Tratto da:
Thich Nhat Hanh IL BUDDHA VIVENTE IL CRISTO VIVENTE
NERI POZZA EDIZIONE TITOLO ORIGINALE LIVING BUDDHA, LIVING CRISTO TRADUZIONE DI FRANCESCO BRUNELLI
PRENDERE RIFUGIO
– Un’isola sicura –
In ogni tradizione religiosa esistono la pratica devozionale e la pratica di trasformazione.
Devozione significa fare più affidamento su se stessi e sulla via che si sta seguendo. Entrambi sono
cammini che possono aiutarci ad alleviare la sofferenza. Ma essere devoti al Dharma può essere
diverso dal praticare il Dharma. Quando dite: “Prendo rifugio nel Dharma”, esibite la vostra fede in
esso, ma ciò può non essere lo stesso che praticarlo. Quando dite: “Desidero diventare dottore”,
esprimete la vostra determinazione a praticare la professione medica. Ma per diventare dottore ci
vogliono sette, o otto anni di studio e pratica della medicina. Quando dite: “Prendo rifugio nel
Buddha, nel Dharma e nel Sangha”, può semplicemente trattarsi della volontà di praticarli.
Un’affermazione non basta perché si possa dire che siete già passati alla pratica. Quando iniziate a
mettere in pratica le cose che dite, imboccate il cammino della trasformazione.
Dire delle parole, tuttavia, produce davvero un effetto.
Quando dite: “Sono deciso a studiare medicina”, quest’affermazione ha già un impatto sulla vostra
vita, ancora prima che vi iscriviate all’università. Lo volete fare e, grazie alla vostra volontà e
al vostro desiderio, troverete un modo per frequentare la scuola. Quando dite: “Prendo rifugio nel
Dharma”, esprimete fiducia nel Dharma. Considerate il Dharma come qualcosa di positivo e volete
orientarvi verso di esso. Questa è devozione. Quando applicate il Dharma nella vostra vita pratica,
si tratta di pratica della trasformazione.
La consapevolezza è la chiave. Quando raggiungete la consapevolezza di qualcosa, iniziate ad avere
l’illuminazione. Quando bevete un bicchiere d’acqua e siete consapevoli di bere un bicchiere d’acqua
nell’intimo di tutto il vostro essere, l’illuminazione è presente nella sua forma iniziale. Essere
illuminati è sempre essere illuminati riguardo a qualcosa. Sono illuminato circa il fatto che sto
bevendo un bicchiere d’acqua. Posso ottenere gioia, pace e felicità proprio grazie a
quest’illuminazione. Quando guardate il cielo azzurro e ne siete consapevoli, il cielo diventa reale
e voi diventate reali. Questa è illuminazione, e l’illuminazione genera la vera vita e la vera
felicità. La sostanza di un Buddha è la consapevolezza. Ogni volta che praticate la respirazione
cosciente, siete un Buddha vivente.
Nei momenti di difficoltà la miglior pratica è ritornare a se stessi e dimorare nella
consapevolezza. La coscienza della respirazione è la vostra isola, dove potete essere salvi e
felici, sapendo che qualunque cosa accada state facendo la miglior cosa. Questa è la via per
prendere rifugio nel Buddha, non tanto come mera devozione, quanto come pratica di trasformazione.
Non dovete abbandonare questo mondo. Non dovete andare in paradiso, o attendere il futuro per avere
un rifugio. Potete prendere rifugio qui e ora. Occorre soltanto che dimoriate profondamente nel
momento presente.
– La consapevolezza è il rifugio –
Nel buddhismo prendiamo rifugio nei Tre Gioielli: il Buddha, il Dharma e il Sangha. Questi rifugi
sono una pratica profondissima. Sono la trinità buddhista:
“Prendo rifugio nel Buddha, colui che mi mostra la via in questa vita. Prendo rifugio nel Dharma,
la via della comprensione e dell’amore. Prendo rifugio nel Sangha, la comunità che vive in armonia
e consapevolezza.”
Molti anni or sono, nello Sri Lanka, incontrai alcuni bambini su una spiaggia. Era molto tempo che
non vedevo dei bambini così, bimbi scalzi su un’isola verdissima, senza segni di inquinamento
industriale. Non erano bambini dei ghetti urbani, erano bimbi di campagna. Li osservai e mi parve
facessero splendidamente parte della natura. Quando stavo sulla spiaggia da solo, i bambini subito
correvano verso di me. Non conoscevamo le nostre rispettive lingue, così mettevo le mie braccia
attorno alle loro spalle, di tutti e sei, e restavamo così a lungo. A un tratto mi resi conto che se
avessi intonato una preghiera nell’antica lingua buddhista, il pali, l’avrebbero riconosciuta,
sicché iniziai a salmodiare: “Buddham saranam gacchami” (Prendo rifugio nel Buddha). Essi non solo
la riconobbero, ma continuarono a salmodiare. Quattro di loro congiunsero le palme e recitarono,
mentre gli altri due se ne stavano rispettosamente in piedi. Questo inno è una preghiera comune,
come il Padre nostro. “Prendo rifugio nel Buddha. Prendo rifugio nel Dharma. Prendo rifugio nel
Sangha”.
Feci cenno ai due bambini che non cantavano affinché si unissero a noi. Sorrisero, congiunsero le
palme e intonarono in pali: “Prendo rifugio nella madre Maria”. La musica della loro preghiera non
era molto diversa da quella buddhista. Allora abbracciai ogni bambino. Erano un po’ sorpresi, ma mi
sentivo in armonia con ognuno di loro. Mi avevano donato una sensazione di pace e serenità profonde.
Tutti noi abbiamo bisogno di un luogo che sia sicuro e integro a sufficienza in cui tornare a
rifugiarci. Nel buddhismo tale rifugio è la consapevolezza.
– Il fondamento della stabilità e della tranquillità –
Quand’eravamo nel grembo materno, ci sentivamo al sicuro, protetti dal caldo, dal freddo e dalla
fame. Ma quando siamo nati e venuti a contatto con la sofferenza del mondo, abbiamo cominciato a
piangere. Da allora abbiamo aspirato a ritornare nel grembo materno e nella sua sicurezza.
Desideriamo ardentemente la stabilità, ma ogni cosa è mutevole.
Desideriamo l’assoluto, ma anche ciò che chiamiamo il nostro “sé” è impermanente. Cerchiamo un luogo
in cui possiamo sentirci sicuri e tranquilli, un luogo su cui poter contare a lungo. Quando
calpestiamo il suolo, percepiamo la stabilità della terra e ci sentiamo fiduciosi.
Quando osserviamo la costanza del sole, dell’aria e degli alberi, sappiamo di poter contare sul
fatto che il sole sorge ogni giorno e che l’aria e gli alberi sono sempre presenti. Quando
costruiamo una casa, la erigiamo su un terreno solido. Prima di riporre fiducia negli altri, abbiamo
bisogno di scegliere amici che siano costanti, su cui fare assegnamento. Il “prendere rifugio” non
si basa sulla cieca fede, o su pii desideri. È misurato dalla nostra esperienza reale.
Tutti noi abbiamo bisogno di qualcosa di buono, bello e vero in cui credere. Prendere rifugio nella
consapevolezza, la nostra capacità di essere coscienti di quanto accade nel presente, è sicuro e
nient’affatto astratto. Quando beviamo un bicchiere d’acqua e sappiamo che stiamo bevendo un
bicchier d’acqua, questa è consapevolezza. Quando sediamo, camminiamo, stiamo in piedi, o
respiriamo, entriamo in contatto con il seme della consapevolezza che è in noi, e, dopo pochi
giorni, la nostra consapevolezza si farà più forte. La consapevolezza è la luce che ci mostra la
via. È il Buddha vivente dentro di noi. La consapevolezza fa sorgere l’intuizione, la coscienza e
l’amore. Tutti noi siamo dotati del seme della consapevolezza dentro di noi e, mediante la pratica
della respirazione cosciente, possiamo apprendere a raggiungerla. Prendere rifugio nella Trinità
Buddhista – il Buddha, il Dharma e il Sangha – significa prendere rifugio nella nostra
consapevolezza, nella nostra respirazione cosciente e nei cinque elementi che formano il nostro sé.
– Inspirare, espirare,
Il Buddha è la mia consapevolezza, che risplende vicino, che risplende lontano. Il Dharma è la mia
respirazione cosciente, che calma il corpo e la mente. Sono libero.
– Inspirare, espirare, Il Sangha è i miei cinque skandha, che operano in armonia. Prendo rifugio
in me stesso, Ritorno a me stesso. Sono libero.
Quando pratichiamo questo esercizio, esso ci porta direttamente a un luogo di pace e stabilità, al
luogo più tranquillo e stabile in cui possiamo andare. Il Buddha insegna: “Sii un’isola in te
stesso. Prendi rifugio in te stesso e in nient’altro”. Quest’isola è la retta consapevolezza, la
natura risvegliata, il fondamento della stabilità e della tranquillità che dimora in ciascuno di
noi. Quest’isola diffonde la luce sul nostro cammino e ci aiuta a vedere che cosa fare e non fare.
Quando i nostri cinque skandha – forma, sensazioni, percezioni, stati mentali e coscienza – sono in
armonia, ci saranno naturalmente la retta azione e la pace. La respirazione cosciente genera
tranquillità e armonia. Consapevoli del fatto che praticare questa via è la cosa migliore che
possiamo fare, ci sentiremo saldi nell’intimo e saremo un vero veicolo per aiutare gli altri.
– Abbracciare, non lottare –
Nella chiesa ortodossa cristiana l’idea della Trinità è certo profonda. A volte i nostri amici
ortodossi chiamano Trinità il loro “programma sociale”. Essi iniziano con lo Spirito Santo e il
Figlio. Il Padre appartiene al regno dell’ineffabile, ma è possibile avvicinare il Figlio e lo
Spirito Santo. Abbiamo la capacità di riconoscere la presenza dello Spirito Santo dovunque e in
qualsiasi momento si manifesti. Ancora una volta si tratta della presenza della consapevolezza,
della comprensione e dell’amore, l’energia che anima Gesù e ci aiuta a riconoscere il Cristo
vivente. Quando si fa il segno della croce, o pronunzia i nomi del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo, una cristiana prende rifugio.
Il Buddha diceva che il suo corpo della legge sarebbe rimasto con i suoi discepoli, ma che era
affar loro farlo durare. Se non pratichiamo, ci saranno soltanto libri e nastri registrati; ma, se
pratichiamo, il corpo del Dharma sarà il Dharma vivente. Dharmakaya in seguito ha assunto il
significato di anima dei Buddha, spirito del Buddha, vero Buddha, o natura del Buddha. Esso sviluppò
un aroma ontologico, quale fondamento di ogni essere, fondamento di ogni illuminazione. Infine
divenne l’equivalente di quiddità, nirvana e tathagatagarbha (il grembo del Tathagata). Si tratta di
uno sviluppo naturale. Il Dharma è la porta che si schiude su innumerevoli significati
Nella chiesa greco-ortodossa, l’idea di divinizzazione, secondo cui una persona è un microcosmo di
Dio, è una notevole fonte d’ispirazione. È prossima alla tradizione asiatica secondo la quale il
corpo di un essere umano è un microcosmo. Dio creò gli uomini affinché gli uomini potessero farsi
Dio. Un essere umano è un mini-Dio, un micro-theos che è stato creato al fine di partecipare della
divinità di Dio. Dell’uomo viene divinizzato, non solo lo spirito, ma anche il corpo. Nella chiesa
ortodossa, secondo la dottrina della Trinità, il Padre è la fonte della divinità che genera il
Figlio Con il Verbo (Logos), Egli genera lo Spirito che vive nel Figlio. Notevolissima è la
somiglianza con la natura non dualistica del Buddha, del Dharma e del Sangha.
Alphonse Daudet ci ha lasciato uno scritto a proposito di un pastore che, in montagna, si fece il
segno della croce quando vide una stella cadente. Secondo la credenza popolare nel momento in cui si
osserva una stella cadente, un’anima sta entrando in paradiso. Farsi il segno della croce è una
forma del prendere rifugio nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo Quando si crede che qualcosa
sia l’incarnazione del male, si protende la croce per cacciarlo via. Nel buddhismo popolare, quando
la gente vede qualcosa che ritiene maligna, invoca il nome del Buddha. Queste sono tutte pratiche
devozionali. Quando si diffonde la luce, la tenebra svanisce.
Possiamo interpretare tutto ciò come una sorta di lotta fra la luce e la tenebra, ma in realtà si
tratta di un abbraccio. La consapevolezza, se praticata continuamente, sarà forte abbastanza da
abbracciare la paura, o la collera e trasformarle. Non abbiamo bisogno di cacciar via il male.
Possiamo abbracciarlo e trasformarlo in un modo non violento, non dualistico.
– Entrare in comunione con il Cristo vivente –
Quando invochiamo il nome del Buddha, evochiamo le stesse qualità del Buddha in noi stessi. Ci
dedichiamo alla pratica per far sì che il Buddha diventi vivo dentro di noi, così da poter avere
sollievo dalle afflizioni e dagli attaccamenti. Ma diverse persone che invocano il nome del Buddha
lo fanno senza cercare veramente di raggiungere i semi del Buddha in loro stesse. Si racconta la
storia di una donna che invocava il nome del Buddha centinaia di volte al giorno, senza mai
attingere l’essenza di un Buddha. Dopo una pratica di dieci anni, traboccava ancora di collera e
irritazione. Il suo vicino osservava la circostanza e un giorno, mentre ella stava invocando il nome
del Buddha, bussò alla sua porta e gridò: “Signora Ly, aprite la porta!”. La donna era molto seccata
d’essere disturbata, suonò la sua campana molto forte affinché il vicino udisse che stava
salmodiando e smettesse di disturbarla. Ma costui continuava a chiamarla: “Signora Ly, signora Ly,
signora Ly, ho bisogno di parlarvi”. La donna s’infuriò, gettò la sua campana a terra e scalpitò
verso la porta esclamando: “Non vedete che sto invocando il nome del Buddha? Perché m’importunate
ora?”. Il vicino replicò: “Ho chiamato il vostro nome solo dodici volte e guardate come siete andata
in collera. Immaginate come debba essere in collera il Buddha dopo che avete invocato il suo nome
per dieci anni!”.
I cristiani possono fare esattamente come la signora Ly se seguono soltanto meccanicamente i
rituali, o pregano senza essere veramente presenti. Ecco perché sono stati spronati dai maestri
cristiani a praticare la “Preghiera del Cuore”. Nel cristianesimo, come nel buddhismo, molte persone
nella loro pratica ottengono poca gioia, sollievo, distensione, liberazione o grandezza d’animo.
Anche se continuano per centinaia d’anni in quel modo, non entreranno mai in comunione con il Buddha
vivente, o il Cristo vivente. Se i cristiani che invocano il nome di Gesù sono presi solamente dalle
parole, possono perdere di vista la vita e l’insegnamento di Gesù. Praticano solo la forma non la
sostanza. Quando praticate la sostanza, la mente vi si schiarisce e raggiungete la gioia. I
cristiani che pregano Dio devono anche apprendere a fondo l’arte di vivere del Cristo se vogliono
penetrare nei suoi insegnamenti. È annaffiando i semi delle qualità ridestate che sono già in noi,
praticando la consapevolezza, che entriamo in comunione con il Buddha vivente e il Cristo vivente.
– Una piccola Pura Terra –
Sono diventato monaco all’età di sedici anni nella tradizione zen, ma nel nostro tempio praticavamo
anche il buddhismo della Pura Terra. Il buddhismo della Pura Terra, molto popolare in tutta l’Asia
Orientale, insegna che se si pratica rettamente nel presente, si rinascerà nel Paradiso Occidentale
del Buddha Amida, la Terra della Gioia Mirabile del Buddha Aksobhya, o il Paradiso della Gratitudine
del Buddha Maitreya. Una Pura Terra è una terra, forse nello spazio e nel tempo, forse nella nostra
coscienza, in cui violenza, odio, bramosia e discriminazione sono stati ridotti ai minimi termini,
perché molte persone praticano la comprensione e la benevolenza sotto la guida di un Buddha e di
diversi bodhisattva. Ogni adepto della via del Buddha è, prima o poi, motivato dal desiderio di
fondare una Pura Terra, in cui poter condividere la propria gioia, la propria felicità e la propria
pratica con gli altri. Io stesso ho cercato diverse volte di fondare una piccola Pura Terra per
condividere la pratica della gioia e della pace con amici e discepoli. In Vietnam era Phuong Boi
negli altipiani centrali, e in Francia è il nostro centro di pratica di Plum Village. Anche un
asram, quale la Comunità dell’Arco in Francia, è una Pura Terra. Un grande essere illuminato
dovrebbe riuscire a fondare una grande Pura Terra. Altri fra noi compiono il tentativo di dar vita a
una minuscola Pura Terra. Questa è semplicemente una tendenza naturale a condividere la felicità.
Una Pura Terra è un luogo ideale dove recarsi a praticare finché si ottiene la piena illuminazione.
Numerose persone in Asia praticano il ricordo del Buddha (Buddhanusmrti), riflettendo sulle qualità
del Buddha – immaginandolo, o invocandone il nome – al fine di rinascere nella sua Pura Terra.
Durante il tempo della pratica, esse dimorano in una sorta di rifugio in quel Buddha. Sono vicine a
lui e innaffiano anche i semi della buddhità in se stesse. Ma la Pura Terra è impermanente. Nel
cristianesimo, il Regno di Dio è il luogo in cui si andrà per l’eternità. Ma, nel buddhismo, la Pura
Terra è una sorta di università dove si fa pratica con un maestro per un po’, ci si diploma e poi si
ritorna qui per continuare. Alla fine si scopre la Pura Terra nel proprio cuore, si scopre che non
occorre andare in un luogo remoto. Potete fondare la vostra minuscola Pura Terra, un Sangha di
meditazione, proprio qui, proprio ora. Ma molte persone hanno bisogno di andarsene prima di rendersi
conto che non devono andare da nessuna parte.
– Pratica devozionale e di trasformazione –
La pratica della presa di rifugio può essere realizzata ogni giorno, diverse volte al giorno.
Ogni volta che vi sentite agitati, tristi, timorosi o preoccupati, potete far ritorno alla vostra
isola di consapevolezza. Se la praticate quando non attraversate delle difficoltà, sarà per voi più
facile ritornare all’isola del vostro sé quando la necessità è grande. Non aspettate d’essere
colpiti da un’ondata per far ritorno alla vostra isola. Prendete rifugio ogni giorno vivendo
consapevolmente ogni momento della vostra vita e la pratica diventerà un’abitudine. Poi, quando
arriva un momento difficile, sarà naturale e facile prendere rifugio.
Camminare, respirare, sedere, mangiare e bere tè nella consapevolezza sono tutte pratiche di presa
di rifugio. Non si tratta di un articolo di fede. L’esperienza ne è il vero fondamento.
Se mai mi trovassi su un aereo e il pilota annunciasse che il velivolo sta precipitando, praticherei
la respirazione cosciente e prenderei rifugio nell’isola del sé. So che è la miglior cosa ch’io
possa fare. Se, sotto sotto, sapete che sto praticando la respirazione cosciente e prendo rifugio
nell’isola del sé, avrete fiducia. Io pratico sempre la meditazione camminata negli aeroporti. Cerco
di andare all’aeroporto per tempo così da non dovermi precipitare quando arrivo. La respirazione
cosciente unisce corpo e mente. Numerose persone definiscono la consapevolezza il cuore della
meditazione buddhista. È la prima condizione per entrare in intimo contatto con qualsiasi cosa
Quando praticate la consapevolezza, entrate in comunione con lo Spirito Santo e diventate pacifici e
forti.
Prendere rifugio nei Tre Gioielli è il fondamento di ogni pratica buddhista. Prendere rifugio nella
Trinità è il fondamento di ogni pratica cristiana. La pratica devozionale e quella di trasformazione
possono suonare distinte, ma come la prima può essere pratica di trasformazione così quest’ultima
esige devozione. La pratica devozionale fa maggiore assegnamento sull’altro, ma c’è anche uno sforzo
personale. La pratica di trasformazione fa assegnamento sul sé, ma sono necessari anche una comunità
e un maestro. La consapevolezza e lo Spirito Santo sono il cuore di entrambe.
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