PRINCIPI OLISTICI DELL’ECOLOGIA – 3

pubblicato in: AltroBlog 0
PRINCIPI OLISTICI DELL’ECOLOGIA – 3

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

Rispettare l’animale – Riconoscersi in lui

Di Carlo Moiraghi

Tutto proviene dal nulla e da questa comunanza di origine deriva il dovere di fratellanza e di pietà
verso tutte le creature. Buddha (563 – 483 a.C.).

Il diritto alla propria vita, alla propria libertà, al proprio mondo accomuna tutti gli esseri
viventi. Tutto ciò che esiste trova nella sua stessa esistenza, il diritto di esistere. E’ la terra
che ha diritto alla propria esistenza, in ogni sua particolare espressione: animale; vegetale,
minerale. Ma siccome le scale sono fatte di tanti singoli pioli che si salgono una alla volta fino
alla cima e le ante della finestra si aprono un poca alla volta, fino alla completa apertura, anche
la scalata al diritto alla vita e alla libertà di tutto ciò che vive, anche l’apertura dei
successivi livelli di coscienza dell’uomo si compiono un passo per volta.

Poco tempo fa, ed in qualche luogo ancora oggi, l’uomo non riconosceva come simili altri uomini con
colore di pelle un po’ differente e considerava corretto trattarli come inferiori e come schiavi.
Poi ha imparato, meglio dire sta imparando, a riconoscere come fratelli gli individui della sua
specie.

E la liberazione dalla schiavitù, almeno in linea di principio e pur con tutte le situazioni
esistenti che dimostrano lo stretto contrario, è avvenuta proprio quando pareva impossibile. Al
razzismo succede così lo specismo. Ora stiamo con fatica scalando lo scalino successivo. La
successiva apertura dello sguardo è il riconoscimento degli altri animali come nostri simili, e il
riconoscere che gli altri animali, gli animali non umani, hanno diritto alla vita ed alla libertà
proprio come noi. Hanno diritto di non essere uccisi torturati ingabbiati, in ogni modo violati come
ora l’uomo pare ritenere “normale”

Semplicemente questa è anche la loro vita proprio come è la nostra. E non è che la nostra valga di
più, o la loro sia di seconda scelta. La loro è la loro e la nostra è nostra ed ognuna merita
rispetto. Ognuna è parziale irripetibile raffigurazione dell’unica vita che permea l’intero
universo. Parte dell’umanità l’ha sempre riconosciuto ma l’occidente ha trovato comodo
dimenticarsene e sentirsi, non si sa come, autorizzato ad ogni violenza.

Ora questa comodità si sta rivelando sempre più scomoda. Sono sempre più numerosi gli uomini che non
desiderano e non sopportano più una vita fondata sulla violenza continua sugli animali. In tutto il
mondo il movimento di rispetto e liberazione animale sta avendo concreti successi. Sono i primi
successi di un confronto di cui è difficile intuire la portata. Da un lato gli animali uccisi
dall’uomo ogni anno sono sempre più numerosi. Solo in Italia e solo mediante la terribile ed inutile
pratica della vivisezione vengono uccisi milioni di animali l’anno. D’altro lato aumentano di
continuo gli uomini che non tollerano più questo incredibile massacro e si impegnano nella causa
della liberazione animale, perché anche gli animali siano riconosciuti come individui, e sia
riconosciuto il loro diritto alla vita e alla libertà. E’ possibile che gli anni ’90 siano ricordati
come gli anni del riconoscimento del diritto e della liberazione animale.

Preciso come questa trasformazione sociale debba sempre e comunque avvenire nell’ambito del lecito e
del legale, è nella tradizione della completa non violenza, affinché ciò che rappresenta l’unico
progetto e l’unica riforma non diventi un errore.

Sul rapporto fra l’animale umano e l’animale non umano

Per alcuni milioni di anni la vita dell’uomo è dipesa dalla vita dell’animale. Dapprima egli lo
sfuggiva, spaventato ed in pericolo. Ma nel tempo stesso ne era attratto. Imparò ad ucciderlo per
nutrirsi. Pian piano il rapporto dell’animale umano con l’animale non umano cambiava e pari pari
cambiava il suo rapporto con la natura. Proprio come cambiava il rapporto con l’animale e la natura
che l’uomo continuava a sentire dentro di sé. Dapprima, l’uomo uccideva l’animale quando aveva fame.
Poi imparò la caccia e ad uccidere per mettere in serbo per il futuro. Fu allora che conobbe il
piacere nell’uccidere. Pian piano l’uomo emergeva dalla vita animale, dalla sua vita e dalla vita
dentro la natura, l’animale umano uomo pretese una vita sulla natura. Incontrò così la solitudine,
la compagna che non avrebbe più abbandonato. Fu allora che smise di chiamarsi animale umano per
chiamarsi uomo. Imparò ad usare la natura e l’animale per vestirsi, in modo sempre più mediato,. Man
mano aumentava la distanza fra l’animale che conosceva in sé e quell’altra parte di sé, quella
nuova, che non conosceva, man mano la solitudine aumentava. Col tempo imparò a sfruttare gli animali
come forza lavoro: era un modo di continuare il rapporto uomo

animale. Rapporto di sfruttamento e a volte di reciproca amicizia e gratitudine. E l’uomo non faceva
caso alla novità del rapporto, al fatto cioè che ora il rapporto era di possesso, e che il possesso
era sempre dalla stessa parte. Il padrone era sempre lui, mai l’animale. Ma gli pesava e la
solitudine aumentava; Cosi iniziò la sua separazione, la sua dissociazione interiore. Il rapporto
tra l’uomo e gli animali da sempre rispecchia il rapporto fra l’uomo e il suo animale interiore,
quell’animale che egli imprigiona tortura e uccide dentro di sé.

Man mano che aumentava il distacco, aumentava il bisogno impossibile dell’uomo di aver vicino gli
ani

mali: allora si inventò gli animali domestici. Nonostante lo sforzo enorme che fece in questa
direzione, nonostante quello che si finge di credere, pochissime specie egli riuscì a manipolare e
convincere. Quasi tutte non vollero divenire sue succubi. Fu la stessa difficoltà e 1o stesso
fallimento che l’uomo incontrò in sé nel tentativo di addomesticare il proprio animale interiore. Fu
naturale usare i recinti e le sbarre ed ogni forma di costrizione fuori e dentro di sé. Ormai in
tutto l’animale dipendeva dall’uomo. E sempre più ne dipende.

Di recente l’animale ha smesso di rappresentare forza lavoro per l’uomo. La mente meccanica
dell’uomo ha inventato macchine meccaniche e la funzione animale è ancora diminuita. L’uomo l’ha
costretto ancora e ha preteso di mutarlo in macchina

animale. L’unica funzione, l’unico vantaggio che ormai l’uomo pretende dall’animale è il suo corpo,
la sua carne da man giare o da scrutare nel

la perenne cieca ricerca di averlo vi

cino, di averlo dentro, di guardargli dentro, di torturarlo, di distruggerlo.

Proprio ciò che l’uomo cerca di fare a sé stesso. Su questo percorso, la mente che mente dell’uomo,
persegue la creazione cieca di nuove specie animali secondo la voglia e il bisogno malato di un uomo
che ormai sfrontatamente persegue la creazione fuori di sé di questa mostruosità che sente in sé.

I luoghi della violenza – allevamenti lager – essere vegetariani

E’ sempre per averli vicino, per averli dentro di sé, che l’uomo sempre di più mangia animali. E’
per solitudine. L’uomo ha indirizzato forzato snaturato la natura; programmato la generazione
animale in allevamenti, batterie, luoghi di dolore concentrato, lager. In questo modo l’uomo
impedisce all’animale la vita, ciò che è forse ancora più grave di dargli la morte. Ne deriva una
vita

non vita, dolorosa, buia, tragica, sofferta, infernale. Generazioni animali il cui unico significato
è produrre corpi, carne, materia per l’alimentazione umana. Nascere e vivere per crescere nel minor
tempo possibile, per essere ucciso e mangiato. Nascere cibo. In questo modo l’uomo si alimenta della
loro carne, solo della loro carne. Declina equazioni di proteine vitamine e lipidi a memoria,
amminoacidi essenziali di cui è goloso. Questo ricerca e di questo si nutre, della loro materia non
della loro vita. Tutte le tradizioni antiche concordano nel ritenere che alimentarsi di un altro
essere vivente significhi alimentare la propria vita della sua vita. Sacrificarlo significa ottenere
dalla sua vita la nostra vita. E’ la vita stessa che ci trasforma. Oggi la dimensione sacrificale,
rituale dell’alimentazione si è perduta. Essa pare limitata al rito religioso, dove l’ostia
consacrata è simbolo alimentare nel senso più sacro del termine. Quella è la comunione. Ci si è
dimenticati che ogni volta che ci alimentiamo è rito di comunione fra noi e l’essere sacrificato, la
cui vita entra in noi. Ma la vita di un animale da allevamento è oggi ben misera, terribile,
temibile esperienza. A volte mi chiedo se questa buia esperienza sia trasmissibile mediante
l’alimentazione. Mi chiedo se la compagna dell’uomo moderno, la nevrosi, l’ansia, non sia in parte
di origine alimentare. Essere vegetariani non va dunque inteso solo come autolimitazione alimentare
di valenza etica, ma come scelta in positivo, atta ad evitare sì l’uccisione di un essere simile a
noi, ma ad evitare soprattutto inquinamenti, veri avvelenamenti da un lato fisici, pensate solo a
farmaci ormoni ed altro somministrati di routine negli allevamenti; d’altro lato a evitare
inquinamenti più sottili e impalpabili, meno quantificabili ma più inquietanti e globali e gravi
dovuti alla tragicità stessa della vita dell’animale da allevamento.

Ancora una nota sull’essere vegetariani. La nostra società ha davvero inibito chi è vegetariano. Chi
non mangia carne troppo spesso si sente come in colpa. Quasi se ne scusa e lo nasconde come se ciò
rappresenti una dimostrazione di mancanza di forza, di coraggio, come una nota di incapacità, una
lieve malattia. Non deve più essere cosi. Non bisogna che un momento di forza sia scambiato per
momento di debolezza. Chi non mangia carne può a ragione esserne fiero. Conviene che il vegetariano
evidenzi il suo atteggiamento e divenga così momento di confronto e di crisi per chi vegetariano non
è.

Vi è un altro argomento a mio parere secondario, ma utile ad inquadrare l’alimentazione vegetariana
come futura alimentazione dell’umanità, ed è il risparmio di energie alimentari che esse permette.
Le energie alimentari vegetali necessarie all’allevamento

lager animale sono enormemente maggiori delle energie alimentari che l’allevamento

lager stesso poi fornisce. Quelle stesse energie alimentari vegetali possono direttamente, saltando
il vergognoso processo dell’allevamento

lager, divenire alimentazione umana e sopperire al sempre maggiore fabbisogno. Essere vegetariani è
certo momento importante, ma non necessario. Ciò che è comunque necessario è ritrovare il
significato energetico, rituale, sacrale dell’alimentazione.

E’ necessario ridare dignità di essere viventi, di individui, agli animali da allevamento.

Per definire l’argomento dell’allevamento

lager intendo chiarire che lo credo un luogo fondamentale su cui confrontarci. L’allevamento

lager e il frutto delle più aberrate concezioni della mente che mente dell’uomo moderno. E’ una
grande vergogna per l’umanità.

Animali selvaggi. Specie in via di estinzione

Da tanto tempo, circa da quando si è accorto dell’aumentare della diversità fra sé e gli altri
animali, l’uomo ha avuto paura. Ha avuto paura ed ha avuto bisogno degli animali, di averli vicino
di essere sicuro che non scappassero, di averli addosso. E’ stata la solitudine della mente che
mente dell’uomo. E stato quando la mente ed il corpo dell’uomo presero strade separate. Circa quando
la mano dell’uomo si è armata per la caccia, la distanza tra l’uomo e l’animale aumentò, e la pietra
scagliata riusciva a colmare lo spazio frapposto. Fu allora che l’animale

uomo dimenticò il suo nome e divenne l’uomo. Insieme alla pietra scagliata fu il chiamare a
testimoni gli Dei e lo scoprire il rito, che pearuse all’uomo anche cosi, da lontano, di continuare
il rapporto con l’animale. La pietra, il Dio, l’animale, l’uomo furono a lungo i cardini di un unico
rapporto dal significato profondo sottile nuovo. E nuovo era il viaggio che l’uomo non volle e non
seppe fare da solo, un viaggio lontano dalla sua radice animale lungo cammini sconosciuti. Volle gli
animali con sé come viatico identità sicurezza e cercò di addomesticarli. Molti di essi rifiutano ed
egli prese ad ucciderli, E ancora oggi pur ammirandoli, pur avendone un bisogno tale da averli resi
protagonisti di tutti i suoi miti, da tenerli tutti in fila impagliati nei suoi musei di morti, e da
tenerli prigionieri nei suoi zoo, pur avendoli resi rari e senza terra, ancora oggi stermina. Solo
così, con la morte dell’animale selvaggio, egli può intrattenere rapporto con lui, che altro non è
che quella parte selvaggia dell’uomo, ormai lontana ma mai dimenticata, che egli pretese di negare,
uccidere, amputare quando smise panni animali per assumere panni ancora oggi difficili da decifrare.
E’ interessante notare come l’uomo stia ultimando lo sterminio di numerose specie animali pur
avendone da tempo decretato legalmente la protezione ed il rispetto in quasi ogni parte del globo.
Si manifesta così a livello di specie umana il conflitto negli stessi termini in cui si sviluppa in
un singolo individuo, proprio come ad esempio esso si fa vivo in ognuno di noi. L’individuo e la
specie sono egualmente, unità viventi e parti del tutto, solo che qui le due facce della diatriba
sono rappresentate da intere porzioni della popolazione e si esprimono, in questo caso, da un lato
in teoria legiferando il loro volere, dall’altro in pratica attuando il contrario. Da notare ancora
come in questo caso, attualmente il parere legiferato, l’atteggiamento teorico, è per lo più per la
protezione delle specie in via di estinzione, ma viene comunque disatteso e sopraffatto
dall’atteggiamento opposto, dal desiderio di far morire ed estinguere, atteggiamento dovunque
praticato ed esplicitato, dato che le pellicce di specie protette vengono commerciate ed esibite in
ogni trivio di benessere economico. Credo sarebbe opportuno ricercare i significati di questa
apparente contraddizione e valutare se e come il meccanismo trasgressivo vi giochi ruoli e quali.
Senza accentrarmi troppo in questo argomento, noto solo come è la parte progredita ed evoluta del
mondo che mostra la dissociazione e la contraddizione. Da un lato promuove petizioni, raccoglie
firme, promulga leggi, fa nascere società protettrici degli animali, stende accordi internazionali
al fine di difesa animale, d’altro lato produce sempre più sofisticate e infallibili armi da caccia
grossa, erige la pelliccia selvaggia e rara come status sociale, favoleggia safari in ogni sogno
pubblicitario e inalbera incredibili alibi secondo i quali ogni volta organi e parti delle singole
specie protette divengono desiderabile necessario bene. Insostituibili e rare pellicce, zanne
d’avorio, corna medicamentose diventano cosi estremamente ricercate e costose, dove costoso si
misura in denaro, e si perde completamente il vero costo dell’operazione, costo vero questo, globale
e planetario, rappresentato dall’irreparabile definitiva perdita dovuta all’estinzione di una specie
animale. Ma è solo il denaro che rientra nel conto, e il mondo evoluto è disposto a sborsare sempre
di più, man mano che la specie animale diviene introvabile. E’ lui il mandante della strage. Poi c’è
l’esecutore materiale, il sicario, che di solito è il mondo povero, il terzo mondo per lo più
bisognoso spesso di sopravvivere proprio come la specie animale conterranea contesa. E’ curioso come
le specie in via di estinzione vivano spesso fianco a fianco di popolazioni altrettanto bisognose e
in difficoltà, abituate da generazioni a nutrirsi e coprirsi delle specie animali ora protette.
Queste popolazioni non possono cogliere l’eccezionalità dell’attuale situazione e vengono in tutto
stimolate sponsorizzate aizzate alla strage a buon prezzo dato il loro bisogno. Bisogno di
sopravvivere dunque, nella specie animale protetta come nella conterranea popolazione umana, e
lontano nel mondo progredito un bisogno più nero e profondo, bisogno di uccidere che pur
esprimendosi nel conflitto ha quasi sempre la meglio. In sostanza la parte più primitiva ed antica
dell’umanità viene sfruttata dalla parte più evoluta e moderna, e guarda caso, si rifà sul mondo
animale violentandolo. Il mondo animale è oggi in ogni caso il punto di arrivo di ogni violenza.
L’uomo moderno pare assetato di estinzione e non solo di animali non umani. Le violenze e le
estinzioni che provoca sembrano prove generali per la propria prossima fine. Egli sembra perseguire
nei fatti il proprio suicidio di specie animale. Da questa coscienza pare prendere sempre più forza
il movimento umano per la salvaguardia della vita in ogni sua espressione. E’ chiaro ormai infatti
che è in gioco la nostra stessa sopravvivenza. Chi chiede di cambiare è la parte dell’umanità che
non vuole estinguersi ed è consapevole dell’attuale grave rischio. Siamo sempre di più.

Condividi:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *