PRINCIPI OLISTICI DELL’ECOLOGIA – 4
da “Enciclopedia olistica”
di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli
Animali domestici
L’uomo addomesticò gli animali che riuscì ad addomesticare e gli volle bene. Volle bene alla loro
insoddisfazione. Era facile per lui identificarsi in loro. Bontà e pena per quegli animali
rinnegati, animali non sbocciati, non maturati. L’animale domestico presenta, confronto al suo
rispettivo selvatico, modificazioni addirittura scheletriche, minori dimensioni della parte facciale
del cranio, delle mascelle, dei denti, del cervello, delle masse muscolari. Anche adulto l’animale
domestico mantiene caratteri giovanili nel fisico come nell’atteggiamento e nel carattere. E’ questa
non maturazione e non sviluppo, questo senso di mancanza che muove l’amore dell’uomo. Egli vive
nell’animale domestico la propria mancanza, la propria dissociazione. E’ anche il facile potere che
lo attira, la sicura possibilità di ribaltare frustrazioni quotidiane, la certezza della presenza
dell’animale, della sua disponibilità, la sicurezza che non lo può lasciare, che non può andare via,
non saprebbe dove andare.
La presunzione di essere necessari a qualcosa, a qualcuno. Tutto ciò procura all’uomo piacere,
sicurezza, compagnia, fiducia, senso di potenza e di bontà. Ciò non significa che l’uomo non uccida
l’animale domestico. Pensate all’animale da allevamento, lo uccide certo e atrocemente proprio come
l’animale selvaggio ma con spirito differente. Là uccide con passione con accanimento con gusto, ne
fa uno sport e un passatempo, un piacere. Qui uccide con quotidianità. Spesso delega a macchine il
compito, uccide con distacco, senza emozione, come fosse azione normale; scontata, discreta. Sovente
a fini estetici, l’uomo è un esteta, ne amputa parti, come orecchie e code. Spesso ne forza le
forme. Sovente li castra per renderli più dolci e tranquilli.
Sovente l’uomo castrandoli pretende di agire per il loro bene, di consegnarli così a un vita più
facile e gioiosa, priva di quel bisogno che l’animale vive impellente e violento e che lo rende così
insoddisfatto e agitato. Una ben più personale castrazione si mostra qui evidente nel cuore e nel
corpo dell’uomo. L’impacciata presenza, meglio l’evidente problematica assenza di un desiderio ormai
tutto alienato e traslato.
Animali da pelliccia
E’ sempre per solitudine, per avere vicino l’animale, per averlo addosso, che l’uomo se ne ricopre.
Conosce i tessuti sintetici, ma non li ama.
Conosce la lana, prodotto animale che non ne richiede la morte, ma preferisce la pelliccia, calda,
morbida, sensuale. Gli ricorda la propria pelliccia quando nudo e peloso placidamente si mostrava al
bosco. Oggi tiene la pelle nascosta quasi tutta, quasi sempre, anche quando dorme si mette il
pigiama. Comune senso del pudore e freddolosità. Nasconde quella pelle sottile, delicata, quei peli
radi e scarsi da specie in declino e, se può, scuoia animali selvaggi che appositamente alleva, ne
cuce le pelli e si pavoneggia e si scalda. Usa tecnica e fantasia in ciò; la considera arte, conosce
ogni trucco, ogni pelle e pelliccia. La donna nuda dentro una pelliccia animale è frequente
irresistibile messaggio pubblicitario e credo ecciti la maggior parte degli uomini come delle donne.
Anche questi animali l’uomo uccide straziandoli, curando solo che la pelliccia resti intatta e
vergine. Utilizza tecniche precise, raffinate, differenti, secondo le differenti specie animali da
scuoiare.
L’uomo è preciso artigiano sapiente. In alcuni casi Preferisce aprire i ventri gravidi delle madri
vive e scuoiare direttamente i piccoli feti. La pelliccia di lanugine di feto risulta allora tanto
morbida e confortante. Tali preziosità sono certo costose ma la coppia umana è disposta ad economie
e sacrifici per poter possedere queste pelli cucite di animali scuoiati che specie la donna si pone
addosso per piacere e credibilità sociale.
Zoo
Nella sua solitudine, nel suo bisogno di ritrovare il proprio ancestro selvaggio, 1’uomo ha bisogno
di altri animali vicino a sé. Quelli che non si lasciarono addomesticare, questi l’uomo stima di
più, Questi uccide con sommo piacere.
Ma alcuni di questi egli vuole vicino e li costringe negli zoo delle sue città. Li costringe in
spazi angusti, loro gli animali liberi. Nega loro ogni forma di intimità. Trae piacere dallo stargli
addosso. Bada solo che la vita dell’animale sia tollerabile e che non muoia di dolore, almeno non
muoia subito. Nel caso se ne procura un altro esemplare. Trae piacere dal vedere il selvaggio in
gabbia. E’ la rivincita su quell’altro selvaggio, segregato nella propria gabbia interiore. Separati
solo dalle sbarre, l’uomo pretende di confrontarsi con l’animale. Fantastica implicazioni di potenza
in ciò. Paga il biglietto per andare allo zoo e vi accompagna i propri piccoli a vedere l’animale e
la natura sopraffatti. Ad osservare, spaventare, ossessionare animali sicuramente già pazzi di
cattività e facilmente malati, provati dalla diversità del clima, dall’impossibilità al movimento,
alla corsa, allo svolgimento di ogni loro naturale funzione, costretti allo scoperto, senza
possibilità di sottrarsi alla malata curiosità dell’uomo, senza alcuna intimità, ciò che l’animale
massimamente soffre. Questi animali l’uomo non uccide, li condanna alla vita reclusa. Da loro trae
maggior piacere così, invadendoli al massimo. Forse ciò lo aiuta a far luce, una luce sinistra, su
qualcosa che sente dentro di sé, qualcosa di profondo e lontano, ciò che egli chiama: “il richiamo
della foresta”. Quale foresta? A scanso di ripensamenti l’uomo ha distrutto anche le foreste, è
meticoloso l’uomo. Ma il selvaggio che è in lui pretende vicino a sé il selvaggio animale, almeno la
sua apparenza. In una triste teatrale finzione l’animale
uomo si fronteggia attraverso il ferro con l’altro animale, disperato, pazzo, legato, pronto sovente
a divorare i propri figli appena nati per sottrarli allo strazio, se l’uomo vigile e alieno non
glieli sottraesse veloce. E’ previdente l’uomo.
Nello zoo di Tokyo vi è una gabbia per l’Homo Sapiens, aperta ai visitatori. Pare si faccia la fila
per provare la sensazione di essere in gabbia. Pare che una volta in gabbia i visitatori si lascino
andare a grida ed atteggiamenti animaleschi. E’ un altro dato che depone per la profonda
identificazione che l’uomo prova verso gli animali che violenta.
La società attuale merita di certo un differente concetto di zoo e la sua rapida realizzazione. Un
luogo di educazione e cultura di cui non ci si debba vergognare. Una struttura che contenga ogni
sorta di informazioni, testi e fotografie sulle più varie specie animali e vegetali. Si darebbe così
davvero sana e completa informazione sulle specie intorno a noi, illustrazione diretta e formativa
della loro vita, delle loro abitudini, della loro indole, al fine di fornire educazione e destare
interesse senza sacrificare alcun essere vivente, senza costringere, senza ledere alcun diritto alla
vita.
Animali da vivisezione
“Di tutti i crimini neri che l’uomo commette contro Dio e il Creato, 1a vivisezione è il più nero.”
Mahatma Gandhi
Altri animali l’uomo alleva in gabbie e stabulari e di essi si prende particolare cura. Gli animali
da esperimento. L’animale ha ormai poche possibilità di vita autonoma sulla sua terra che l’uomo ha
distrutto. Sradicato da ogni contesto a lui naturale, l’animale diviene così facilmente succube e
schiavo dell’uomo. E incredibilmente ancora gli si dona, gli dona quel poco che gli rimane da
offrire, sé stesso, la propria carne, il proprio sangue. Così, spesso facilmente, spesso senza
eccessive recriminazioni, l’animale dona all’uomo l’unico bene che ancora possiede, il proprio
corpo, la propria vita, il proprio inesprimibile dolore, e alla fine, come una liberazione, la
propria morte. E l’uomo è ricercatore intransigente, scienziato avido di esperimenti sul corpo
animale. Né sa rinunciare a nulla. Da tempo cieco, egli pretende di vedere e toccare con mano 1a
ragione e la vita nel corpo animale. Chiama ciò ricerca e scienza, e la tecnica, vivisezione. Egli
pare credere che ogni forma di ricerca, di esperimento, di prova possa risultare utile. A chi? A
cosa? Nella sua cecità l’uomo si muove a tentoni casualmente in ogni sorta di violenza sul corpo
animale. Non fa problemi di risparmio di materia prima, di corpi, di oggetti da vivisezionare.
Provando e riprovando, è un suo motto. Pesi e misure, somme e soprattutto sottrazioni. Il corpo
animale, la vita animale è facile remissivo campo di indagine. Il numero di animali torturati e
uccisi nei laboratori scientifici aumenta vergognosamente. E’ cifra che non è possibile appurare con
esattezza, ma si parla di centinaia di milioni di animali all’anno nel mondo. Nascere oggetto da
esperimento. Vivere di terrore. Morire di scienza dell’uomo. Morire di errore. Esperimenti da anni
sempre uguali a sé stessi, anche solo per mostrare, ma a chi? A studenti distratti. Cambia solo
l’animale, ma lo sguardo attonito è lo stesso. Esperimenti sempre nuovi che appena nominati
evidenziano l’errore di chi li esegue. Ma si sa, la scienza dell’uomo di oggi, non tutta per fortuna
e sempre meno, sono certo, in futuro, pretende indipendenza dall’etica e dall’estetica. Il corpo
animale docilmente cede alla lama del bisturi. Lo sguardo animale stupito ed interrogativo, come in
dolorosa attesa, mentre le cinghie e le morse lo tengono ben fermo. In qualche modo lo aiutano a
fare la sua parte, l’unica che ancora l’uomo gli riconosce. L’animale sottomesso, aperto,
vivisezionato, ora non nasconde segreti e ci mostra, pudico, le viscere pulsanti. E ancora ci
guarda. Spera l’errore. Ha ancora fiducia. Spera amore, almeno tardivo . E’ questo l’orrore. Ora che
il dolore troppo violento ed acido è divenuto calore, fuoco che gli brucia le viscere. Ora che il
latrare forsennato, divenuto impossibile per le corde vocali tagliate, per le fauci serrate nelle
cinghie, è diventato apnea e tremore. Ora che le feci e le urine da tempo liberamente perse lo fanno
sentire leggero. E l’uomo si prende cura di lui e gli permette, al di là di ogni naturale
possibilità, probabilità, al di là del credibile come del desiderio stesso dell’animale, al di là di
ogni corporea e cellulare capacità di sopportazione, gli permette ancora la vita. L’ultima
ambiguità, l’ultima violenza, l’ultimo sinistro dono dell’uomo. Ancora dolore. E l’uomo distrugge
così nel corpo vivo dell’animale flagellato la propria anima animale ormai solo odiata. Il camice
bianco e lindo e stirato o intriso di macchie, ed umori rossi marroni o verdastri è ben chiara
presenza all’occhio dell’animale immobilizzato e vigile in attesa. La notte è trascorsa di
solitudine e spade trafitte nel corpo della luce bassa del laboratorio. E’ mattina. il passo ambiguo
e cadenzato che si avvicina porta anche oggi compagnia e indicibili ormai prossime torture. Pure
mentre si apre la porta, è ogni volta, contro ogni logica, la speranza. ma la speranza lascia presto
spazio al dolore. Ogni volta la divisa candida contiene un torturatore. Terribili delitti di cui
tutti siamo responsabili, sia perché buona parte si consuma in ambienti universitari e statali
foraggiati dal nostro denaro e dalle nostre tasse, sia perché altra parte si consuma nel lontano
mondo della ricerca farmaceutica, forse giusto dietro le mura di casa, e lo sosteniamo tutti noi,
ovviamente, quel mondo. Noi consumatori di pillole file capsule multicolori, lucide allettanti
confezioni certo veri toccasana che puntuali acquistiamo, ma il loro costo non sono incolori
biglietti da mille, ma ben più colorati insanguinati atroci dolori di infiniti animali che per
quelle pillole vivono la tortura e muoiono. Quando incontrate il ricercatore, pare un uomo normale.
Vi porta mille ragioni, nella sua falsa aberrata coscienza. Non ascoltatelo. Non lasciate che le
parole coprano l’orrore e lo sdegno. Certamente cercherà di coinvolgervi nelle sue responsabilità,.
Non parlate con lui. Ditegli il vostro disgusto e lasciatelo solo. E’ egli stesso vittima più o meno
inconsapevole di se stesso e di un sistema sociale che contempla questo tipo di operatore e lo forma
educando, meglio diseducando, studenti ingenui idealmente devoti alla scienza, ed avviandoli
inflessibilmente a questa pratica bestiale che nulla ha di scientifico. Così qualcuno, tanti, si
ritrova forse prima di divenirne consapevole a praticare la tortura, e ormai senza più chiedersi
perché, esegue e seziona, sempre più implicato in questo modo orrendo, sempre più isolato da ogni
modo positivo. Pedina di un gioco di cui si finge artefice, il vivisettore difende a oltranza il
proprio operato, non potendo, proprio non potendo guardarsi anche solo per un attimo, non potendo,
proprio non potendo ammettere la realtà delle proprie azioni, e l’atrocità della propria
responsabilità. Acido ed ostinato nel rivendicare il proprio presunto diritto alla tortura, il
vivisettore porta così avanti la propria vita invivibile, e viene da chiedersi come faccia.
Un’infinità di animali, voi non credereste il numero, con i corpi squartati, pulsanti, inchiodati
hanno guardato quell’uomo negli occhi. Il sangue scorre via veloce sul piano d’acciaio inossidabile,
leggermente inclinato. E quegli occhi ancora benevoli ed interrogativi, per quanto mai possibile
ancora a volte perdonano. Ma presto il dolore è l’unica e totale esperienza. mentre la dignità
l’ultima a venire meno. Poco import che da sempre qualche uomo, e non pochi, abbia mosso una nota di
sdegno, appena una critica a questa disumana regia, alla violenza e alla confusione che mostra
evidenti. Sulla violenza non vale parola. Chi in tale contesto ancora chiede ragioni merita solo a
mio avviso il silenzio. Della confusione all’opposto conviene parlare, perché, si sa bene, l’uomo
alla fine è sensibile solo al proprio vantaggio. E qui vantaggio non c’è. Che infatti i molti
animali che vivono al mondo, uomo compreso, siano nella realtà come dire cugini, è ben noto. Almeno
da Darwin in poi. Ma che poi essi debbano reagire precisi proprio alla stessa maniera ai più
profondi terribili, stimoli, ciò pare a molti non solo dubbio, ma anche superficiale e insensato e
nei fatti non vero. La vita non è, si sa, aritmetica. E’ anzi tutt’altro per nostra fortuna. Così è
nella realtà. Davvero ogni specie reagisce a suo modo. Migliaia di uomini al mondo vivono nel
proprio dolore e nella propria deformità gli errori della sperimentazione vivisettiva. Gli esempi
sono tanti e a tutti ben chiari. Cosi accade che una presunta buia notizia, evinta mediante
indicibili sofferenze e innumerevoli morti animali, non può, proprio non può valere per certo
nell’uomo. E così resta lì, la tetra notizia, incasellata nella vasta ed inutile biblioteca dello
strazio animale. Poco importa se in questi anni l’uomo ha raggiunto, tra le tante rovine, anche
qualche vantaggio. Poco importa se oggi esistono ben altre metodiche, altre vie di ricerca,
metodiche in vitro, che davvero non costano la vita e il dolore a nessuno. E altre metodiche ancora.
Davvero scientifiche, queste. In questi campi vanno convogliati, più d’un uomo da tempo assicura,
intelletti, risorse, studi, denaro. Ma tutto procede a rilento. Anzi è da sempre bloccato.
Difficoltà. Dubbi. Differenti vedute. Come? Mutare la strada di sempre? Metodiche nuove? Abbandonare
il supplizio? Come e perché?
E intanto qualcuno, e sono tanti, anche ora in questo momento in cui io scrivo e tu leggi, sta in
coda. E attende, tremante, immobilizzato, la propria tortura. Senza capire. E poco, nulla c’è da
capire. **Fin qui un mio brano emotivo di tempo fa.(sostituire? Sho)
Conviene, ora un’informazione più fredda. Quanto alla tecnologia, preciso come proprio G Bernard,
primattore di vivisezione abbia sancito la sinonimia dei termini vivisezione e sperimentazione su
animali.
Da allora questi due bui concetti sono in tutto considerati sinonimi. Da sempre si sono alzate voci
contro questa tetra pratica. Esistono raccolte con centinaia di citazioni. Ne riporto sole alcune,
vere.
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