PRINCIPI OLISTICI DELL’ECOLOGIA – 6

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PRINCIPI OLISTICI DELL’ECOLOGIA – 6

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

Oltre le concezioni dicotomiche

Con questa concezione non è più necessario quindi ricorrere alla dicotomia classica che vede coloro
che sentono l’incredibile bellezza e intelligenza del creato e postulano l’esistenza di un Dio, di
un’entità esterna che ha creato il tutto, contrapposti a quelli che, infastiditi dalle proposte
fideiste, dogmatiche non verificabili delle religioni, sostengono invece una visione meccanistica
per cui la materia è tutto e ogni fenomeno trova spiegazione nelle sue stesse leggi fisiche naturali
e che quindi non è necessario concepire alcuna coscienza o entità soprannaturale.

La mia ipotesi è una sintesi delle due: nelle stessi leggi della fisica e della materia sono
impliciti i segni della coscienza, ed è questa che continuamente crea, mantiene ed evolve la vita.
Non una coscienza antropomorfizzata ed esterna che esiste in una dimensione diversa dalla mostra
mia, al contrario, una coscienza ‘interna’, ‘implicata’ (come usa dire Bohm) in ogni singolo atomo
di ogni vivente.

L’ipotesi di una coscienza implicata nei fenomeni biologici equivale a dire che la natura stessa
della vita è coscienza di sé e dell’ambiente esterno.

E tutta quanta l’esistenza diventa viva, pulsante, intelligente; dal sasso, alle balene, alle
foreste tutto è compreso in una visione unitaria: si apre uno scenario vasto e misterioso dove,
finalmente, anche lo scienziato è chiamato a comprendere l’aspetto più inafferrabile e magico della
vita dentro e fuori di lui: la coscienza stessa.

L’intelligenza degli unicellulari

Alcuni batteri hanno un’evoluzione genetica autodeterminata

L’evoluzione potrebbe essere autodeterminata invece che casuale, per lo meno in alcuni casi.

Questa è la conclusione raggiunta in due studi accurati e ben documentati, uno descritto in Nature
(355:142-154) e uno su Genetics di dicembre. I risultati mettono in questione alcune delle ipotesi
più stabili dei biologi evoluzionisti, riaprendo una vecchia controversia.

John Cairns e collaboratori della Harvard School of Public Health hanno trovato che batteri incapaci
geneticamente di metabolizzare lo zucchero lattosio possono mutare rapidamente per potersi cibare di
lattosio. Non si è osservato alcun aumento della mutazione non correlato col rischio di morire di
fame.

“Lo scopo principale di questa ricerca è di mostrare come sono incerte le nostre idee sulla
spontaneità della maggior parte delle mutazioni”, dice il gruppo di Harvard. “Sembra che sia una
teoria che non è mai stata messa alla prova veramente”.

In una serie separata di esperimenti all’Università del Connecticut, Barry Hall ha ottenuto
risultati che Cairns descrive come ancora più sorprendenti. Per poter usare l’unico cibo che veniva
loro dato, i batteri di Hall dovevano compiere due mutazioni, una era una excisione di materiale
genetico.

La excisione non offriva alcun vantaggio di per sé. La probabilità che le due mutazioni potessero
avvenire per caso, nello stesso periodo di tempo, erano meno di una su un trilione.

L’evidenza di una evoluzione autodeterminata ha sorpreso i ricercatori. Hall ha detto: “In un certo
senso, visto che tutti gli altri processi biologici rispondono agli influssi ambientali, sarebbe
sorprendente se anche le mutazioni non facessero lo stesso”.

Molte ricerche precedenti sulle mutazioni nel batterio E. coli, studiavano la crescita esponenziale
in condizioni ottimali e, quindi, innaturali. La comprensione delle mutazioni è basata su studi
condotti nei primi anni ’40, quando venne dimostrato che certi mutanti preesistenti potevano
sopravvivere all’attacco di un batteriofago che uccideva la maggior parte degli E. coli
istantaneamente.

In questi studi recenti i batteri venivano sfidati a sopravvivere in un mezzo sfavorevole. Quelli
che potevano mutare abbastanza rapidamente potevano sopravvivere.

Poiché in studi precedenti venne mostrato che tali mutazioni avvenivano per caso, venne ipotizzato
che tutte avvenissero per caso. “Questa non è tutta la storia”, dice Hall.

“I batteri apparentemente, hanno accesso a un qualche processo che può o prevenire l’occorrere di
mutazioni inutili o distruggere mutanti che non hanno avuto successo poco dopo la nascita”, dicono i
ricercatori di Harvard.

Apparentemente i batteri hanno un vasto corredo di geni silenziosi o “criptici” – geni che sono
disponibili ma non facilmente accessibili – che possono essere attivati in circostanze inconsuete.

“Eventi quali mutazioni accoppiate sembrano quasi incredibili”, dice Cairns, “ma dobbiamo anche
renderci canto che quello che vediamo probabilmente ci dà soltanto una stima minima dell’efficienza
del processo, poiché in questi casi lo stimolo al cambiamento deve scomparire piuttosto rapidamente,
una volta che si sono formati alcuni cloni mutanti in grado di utilizzare il nuovo tipo di zucchero.

È difficile immaginare come dei batteri siano capaci di risolvere problemi cosi complessi come
questi – e farlo senza accumulare, nello stesso tempo, un grande numero di mutazioni neutre o
dannose – a meno che non abbiano accesso a un qualche processo reversibile di prova ed errore”.

L’origine delle variazioni genetiche è stata soggetta ad accese controversie durante il
diciannovesimo e la prima metà del ventesimo secolo. Tutte le variazioni avvengono essenzialmente a
caso, come il rumore termico? O il genoma di una cellula individuale può fare uso dell’esperienza?

Agli estremi c’era un dibattito tra i riduzionisti e i romantici, tra quelli che ceravano di
spiegare l’evoluzione e il comportamento della biosfera in termini di leggi della fisica e quelli
che desideravano descrivere il successo dell’evoluzione semplicemente come un’altra manifestazione
del mistero delle cose viventi.

Il trionfo iniziale della biologia molecolare sostenne favorevolmente i riduzionisti…

Curiosamente, quando venimmo a considerare quale meccanismo poteva essere la base delle forme di
mutazione descritte in questo articolo scoprimmo che la biologia molecolare ha, nel caso specifico,
abbandonato i riduzionisti. Ora quasi tutto sembra possibile.

Gli animali possono pensare, fare delle scelte, usare l’immaginazione

a cura di Emanuele De Benedetti

Gli animali pensano?

Le ricerche degli ultimi anni confermano quello che molti possessori di animali sapevano già: sembra
che alcuni animali siano in grado di anticipare degli eventi, di fare delle scelte, di adattarsi a
delle situazioni nuove e di coordinare delle attività di gruppo.

Il biologo David Griffin crede che: ‘Se possiamo imparare quello che gli animali pensano e sentono
possiamo anche cominciare a definire quello che è tipicamente umano’.

Aggiunge inoltre che gli animali adattano il loro comportamento a delle situazioni di sfida. Sono
capaci di creare delle soluzioni audaci a dei problemi inaspettati. Per esempio un ragno che in
genere crea una ragnatela simmetrica può crearne una asimmetrica quando l’apertura tra le foglie la
rende più efficiente.

Altri animali sono chiaramente in grado di anticipare i risultati delle loro azioni e si sentono
frustrati se le aspettative non vengono soddisfatte. Sembra che siano in grado di pensare in termini
di ‘se/allora’: ‘Se scavo qui troverò del cibo’. Oppure in laboratorio: ‘Se becco quella macchia
brillante otterrò del grano’.

Griffin, in un suo recente libro, “Animal Thinking”, (animali pensanti), dice che: ‘Questi processi
mentali semplici sono indicazioni di una consapevolezza cosciente. Gli scienziati parlano in modo
rispettabile di come gli animali percepiscono ed elaborano l’informazione, ma in molti ambienti il
soggetto della coscienza animale rimane tabù’.

Molti biologi, fedeli alla loro educazione behaviorista, continuano a considerare gli animali come
dei robot, rigidamente controllati dalla programmazione genetica. Col declinare del behaviorismo,
tuttavia, un crescente numero di ricercatori pubblica dei libri e organizza delle conferenze sui
processi conoscitivi negli animali.

Lo psicologo inglese Stephen Walker, autore di un recente libro, “Animal Thought”, (il pensiero
degli animali), è d’accordo: ‘Oggi gli esperimenti di laboratorio forniscono un certo numero di
prove a sostegno dell’idea che quello che succede nei cervelli animali è molto simile a quello che
succede nel cervello dell’uomo’.

Se la coscienza si riferisce a degli stati del cervello che guidano e selezionano la percezione
delle informazioni, la memoria e le azioni, non c’è nessuna ragione speciale per credere che sia
soltanto una prerogativa umana. Walker dice: ‘Gli animali non pensano come pensiamo noi quando
pensiamo in parole, né fanno dei commenti sui loro stati mentali’.

Walker e Griffin offrono, tuttavia, degli esempi impressionanti di comportamento animale
consapevole:

– Consapevolezza numerica. Dei ricercatori hanno addestrato di corvi a scegliere in una serie di
pentole coperte quelle con dei coperchi che avevano da una a sette macchie sul coperchio. Anche se
le pentole variavano di dimensioni, forma o posizione, i corvi continuavano a scegliere le pentole
giuste. Analoghe operazioni di conto e scelta vengono svolte anche dai pappagalli cenerini
dell’etologa Irene Pepperberg.

– Relazioni spaziali. La danza dell’addome delle api indica ai lavoratori le coordinate del posto
dove si trova il nettare. In una prova recente, dei ricercatori hanno spostato una soluzione ricca
di zucchero sempre più lontano dall’alveare con incrementi di venti o trenta metri per volta. Molte
delle api che si recavano nelle prime due locazioni continuavano verso le altre.

Griffin dice che sembra che si rendessero conto che la loro sorgente di cibo si muoveva sempre più
lontano e che, per trovarla, dovevano volare sempre più lontano da casa. ‘Poiché in natura i fiori
non fanno salti improvvisi di venti metri, non si può pensare che questo comportamento fosse stato
appreso dall’esperienza e trasmesso per selezione naturale’.

– Pensiero verbale. Roger e Deborah Fouts hanno insegnato alla scimpanzè Washoe circa 200 gesti
derivati dal linguaggio dei segni americano, un sistema di comunicazione manuale usato dai sordi. Lo
scimpanzè ha imparato a usare i segni appropriati per indicare le foto di numerosi oggetti.

Washoe ha anche insegnato direttamente ad un piccolo scimpanzè adottato di nome Loulis circa 60
segni, evidenziando come l’apprendimento veniva immediatamente ritrasmesso.

Con gesto molto elegante Washoe ha imparato a combinare il segno ‘acqua’ e il segno ‘uccello’ quando
gli è stato mostrato per la prima volta un cigno. Sono stati coniati molti altri neologismi da
differenti scimpanzè come ‘frutto-odore’ per il melone, o ‘apri-mangia e chiudi’ per il frigo,
‘udire-vedere’ per il televisore o ‘frutto-bere-mangiare’ per l’arancio.

– Pianificazione consapevole. In Kenia un gruppo di quattro leoni spesso cacciava in collaborazione.
Due leoni stavano immobili sulla cima di una collina allettando la preda con un falso senso di
sicurezza mentre un terzo leone spingeva gli animali verso il quarto leone che attendava in una
imboscata.

Griffin continua: ‘Gli animali con un cervello relativamente piccolo potrebbero aver bisogno di un
modo di pensiero conscio più semplice di quelli che hanno un chilo o più di materia grigia’. Per
esempio le api e le formiche hanno dei cervelli così piccoli che mancano chiaramente del lusso di un
vasto spazio per delle istruzioni genetiche dettagliate. ‘Per ragioni di economia e di efficienza
può darsi che si richieda meno massa cerebrale per pensare ‘cerchiamo del nettare’ che non per
immagazzinare questo pensiero come istruzione programmata’.

‘Poiché il sistema nervoso centrale è così piccolo dubito che delle istruzioni genetiche possano
guidare in dettaglio l’attività motoria dell’insetto’.

Griffin dice che fino ad oggi si è accumulata poca evidenza per provare in modo conclusivo che gli
animali pensano. Ma i futuri sviluppi della neurofisiologia potranno permettere ai ricercatori di
correlare i modi di attività mentale dell’uomo con quelli degli animali.

‘Il cervello come organo di pensiero è a nostra disposizione solo perché è stato formato e
sviluppato prima di noi’, ha detto Walker, e aggiunge: ‘Può darsi che il nostro organo di pensiero
sia superiore e che lo usiamo meglio, ma non è possibile pensare che gli altri possessori di uno
strumento analogo lo lascino inutilizzato’.

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