PRINCIPI DELLA SALUTE GLOBALE 5
da “Enciclopedia olistica”
di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli
La terra è una grande pila – Effetti dei campi elettromagnetici terrestri e artificiali sull’uomo,
sugli animali e sulle piante
del dott. Azima Rosciano
La Terra è costituita e vive in un intreccio di campi elettromagnetici. La biogeologia studia questi
campi e i loro effetti sui sistemi biologici. Sono stati evidenziate alcune sorgenti, campi di forze
provenienti da falde acquifere e giacimenti minerari, dalla struttura elettromagnetica reticolare e
da campi di energia elettrica alternata come campi che hanno un potenziale effetto negativo su
uomini, animali e piante. Esaminiamo brevemente le diverse fonti di influssi, quelli provenienti
dalla terra e quelli prodotti dalle macchine dell’uomo.
Campi elettromagnetici terrestri
Occorre innanzitutto ricordare che tutti gli esseri viventi, dall’uomo ai minerali, emettono
radiazioni di natura elettromagnetica. Nell’attuale stile di vita industrializzato e altamente
meccanizzato, soprattutto negli agglomerati urbani si vive circondati da radiazioni artificiali,
create soprattutto dalle apparecchiature elettriche ed elettroniche: satelliti, radio, televisione,
computer, microonde, telefoni cellulari, onde radar ecc. La Terra in quanto tale, dal punto di vista
elettromagnetico è un’armatura negativa di un enorme condensatore il cui polo positivo è il cosmo
stesso. L’armatura negativa della Terra si carica e scarica continuamente mediante i temporali che
solo circa 2000 al secondo su tutto il pianeta. L’amperaggio di questa armatura è molto basso, circa
1800ampères. Avendo ciò in mente, che cioè l’uomo e tutti gli esseri viventi formano e vivono in un
enorme condensatore di energia, questo è il nostro pianeta, si può già comprendere il potenziale
dannoso di apparecchiature divenute potentissime che ne alterano campi elettromagnetici. Esaminiamo
brevemente le due diverse fonti di influssi, quelli provenienti dalla terra stessa e quelli prodotti
dalle macchine dell’uomo. Per quanto riguarda le radiazioni provenienti dalla crosta terrestre
sappiamo oggi che esistono due tipi diversi di onde: a) le onde di Schumann che sono di fondamentale
importanza per l’esistenza armonica degli esseri umani sul pianeta. Sono onde a brevissimo raggio e
di elevata intensità da frequenze di 1hz a circa 1000hz e sono prodotte dalla terra come emissione
naturale del suo corpo. Tali onde sono indispensabili all’equilibrio del sistema nervoso centrale e
soprattutto al sistema periferico. Sappiamo oggi con certezza che l’eliminazione delle onde Schumann
crea tutta una serie di sintomi e disturbi quali, cefalee, nausea, stanchezza, disturbi di
assorbimento, alterazione dei livelli ormonali, abbassamento del sistema immunitario, minore
resistenza ai virus. Le onde Schumann vengono bloccate, ad esempio, dalle enormi estensioni di
strade asfaltate delle città e dall’uso indiscriminato del cemento. L’asfalto e il cemento bloccano
artificialmente le onde della terra ed hanno un effetto isolante dalla crosta terrestre che non è
più in grado di emanare i suoi effetti benefici per gli esseri urbani…
Per chi vive in città è necessario quindi poter restare almeno due o tre giorni alla settimana in
contatto con la natura, lungo corsi d’acqua o nei boschi per riequilibrarsi mediante le onde
Schumann libere, fondamentali al nostro sistema nervoso e alla nostra vitalità. Esistono altri tipi
di onde prodotte dalla Terra di cui bisogna conoscere la struttura perché possono avere effetti
nocivi. Si tratta delle onde prodotte da acque sotterranee, faglie geologiche che emettono raggi
gamma e neutroni, giacimenti sotterranei di carbonio – petrolio – gas naturali i quali modificano il
campo radioattivo della terra e i campi magnetici reticolari di Hartmann e Curry. I campi reticolari
sono costituiti da fasce di diametro di circa 30 cm. circa che circondano la terra da nord a sud con
intervalli regolari di circa due metri uno dall’altro e in senso est ovest a circa 2,5 metri uno
dall’altro. Il raggio d’azione di questo reticolo arriva sino alla stratosfera. Gli incroci, i nodi
di incrocio delle fasce elettromagnetiche possono essere dannosi. L’effetto negativo viene
amplificato se nello stesso spazio abbiamo corsi d’acqua o giacimenti o falde. E’ possibile e
importante conoscere la struttura reticolare facendoci aiutare da un rabdomante, da radioestesisti o
con apparecchiature capaci di registrare i campi reticolari e misurarne l’intensità per organizzare
la propria casa evitando almeno di dormire su un nodo reticolare ad alta intensità. Dal punto di
vista medico nessuna malattia può essere curata definitivamente se il soggetto vive in una
situazione elettromagnetica negativa.
Campi elettromagnetici artificiali
D’altra parte, per quanto riguarda i campi nocivi ai sistemi biologici prodotti artificialmente, il
prof. Adey e la sua équipe di Palo Alto in California hanno dimostrato e confermato scientificamente
che le frequenze artificiali possono far scattare meccanismi di alterazione cellulare che
interferiscono nella patofisiologia del cancro. Sempre dallo stesso gruppo di ricerca, sono state
fatte ricerche sugli effetti nocivi di coperte elettriche e materassi ad acqua sullo sviluppo
fetale, verificando un’altissima incidenza di malformazioni o interruzioni di gravidanza in madri
che ne facevano uso. Uno studio fatto, nello stato di Washington nel nord ovest degli Usa fra il
1950 e il 1982 sulle morti avvenute in quel periodo, ha fatto notare su tali morti l’altissima
incidenza della professionalità. Furono classificate 480.000 morti e le occupazioni prese in
considerazione furono quelle di elettricisti, tecnici elettronici, operatori radio e telegrafi,
lavoratori con cavi ad alta tensione. I risultati di queste ricerche furono evidenti e mostrarono
che tumori, quali leucemia o linfomi Hodykins erano una proporzione crescente rispetto alle
esposizioni a campi creati da correnti elettriche alternate. Oltre alle radiazioni create dalle
correnti elettriche il nostro corpo è sottoposto quotidianamente anche a radiazioni da onde ad alte
o altissime frequenze, da 10Khz fino a 3x10khz, create da onde radio, onde televisive, onde radar,
radiazioni U.V., raggi X e altri usati dalla diagnostica medica, radio amatori, sistemi V.H.F.,
satelliti, forni a microonde. Tutte queste onde sono state verificate ed hanno una penetrazione nei
nostri tessuti da 1 a 4 cm. con interferenza in particolare sui tessuti del midollo spinale,
dell’occhio e del sistema nervoso, e particolarmente disturbanti nei tessuti in crescita, nei
bambini.
I consigli del medico
Vediamo nel nostro quotidiano come possiamo proteggerci e migliorare le nostre condizioni
ambientali. La nostra casa dovrebbe essere lontano da fonti elettromagnetiche potenti (radar,
emittenti radio e TV, linee ad alta tensione…). L’impianto elettrico deve avere la messa a terra,
antenne, cavi, televisioni telefono debbono stare ad almeno 4,5 metri dal letto. Dobbiamo conoscere
ed evitare i nodi reticolari per la posizione del letto. Pochi oggetti metallici, poco cemento,
pochi materiali sintetici e isolanti chimici, molto legno. Evitare grosse superfici di specchi nella
stanza da letto. Come abitudini individuali il medico suggerisce di camminare il più possibile
usando scarpe di cuoio e fibre naturali per i vestiti (cotone, seta), tenere piante in casa e aprire
spesso le finestre, utilizzare lampade a spettro totale e non al neon, utilizzare cristalli di
quarzo per l’assorbimento di onde elettromagnetiche provenienti da televisioni, telefoni cellulari o
computer. Pannelli di sughero possono isolare pareti che stanno a fianco di grosse trasmittenti di
cavi ad alta tensione e che potrebbero interferire sui corpi fino a una distanza di 300/400 metri.
E’ importante cominciare a responsabilizzarsi sul nostro modo di vivere per essere più in armonia ed
evitare o ridurre le implicazioni nocive alla salute, per evitare gli stress geopatici ed elettrici.
CONTRIBUTI
Come la scienza ha rimosso le relazione tra psiche e corpo
Anima e corpo. Cartesio codifica la completa separazione della coscienza e della mente, la Res
Cogitans, da quella del corpo e della materia, la Res Extensa. Cartesio era convinto che la mente,
l’io pensante, fosse un fenomeno di natura divina, creato da Dio e che solo la religione era in
diritto di occuparsene; il corpo, macchina biologica senza anima, poteva essere quindi studiato
dagli scienziati senza ledere il privilegio della religione. Ma come la psiche è connessa con il
corpo fisico? Cartesio si arrampica sui vetri delle raffinatezze filosofiche, sostenendo che l’anima
è connessa con un piccolo punto del cervello da cui dirige tutte le attività fisiche. La scienza
occidentale nasce da questa precisa divisione che si sviluppa come studio del solo corpo fisico,
della struttura meccanica senza occuparsi della mente, anzi ignorandola completamente o addirittura,
come fanno i comportamentisti e i riduzionisti, sostenendone l’insistenza. La medicina, figlia della
scienza moderna, si sviluppa studiando il solo corpo, le sue parti e la sua meccanica, da cui
derivano tutte le malattie e dalla cui modificazione farmacologica o chirurgica si può riguadagnare
la salute. La mente e le emozioni sono completamente assenti dagli studi universitari, fino a
pochissimi anni fa non solo era sconosciuta ogni forma di interazione tra psiche e corpo, ma anzi,
ogni tentativo di evidenziare delle connessioni veniva censurato e ridicolizzato. E quindi evidente
lo stupore che gran parte del mondo accademico ha mostrato di fronte alle scoperte scientifiche che,
dagli anni Sessanta a noi, testimoniano insindacabilmente che questa relazione non solo esiste ma è
probabilmente una delle cause più importanti e comuni nella genesi delle malattie e, quindi, della
loro guarigione. E interessante anche notare come la maggior parte delle più recenti scoperte
confermi le assunzioni dei primi psicoanalisti ma soprattutto della concezione medico-terapeutica,
di quella multiforme cultura che, negli USA e nel mondo, viene da tempo chiamata New Age: una
visione di unità psicosomatica, olistica, comune alla maggior parte delle tradizioni mediche
orientali, da sempre osteggiata e rimossa dalla medicina ufficiale.
Sistema immunitario ed emozioni: nuovi legami proposti dalla ricerca
Da Shakespeare alle canzonette popolari di ogni paese, risulta evidente la connessione che lega le
passioni alla gioia di vivere o, al contrario, alla depressione, alla malattia e alla morte. E
sconcertante come la scienza medica abbia tenuto fino ad ora in così poco conto questa ovvia
relazione. I tempi stanno cambiando rapidamente.
A Salisbury, in Inghilterra, non lontano da Stonehenge, opera un laboratorio scientifico molto
particolare, il “Common Cold Unit”, dove alcuni scienziati stanno studiando il raffreddore, una
delle più antiche malattie dell’umanità, con l’aiuto di volontari che accettano allegramente di
venire infettati dal virus, in cambio di vitto e alloggio e di un piccolo stipendio giornaliero. I
ricercatori del CCU stanno cercando sin dal 1946, una cura del comune raffreddore. Uno psicologo
americano di nome Sheldon Cohen, associatosi temporaneamente, sta portando avanti un programma
personale. Oltre ai soliti test del sangue e ai conteggi degli anticorpi, Cohen impiega nuovi tipi
di misure quali: gli indici di “integrazione sociale”, i “protettori di stress” e le scale di
“problemi”, misurando la conoscenza dei volontari su quanto aiuto possano aspettarsi in momenti di
stress, per vedere se particolari stati della mente influenzino la suscettibilità del corpo.
Prendiamo un raffreddore più facilmente quando ci sentiamo minacciati o soli? Questo tipo di ricerca
può forse provocare derisione in certi ambienti scientifici : “Quando dici che vuoi esaminare la
correlazione tra fattori psicosociali e malattie”, dice Cohen, “un sacco di gente guarda come se
fossi matto e anche il pubblico, in genere, è scettico sull’argomento.”
La gente non è sorpresa quando arrossisce perché è imbarazzata, quando un pensiero spaventoso fa
battere forte i loro cuori o una cattiva notizia improvvisa li mette K.O., eppure trovano difficile
credere che stati mentali quali “solitudine” o “tristezza” possano avere un impatto sui loro corpi.
Recentemente, però, i dubbi stanno iniziando a scomparire. Negli ultimi dieci anni si è assistito a
un’esplosione di ricerche che indicano che la mente e il corpo agiscono l’uno sull’altro in modi
spesso sorprendenti. Con l’aiuto dei più sofisticati mezzi di ricerca, i ricercatori stanno
dimostrando che gli stati emotivi si possono tradurre in una risposta alterata del sistema
immunitario, quel complesso insieme di organi, ghiandole e cellule che costituisce il meccanismo
principale del corpo per respingere gli invasori.
Impatto emozionale: il passo logico successivo sarebbe quello di assumere che le emozioni hanno un
impatto sulla salute. Questo legame diretto tra stato della mente, risposta immunitaria alterata e
malattia è quello che ricercatori come Cohen stanno affrontando oggi. Molti studi hanno scoperto
correlazioni stimolanti, alcuni mostrano che c’è una maggior percentuale di malattie tra persone che
hanno sofferto di recente la perdita del consorte, indicando così che il lutto altera
significativamente il sistema immunitario. Lo stesso è vero per persone che si sentono socialmente
isolate… In una delle ricerche più importanti i ricercatori hanno trovato che la mortalità era tre
volte più alta tra coloro con meno rapporti affettivi, senza distinzione di età o di sesso.
Sembra che l’avere dei buoni amici o dei parenti offra una buona misura protettiva contro gli eventi
stressanti della vita. Gli scienziati dell’Università di Michigan hanno esaminato alcune delle
ricerche e concordano nel ritenere che l’isolamento è uno dei “maggiori fattori di rischio” rispetto
alla mortalità, forse tanto quanto il fumare sigarette. Un’analoga correlazione vale per i pazienti
ricoverati nelle case di cura che sentono di non aver alcun controllo sulla loro vita quotidiana,
per pazienti ammalati di cancro al seno pessimistici sul recupero, per coppie invischiate in
matrimoni pieni di conflitti e i loro figli. E anche vero l’opposto: sembra che gli stati mentali
positivi favoriscano la buona salute e la longevità. In uno studio diretto dalla psicologa Sandra
Levy dell’Istituto del cancro di Pittsburg, si è trovato che un fattore chiamato “gioia”, vale a
dire un certo stato di vigore ed elasticità mentale, era il secondo elemento, in ordine di
importanza, nel predire la capacità di sopravvivenza di un gruppo di pazienti soggetti a cancro al
seno ricorrente. Il primo fattore era la lunghezza degli intervalli senza la malattia.
Negli ultimi dieci anni, l’intero campo delle ricerche sulla connessione mente- corpo è stato denso
di eccitazione. Lo psicologo Martin Saligman dell’Università della Pennsilvanya, che ha sviluppato
un concetto chiave definito ‘senso di impotenza acquisita’, ha definito il momento attuale una “età
dell’oro” in cui le connessioni mente-corpo, sospettate da lungo tempo, vengono finalmente provate
scientificamente.
Uno dei libri recenti su mente-corpo: “Love / medicine / miracles” (amore, medicina e miracoli”) ha
guidato la classifica dei best-seller del New York Times per oltre un anno e parecchi altri libri
sull’argomento hanno venduto molto bene. Il servizio pubblico di diffusione televisiva americana si
sta adeguando alla nuova onda di interessi e sta trasmettendo una serie intitolata “La mente”.
Cellule che soffrono: la ricerca sta ricevendo una grande spinta da una nuova ricerca
interdisciplinare, chiamata psico-neuro-immunologia (PNI). La PNI riunisce scienziati di scienze
sociali e scienziati di scienze di base che raramente hanno comunicato tra loro in passato. Janice
Kiecolt-Glaser, psicologo dell’Università di Stato dell’Ohio, sta conducendo una lunga ricerca sugli
effetti dello stress sugli assistenti dei pazienti con morbo di Alzheimer, ed ha detto: “Stiamo
ottenendo unaffascinante prova di legami assai più stretti di quanto sospettassimo, ci ha aperto
prospettive che mai avremmo preso in considerazione dieci anni fa”.
Le risposte immunitarie che i ricercatori hanno osservato sono infatti sorprendenti: “come se il
corpo fosse rovesciato da dentro a fuori e le cellule stesse provassero dolore, paura o speranza.”
Quest’idea potrebbe non essere così fantasiosa come sembra. Verso la fine degli anni ’70 il
neuroscienziato Karen Bulloch, attualmente all”‘Università di California, San Diego, ha rintracciato
vie neurologiche dirette che connettono il cervello con il sistema immunitario.
Ricerche successive hanno dimostrato che il sistema immunitario produce sostanze chimiche che
ritrasmettono informazioni al cervello, allo stesso modo in cui i neurotrasmettitori del cervello
mandano segnali al sistema immunitario. Da allora gli scienziati hanno concluso che i due sistemi
sono legati da un complesso sistema di “anelli di feed-back” con cui si influenzano l’un l’altro. Le
implicazioni di questi circuiti sono sconvolgenti; per i ricercatori nel campo della PNI sembra
quasi che il sistema immunitario abbia un suo proprio cervello. La dottoressa Candace Pert del NIMH,
uno dei maggiori ricercatori del campo, ha detto che, come molta gente, una volta credeva che la
“mente fosse nel cervello e la coscienza nella testa”. Adesso, è convinta che nella mente e nel
corpo ci sia una specie di consapevolezza condivisa e che talvolta sia difficile decidere chi
comanda. “Questo” dice la Pert, “sta creando una rivoluzione nella medicina, nel modo in cui noi
vediamo la fisiologia”. Tutto ciò fa nascere domande profonde sulla natura del comportamento,
sull’essenza di quello che noi siamo.
Uno dei misteri costanti della connessione mente-corpo sta nella ragione per cui questa debba
sembrare così misteriosa, conseguenza di quanto siamo stati condizionati dal dualismo, sviluppato
tre secoli fa da Cartesio, che considera la mente e il corpo come due entità distinte, da trattare
separatamente.
Da allora è diventato il paradigma della medicina che tuttora domina il pensiero medico.
La PNI, come la medicina olistica, cerca di rimettere insieme quello che non avrebbe mai essere
dovuto essere separato. Come scienza interdisciplinare è ancora agli inizi ma la breve storia è
costellata di drammatiche rivoluzioni. Nella metà degli anni ’70, lo psicologo Robert Ader
dell’Università di Rochester, lavorando con l’immunologo Nicholas Choen, incappò in una scoperta che
praticamente spianò la via: i due scienziati stavano conducendo un esperimento relativamente
semplice sull’avversione del gusto, durante il quale davano da bere a topi una soluzione saccarina
facendo, subito dopo, un’iniezione di ciclofosfamide che induceva una reazione di nausea. Si sapeva
anche che questo composto chimico induceva una soppressione del sistema immunitario. Bastò, in
pratica, una sola prova perché gli animali connettessero il gusto della saccarina col senso di
nausea. Quando le iniezioni venivano interrotte l’associazione si indeboliva. Parecchie settimane
dopo l’esperimento Ader notò che i topi che continuavano a bere la soluzione di saccarina si
ammalavano. Avrebbe potuto essere il risultato delle proprietà immunosoppressive delle
ciclofosfamide, ma gli animali ne avevano ricevuto solo una piccola dose.
Questo indusse Adler a pensare che ogni volta che i topi assaggiavano la saccarina il loro sistema
immunitario ne veniva alterato, un’ipotesi che confermò con una serie di esperimenti su animali di
controllo. Era chiaro che si poteva condizionare i topi a sopprimere il loro sistema immunitario in
modo molto simile a quello in cui il russo Pavlov aveva condizionato i cani a salivare al suono di
una campana nei suoi esperimenti classici. Kiecolt-Glaser dell’Università dell’Ohio afferma: “E
stata una scoperta geniale e fortunata. Per la scienza ufficiale, era impossibile pensare che si
potesse condizionare il sistema immunitario. Ma Ader, come allegramente ammette egli stesso, non
presumeva niente: “Sono uno psicologo” dice, “e non sapevo niente di immunologia, incluso che quel
condizionamento potesse accadere”.
In retrospettiva Ader non trova sorprendente la sua scoperta: “Era inconcepibile pensare che i due
principali sistemi di difesa agissero indipendentemente senza scambiarsi informazioni”. Ma a quel
tempo si pensava che il sistema immunitario operasse indipendentemente dal cervello. La scoperta di
Ader frantumò quell’idea e accelerò la ricerca degli scienziati nel trovare quello che oggi
considerano “le vie funzionali” della connessione mente- sistema immunitario.
Distruttori naturali: lo stesso sistema immunitario è un gioiello di meccanismo che compete col
cervello per la sua complessità, ed è quasi ugualmente difficile da individuare.
Fondamentalmente è un’insieme di globuli bianchi, o linfociti, che stanno nel timo, nella milza, nel
midollo osseo e nei nodi linfatici e controllano il flusso sanguigno. I linfociti sono le truppe
avanzate del sistema immunitario. Sempre in stati di allerta, producono anticorpi che si legano
istantaneamente e neutralizzano qualsiasi invasore straniero. Qualche volta reagiscono troppo
velocemente agli antigeni innocui e provocano quella che viene chiamata una reazione allergica.
Ci sono varie altre cellule nell’esercito immunitario, inclusi i macrofagi, che sono responsabili
del lavoro di guarigione e di riparazione, e delle cellule (distruttori-naturali) note come NK
(‘Natural Killer’), importanti per combattere virus e tumori. Le NK, sono anch’esse suscettibili ai
fattori emozionali. In uno dei suoi studi sul cancro alla mammella, Levy, dell’Istituto del Cancro
di Pittsburg,0 ha trovato che una bassa attività di NK era “associata significativamente” al
diffondersi del cancro. E concludeva che più della metà delle fluttuazioni dei livelli di NK
potevano essere spiegate da fattori psicologici incluso il senso di sostegno sociale e il modo in
cui i pazienti affrontavano lo stress. Perché una cellula NK dovrebbe preoccuparsi di quanti amici
abbiamo o di come affrontiamo le nostre crisi? Il meccanismo preciso rimane ancora sconosciuto, ma
qualche ipotesi comincia ad affiorare.
Lo stress emotivo ci porta spesso ad abusare del nostro corpo. Nel piangere sulla perdita di una
persona cara possiamo inghiottire un sacco di pillole, dormire male, mangiare male. Nel sentirci
impotenti possiamo, in realtà, diventare ancora più impotenti. Seligman ha sviluppato la sua teoria
dell’impotenza acquisita somministrando elettroshock di media intensità a topi, alcuni dei quali
potevano sfuggire agli shock. Quelli che non avevano modo di scappare diventarono presto apatici,
così che anche quando gli veniva offerta una possibilità di uscita la ignoravano. Nelle ricerche
fatte, Selgman ha confermato che le persone abitualmente pessimiste o che hanno acquisito il
sentimento di impotenza a cambiare le loro vite, sono soggette a trascurare la salute e portate a
fare meno ‘per prevenire eventi futuri dannosi’.
Appare chiaro che sono le emozioni stesse (e non quello che ci fanno fare) ad avere una influenza
diretta sui nostri corpi. Ma come? Qual è il loro meccanismo di azione?
E stato Bulloch, verso la fine del ’70, mentre lavorava come studente, a scoprire le connessioni
dirette di andata e ritorno tra il sistema nervoso centrale e il sistema immunitario, iniettando un
colorante (perossidasi del rafano) nel timo dei topi per colorare i neuroni. Circa nello stesso
periodo, J. Edwin Blalock, ora all’Università dell’Alabama di Birmingham, scoprì che le cellule del
sistema immunitario possono produrre lo stesso tipo di ormoni che si pensava fossero prodotti
soltanto dal cervello, noti come neuropeptidi. Blalock ricorda che il suo lavoro incontrò un sacco
di scetticismo e ci vollero quattro anni per avere conferme e riconoscimenti.
Alla fine venne dimostrato che il sistema immunitario produce praticamente tutti gli ormoni che
produce il cervello. Questo risultato portò Blalock a riflettere sul fatto che il corpo risponde a
tutta una serie di stimoli che non sono normalmente riconosciuti dai sensi normali. Probabilmente il
sistema immunitario serve come organo sensore fluido per fattori quali batteri e virus e mette in
allarme il cervello su queste presenze estranee allo stesso modo in cui gli altri sensi mantengono
il cervello in contatto col mondo esterno. Le ricerche di Blalock suggeriscono che i due sistemi
hanno certe caratteristiche comuni: “I linfociti hanno ricettori per i neuropeptidi analogarnente
alle cellule del cervello” afferma Blalock “e hanno la capacità di rispondere a quegli ormoni” non
importa da quale sistema provengano.
Messaggeri chimici: Chi comanda? Sembra che il sistema immunitario e il cervello si mandino
continuamente
messaggi sulle esperienze del mondo. Per esempio, alcune ricerche hanno dimostrato che lo stress
cronico causa un aumento della produzione di corticosteroidi nel sangue, da parte delle ghiandole
surrenali, e che questi messaggeri chimici possono inibire l’azione unitaria. Quello che
sperimentiamo come solitudine, dolore o impotenza provoca in ultima analisi stress. Così,
ovviamente, le esperienze della mente influenzano il sistema immunitario. D’altro canto, Allen
Goldstein, un biochimico della Università George Washington, pioniere degli studi sulla ghiandola
del timo, ha scoperto che certe sostanze immunitarie, le linfokine ad esempio, possono produrre
effetti collaterali, per esempio la depressione. Questo suggerirebbe che il sistema immunitario è
responsabile almeno per alcune delle cose che “passano per la testa”. Dice Goldstein: “sembra che le
molecole immunitarie siano legate al cervello come parte di un circuito di feedback”.
L’intrico dei dialoghi incrociati non si ferma qui: “Se veramente queste molecole influenzano la
fisiologia e il metabolismo del cervello”, dice Goldstein, “è possibile che influenzino anche il
comportamento?” In fondo che cos’è il comportamento? Se i composti chimici prodotti dal corpo
possono causare depressione “questo significa che le emozioni sono legate a molecole che possono
essere messe in bottiglia”.
La mente, per non parlare del sistema immunitario, man mano che le domande si affollano più veloci
delle risposte, comincia a vacillare. La sola conclusione sicura è che siamo, in un modo ancora
misterioso, il risultato di quello che Glodstein chiama “un sistema meraviglioso di circuiti
integrati”, i nostri corpi e le nostre menti sono intrecciate come le anime di Jonathan e David.
Anche Sandra Levy concorda che le prove sono ormai schiaccianti: “Ogni giorno, ogni settimana, ci
sono nuove scoperte delle connessioni tra i due sistemi annullando qualsiasi dualismo cartesiano”.
Che cosa significhino queste connessioni per la medicina non è ancora chiaro. Alcuni ricercatori
fanno l’ipotesi che il sistema immunitario potrebbe essere condizionato a prevenire le malattie e a
riparare i tessuti danneggiati. Theodore Melnechuck, professore incaricato all’Università di
California, San Diego, fa notare il continuo aumento di prove secondo cui le emozioni, e persino le
espressioni facciali, hanno dei corrispettivi ormonali specifici, e quindi degli effetti specifici
sui tessuti: “Cominciamo a intravedere, nel riparo dei tessuti, una storia parallela a quella della
difesa contro le malattie, che coinvolgono gli stessi circuiti. Le emozioni influenzano la
guarigione delle ferite”.
Candace Pert del NMIH porta la teoria un passo più in là. Mentre stava studiando le cellule dei
macrofagi, la Pert e suo marito, Michael Ruff, un immunologo, hanno scoperto che le migrazioni di
cellule sono influenzate dai neuro- peptidi associati alle emozioni. I peptidi, dice la
ricercatrice, “potrebbero essere una cura possibile per diverse malattie” e, in qualità di direttore
scientifico, porta avanti un progetto pionieristico, chiamato Progetto Peptide, con la speranza di
poter un giorno, identificare i fattori specifici di guarigione.
La ricercatrice aggiunge: “A certi livelli la gente possiede dentro di sè la medicina per curare
qualunque malattia. La gente si spaventa all’idea di esser responsabile della propria malattia, ma
deve, invece, rendersi conto di avere potere sul proprio stato di salute, dato che è la mente che
guarisce il corpo. Il corpo è letteralmente una manifestazione esteriore della mente”.
Poiché il sistema immunitario è così diffuso non c’è una misura singola che tenga conto di tutte le
sue prestazioni. Alcuni pensieri o esperienze infelici possono far cadere il conteggio dei
linfociti, ma il cambiamento potrebbe lasciare la persona entro i limiti dei valori di buona salute,
sebbene sia stato fatto notare che una caduta del 30-50% nella risposta del sistema immunitario si è
dimostrata mortale nei malati di AIDS. Nessuno sa quali siano i veri valori significativi.
Kiecolt-Glaser ha detto: “Questo è il problema delle caratteristiche dei dati. Dubitiamo che siano
buoni quando la risposta immunitaria diminuisce, ma non c’è alcun modo di dire quale caduta sia
dannosa o metta in pericolo”.
Per questo motivo non vi è accordo su nessuna definizione di stress o su quali siano i suoi effetti,
sebbene la “gestione dello stress” sia uno dei punti principali dei servizi sanitari delle
industrie. Per esempio, le numerose ricerche compiute sui topi non sono molto conclusive perché gli
animali differiscono fisiologicamente dagli esseri umani e i fattori di stress usati su di essi sono
più fisici che emozionali. La ricerca di Sheldon Cohen sulla relazione tra stress, immunità e
malattia è uno dei primi tentativi di mettere assieme questi tre fattori in un unico studio. “E
molto difficile individuare lo stress”, dice Cohen, “dedurre retroattivamente partendo dai sintomi
crea un sacco di problemi. I sintomi stessi possono creare stress”. La ricerca di Kiecolt- Glaser,
che ha seguito per tre anni assistenti di pazienti con morbo di Alzheimer, è un altro studio adatto
a fornire nuovi dati sulla connessione stress-immunità-malattia. In un rapporto preliminare la
ricercatrice nota che studi precedenti avevano scoperto, negli assistenti, dei peggioramenti di
salute dopo un anno di lavoro.
Sandra Levy concorda che la ricerca psiconeuroimmunologica (PNI) potenzialmente “potrebbe cambiare,
in un decennio, l’intera faccia della biomedicina”. Per ora il cambiamento avviene lentamente. Il
modello dualistico domina ancora le scuole mediche e l’establishment medico, nel suo complesso,
rimane ancora cauto in materia mente-corpo, malgrado molti dottori si sforzino di includere fattori
psicosociali nelle anamnesi dei loro pazienti.
La PNI ha incontrato, d’altro canto, un caloroso accoglimento in tutte le scuole di terapie
alternative e di psico- somatica e di medicina olistica.
Esiste chi, peraltro, ritiene che il messaggio neutro e imparziale della ricerca PNI sia che la
mente è una funzione di un organismo che lavora come una macchina. Sia pure partendo da una visione
così poco poetica, anche i più accaniti meccanicisti potrebbero trarre dei vantaggi dalle nuove
ricerche: ogni nuova scoperta tende a confermare che se siamo veramente delle macchine, queste sono
costruite in modo più geniale di quanto un poeta potrebbe sognare.
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