Polveri indigeste

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Polveri indigeste

di Stefano Montanari

Siamo usciti con un intervista a Antonietta Morena Gatti sul n°16 di Scienza e Conoscenza nello
stesso momento in cui Beppe Grillo aveva fatto esplodere il caso delle nanoparticelle e della
fatidica sparizione del microscopio elettronico a scansione ambientale, lo strumento con cui la
Dott.rssa Gatti e il marito Stefano Montanari avevano isolato le micropolveri fin nei tessuti umani.
Ora che tutto sembra più o meno messo a tacere, volentieri pubblichiamo quest’intervento di Stefano
Montanari che anticipa, dopo il DvD, l’uscita del suo nuovo libro: “il girone delle polveri” una
novità MacroEdizioni gennaio/febbraio 2008

Gli occhi sono uno strumento sterile se la luce che entra si ferma lì e l’immagine non è elaborata a
livello del pensiero. Gli ostacoli ad un procedimento del genere, sebbene apparentemente così ovvio,
sono più d’uno e, tra loro, vi spicca una sorta di censura che noi poniamo al ragionamento. Tale
censura automatica ci permette di continuare a vedere ciò che vogliamo vedere, ciò che, per es, ci
rassicura e ci mantiene in una situazione di confort. Nemmeno lo scienziato, il meno influenzabile
tra gli uomini, è libero da questo vincolo. Anzi, a volte ne è schiavo inconscio, talmente schiavo
da diventare il nemico più tenace ed insidioso della scienza.
Accade che sotto il suo naso si svolgano fenomeni che il suo occhio individua perfettamente, ma che
finiscono per sua involontaria volontà, se mi è permessa una simile antinomia, nel cestino della
carta straccia del suo cervello.

Ciò che abbiamo osservato noi – in realtà mia moglie, perché il vero scienziato è lei – è qualcosa
che sarà passato indubbiamente sotto il microscopio di mille e mille ricercatori, ma che è stato
cancellato senza lasciare traccia. Di che si tratta? L’atmosfera pullula di polveri e così i cibi e
i farmaci, e noi quelle polveri ce le respiriamo e ce le mangiamo. Tutto qui? Tutto qui. Se non
fosse che noi quelle polveri le abbiamo viste nei tessuti malati di cancro, in quelli di feti
malformati, in quelli di malattie infiammatorie e, insomma, ben piantate nell’organismo umano da cui
non escono più perché noi non siamo in grado di liberarcene. E lì sarebbe bene che non ci stessero.

Per un non addetto ai lavori, tutto questo può apparire perfettamente logico e, in effetti, è
perfettamente logico, se non che una scoperta simile va a sconvolgere una fetta di mondo.
L’Uomo (con la U maiuscola) è l’unico animale inquinante che esista su questo pianeta, il che è la
particolarità che lo distingue inequivocabilmente da ogni altro essere. E l’inquinamento è dovuto
all’applicazione della scienza di cui l’Uomo è capace sotto forma di tecnologia. Nella visione che
spazia tra Ottocento e Futurismo, tradurre la scienza in tecnologia – la tecnologia che siamo stati
capaci di partorire – è cosa di cui andare fieri. In realtà, a costo di farmi dei nemici, mi sento
di non condividere la visione o, almeno, non completamente. Ciò che abbiamo fatto da quando abbiamo
imparato ad accendere il fuoco è di allontanarci prima con esitante timidezza, poi, via via, con
baldanza crescente, dalla Natura, sfidandola come se fosse una nemica da sconfiggere, senza
ascoltare Bacone che ci ammoniva dicendoci che l’unico modo per dominarla è obbedirle e, lasciando
da parte i filosofi, senza nemmeno ascoltare il buon senso.

Impadronirci del fuoco è stato il primo atto contronatura (oddio, che cosa ho detto!) e questo
perché le combustioni, tutte, nessuna esclusa, generano polveri in parte indistruttibili e, dunque,
eterne, almeno per le nostre dimensioni. Se per millenni il fuoco è stato qualcosa da trattare con
rispetto, quasi con soggezione, se non altro per la difficoltà di mantenerlo e di farlo abbastanza
caldo, tanto che i manufatti usciti dalle fucine (i metalli o il vetro, per esempio) erano alla
portata solo di una piccola minoranza stanti i loro costi, dalla cosiddetta Prima Rivoluzione
Industriale settecentesca in cui si scoprirono le potenzialità del vapore e ancor di più dalla
Seconda Rivoluzione Industriale, quella dell’Ottocento in cui si cominciò in grande stile a bruciare
i combustibili fossili, il fuoco è diventato sempre più a buon mercato. E oggi superare i 10 o i
15.000 gradi è un giochetto da ragazzi. Questo apre orizzonti immensi di manufatti e di servizi ma,
ahimé, non si sono fatti i conti per intero.

Se bruciare significa fare polvere e se questa polvere è eterna, bruciare molto significa fare molta
polvere eterna e la Terra questa roba proprio non la digerisce. Quella che produciamo resta per
sempre e, come conseguenza, cambia le caratteristiche di un habitat e provoca tutta una serie di
malattie, quelle che mia moglie, Antonietta Gatti, battezzò “nanopatologie”, dove il prefisso nano
sta per le nanopolveri, vale a dire le polveri più piccole di un millesimo di millimetro.
Ma chi è, nello specifico, il mostro che partorisce questa cosa tanto terribile? Qui sta l’inghippo.
La Natura produce un po’ di polveri, particelle in termine appena più tecnico, attraverso i vulcani
e l’erosione delle rocce, per esempio, ma questi granellini sono piuttosto grossolani. L’Uomo,
invece, di particelle ne produce quantità immense e di dimensioni di gran lunga più minuscole di
quelle d’origine naturale, e il fatto che siano così piccole è un guaio, perché, più piccole sono,
meglio e più profondamente s’insinuano nell’organismo, fino a penetrare indisturbate nel nucleo
delle cellule. Motori a scoppio, cementifici, fonderie e inceneritori sono i grandi colpevoli, ed è
facile intuire come questi colpevoli siano legati ad interessi economici enormi. In più, c’è la
guerra, quella moderna, quella che usa sostanze che esplodono ad altissima temperatura come l’uranio
impoverito, e anche qui gl’interessi sono notevolissimi.

Il nostro paese detiene un certo numero di primati, non tutti lodevoli. Uno è quello di avere il
maggior numero di veicoli per abitante e per chilometro di strada, e questo comporta inevitabilmente
il rilascio di grandi quantità di gas di scarico, con polveri annesse, in atmosfera. Un altro
primato, quello di rendere legale ciò che è illegittimo, richiede un po’ più di spiegazione. Anni
fa, la Comunità Europea stabilì che i paesi aderenti dovevano riservare il 7% della loro bolletta
energetica all’incentivazione delle fonti d’energia rinnovabile, il che significa principalmente il
sole e il vento. Il nostro governo, con un delicato colpo di mano, aggiunse alla dizione “energie
rinnovabili” le due parole “e assimilate”, con questo affiancando a sole e vento i rifiuti e gli
scarti delle raffinerie di petrolio che, ovviamente, tutto sono tranne fonti d’energia rinnovabile.
Quelle due paroline aggiunte hanno generato, oltre alle multe comminateci dall’Europa, un business
miliardario (ad oggi 38 miliardi di Euro) con cui si mantengono faccendieri e partiti politici i
quali, va da sé, non hanno alcun interesse che si sappia quanto pericolosi siano i loro impianti,
impianti, peraltro, completamente inutili, essendo il peggior surrogato, pur se superficialmente il
più comodo, di una gestione intelligente dei rifiuti.

Dunque, questa scoperta, in apparenza così innocuamente banale, diventa qualcosa da imbavagliare.
Io, su questa scoperta, ci ho fatto centinaia di conferenze, ci ho scritto fiumi di parole e ci ho
fatto >>un DVD che è nato per essere comprensibile a tutti e perché chiunque, se lo vuole, sia messo
in condizione di difendersi da questa aggressione che non coinvolge soltanto noi, ma le generazioni
future.

Poi ci ho scritto un libro ad uso degli scienziati, ponderoso e, magari, non sempre di facile
lettura, e uno, invece, per tutti, in cui gli argomenti del DVD vengono sviscerati in modo più
completo e in cui racconto la storia della scoperta e ciò che dalla scoperta è scaturito, qualcosa
che nessuno, ed io per primo, si aspettava.

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