviluppare riguardo ai neuropeptidi è davvero sorprendente. Come abbiamo visto i neuropeptidi sono molecole che mandano segnali: esse inviamo messaggi in tutto il corpo compreso il cervello. Naturalmente per avere una tale ampiezza di comunicazioni, c’è bisogno di componenti che possano ‘parlare’ tra di loro e che possano ‘ascoltarsi’. Nel quadro di quello che stiamo discutendo, le componenti che ‘parlano’ sono i neuropeptidi e quelle che ‘ascoltano’ sono i recettori. Come può essere? Come possono cinquanta o sessanta neuropeptidi essere prodotti, muoversi nel corpo e parlare a cinquanta o sessanta tipi di recettori che ascoltano? Perché regna l’ordine invece del caos? La scoperta che mi appresto a discutere non è accettata totalmente ma i nostri esperimenti dimostrano che ciò è vero. Ci sono migliaia di scienziati che studiano i recettori e i peptidi oppiacei, e tutti riscontrano una grande eterogeneicità nei recettori. Essi hanno dato una serie di nomi greci a questa apparente diversità. Comunque, con ogni evidenza, l’esperienza dei nostri laboratori suggerisce che esiste solo un tipo di molecola nel recettore oppiaceo: una lunga catena polipeptidica di cui si può scrivere la formula. Questa molecola è in grado di mutare facilmente la propria conformazione all’interno delle membrane, assumendo così un diverso numero di forme. Ho notato così che questa interconversione può avvenire ad una forte velocità, così veloce che è difficile dire, in un preciso istante, in quale stato essa si trovi. In altre parole è come se questa molecola possegga sia una struttura tipo ‘onda’ che tipo ‘particella’, ed è importante notare che l’informazione è memorizzata in relazione alla forma che il recettore aveva in quel preciso momento. Come ho detto, l’unità molecolare dei recettori è davvero straordinaria.
Il tetrahymena, un protozoo, uno degli organismi più semplici, nonostante la sua semplicità unicellulare, è capace di fare tutto ciò che anche noi possiamo fare, può, mangiare, fare del sesso e naturalmente produrre gli stessi componenti neuropeptidi di cui abbiamo parlato. Questo protozoo produce insulina e beta endorfina. Abbiamo preso la membrana del tetrahymena e studiato in particolare i recettori oppiacei presenti nella loro superficie, abbiamo anche studiato i recettori oppiacei nel cervello dei topi e nei monociti umani. Crediamo di aver dimostrato che la sostanza molecolare di tutti questi recettori è la stessa. L’attuale molecola del nostro cervello è identica a quella dei recettori oppiacei del più semplice degli animali! Io spero che la forza dei miei argomenti sia evidente. I recettori oppiacei nel mio cervello e nel vostro sono fatti delle stesse sostanze molecolari di quelle del tetrahymena: questa scoperta tocca la semplicità e l’unità della vita ed è comparabile alle quattro coppie di basi del DNA che formano il codice per la produzione di tutte le proteine, che sono il substrato fisico della vita. Sappiamo ora che in questi substrati fisici esistono all’incirca 60 molecole segnalatrici neuropeptiche che prowedono all’elaborazione di tutte le differenti manifestazioni fisiologiche delle emozioni o, se preferite, per esprimere le emozioni vitali da un fluire di energie.
L’identica forma dei recettori del tetrahymena dimostra che i recettori non diventano più complessi nell’evoluzione della complessità degli esseri viventi. Identiche componenti molecolari che gestiscono il flusso di informazioni, attraverso l’evoluzione si conservano. L’intero sistema nel suo complesso e semplice, elegante e completo in se stesso.
La mente è nel cervello?
Abbiamo parlato della mente e sorge la questione: dove si trova? Nel nostro lavoro la coscienza è apparsa nel contesto dello studio sul dolore e sulla sua modulazione svolta dai recettori oppiacei e dalle endorfine. Moltissimi laboratori stanno misurando il dolore e siamo tutti d’accordo nel ritenere la sostanza grigia periacqueduttale (situata intorno al terzo ventricolo del cervello) come una sorta di area di controllo del dolore, in quanto piena di recettori oppiacei. Noi abbiamo trovato che la sostanza grigia periacqueduttale è anche piena di recettori per virtualmente tutti i neuropeptidi finora studiati.
È ormai noto a tutti che ci sono Yogi che possono esercitare certe pratiche volontarie in modo da non percepire più il dolore; a volte le partorienti possono fare la stessa cosa. Sembra che questo tipo di persone siano capaci di ‘inserirsi’ nelle loro sostanze grigie periacqueduttali. In qualche modo riescono ad avervi accesso, con la loro coscienza suppongo, e a modificare la soglia di percezione del dolore. Notiamo cosa accade in queste situazioni una persona ha un’esperienza che produce dolore, ma una parte della stessa persona fa coscientemente qualcosa in modo che il dolore non venga sentito. Da dove viene questa coscienza, questo io cosciente, che si inserisce nelle aree cerebrali del dolore in modo che il dolore non venga percepito?
Vorrei ritornare all’idea di rete di informazioni (network).
Una rete è differente da una struttura gerarchica che possiede una parte superiore e una inferiore. Teoricamente ci si può inserire in ogni punto di una rete e raggiungere qualsiasi altro punto. Il concetto di rete mi sembra adatto a comprendere il processo di come la coscienza è presente nelle aree del dolore e di come le modifica per controllarlo.
Tanto lo Yogi che la partoriente usano una tecnica simile per il controllo del dolore: il respiro. Anche gli atleti lo usano. Il respiro è estremamente potente. L’area neurofisiologica della funzione respiratoria è nei nuclei del tronco cerebrale. Io ritengo che questi nuclei dovrebbero essere inclusi nel sistema limbico in quanto sono ‘punti nodali’ fittamente disseminata di neuropeptidi e dei relativi recettori.
La mia idea si potrebbe mettere così: il respiro ha una base fisica nei nuclei del tronco cerebrale che sono anche un punto nodale, questo punto nodale è parte di una rete di informazioni in cui ogni punto è in contatto con ogni altro, per cui la coscienza può, tra le altre cose, inserirsi sulle funzioni delle aree del dolore.
Io ritengo sia possibile concepire la mente e la coscienza come prodotto dell’elaborazione delle informazioni emozionali, e, in quanto tali, la mente e la coscienza apparirebbero esse re indipendenti dal cervello e dal corpo.
La mente può sopravvivere alla morte fisica?
Un’ultima congettura, oltraggiosa probabilmente, ma coerente con il tema di questo simposio su ‘Sopravvivenza e Coscienza’. Può la mente sopravvivere alla morte del cervello? Credo che ora dovremo ricordare come la matematica ritiene che le entità fisiche possono improvvisamente collassare o espandersi all’infinito. Io penso sia importante realizzare che l’informazione è immaganizzata nel cervello e mi sembra plausibile che l’informazione possa trasferirsi in qualche altra dimensione. La molecola di DNA contiene sicuramente le informazioni che producono il cervello e il corpo, e lo psicosoma sembra scambiare (nella riproduzione-fecondazione n.d.r.) le molecole dell’informazione che danno vita all’organismo.
Dove vanno le informazioni dopo la distruzione fisica della molecola (la massa) che la compone? La materia non può essere creata né distrutta, ed è plausibile che il flusso di informazioni biologiche non possa scomparire alla morte e debba essere trasformato in un’altra dimensione.
Chi può razionalmente dire ‘impossibile’? Nessuno fino ad ora ha unificato matematicamente la teoria dei campi gravitazionali con la materia e l’energia. La matematica della coscienza non è ancora stata applicata. La natura dell’ipotetica ‘altra’ dimensione è correttamente riconosciuta nella realtà religiosa e mistica, in cui alla scienza occidentale è inibita ad addentrarsi.
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