PRINCIPI OLISTICI NELLA SPIRITUALITA’ 1

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PRINCIPI OLISTICI NELLA SPIRITUALITA’ 1

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

SPIRITUALITÀ

Introduzione generale alla spiritualità

Nel complesso panorama della nuova cultura planetaria emergente la spiritualità assume un ruolo
centrale, di primaria importanza, di estrema vitalità e dai contorni indefinibili.

L’intero capitolo sulla spiritualità è diviso in tre parti.

La prima parte tratterà I MITI UNIVERSALI, dove si esploreranno i grandi miti ancestrali, gli
archetipi e le tre matrici simboliche della spiritualità, comuni a molte tradizioni antiche e
moderne di differenti popoli della Terra. Un capitolo di grande importanza per comprendere le basi
originarie dell’evoluzione umana, e le logiche più semplici e profonde del sentimento religioso
universale.

La seconda parte tratterà LE RADICI DELLA SPIRITUALITÀ, divisa in: l’anima dell’Oriente e l’anima
dell’Occidente, dove si entrerà nel vivo delle esperienze spirituali, delle strategie e pratiche per
entrare in contatto con la divinità, il vuoto, dove tratteremo le teorie dei corpi sottili,
dell’osservatore, dell’anima individuale e cosmica e dell’evoluzione graduale o per salti di
illuminazione, del concetto di comune spirituale e di Buddhafield.

La terza parte tratterà LA NUOVA SPIRITUALITÀ, sia in riferimento alle nuove forme delle antiche
tradizioni come il buddhismo occidentale, lo zen, lo yoga, gli Hare Krishna, gli Ananda Marga; sia
in relazione ai movimenti e ai maestri spirituali del nostro tempo come la Meditazione
Trascendentale di Maharishi, i Sannyasin di Osho, le scuole di Gurdjieff, Krishnamurti, Ramana,
Ramakrishna, ecc.

Gli elementi del gioco della conoscenza olistica

La lettura dei due capitoli sui miti universali e le radici della spiritualità è da considerarsi
essenziale per una conoscenza unitaria e globale. In essi tratteremo gli elementi concettuali
fondamentali della spiritualità umana che consideriamo le colonne della cultura olistica. Questi
concetti sono delle chiavi che consentono il complesso gioco della conoscenza olistica, i sostegni
di un tempio del sapere dove scienza, arte e spiritualità finalmente possono ritrovare la loro
unità, dove è possibile comprendere la bellezza e il mistero dell’esistenza. Ogni colonna è un
elemento che rappresenta un archetipo della coscienza planetaria (solo in parte sovrapponibile
all’inconscio collettivo di Jung) e quindi una struttura fondamentale della cultura universale.
Analizzeremo alcune relazioni tra le colonne e il modello Cyber che si pone come elemento unificante
o sintetico tra esse.

Questa che proponiamo è una prima codifica degli elementi essenziali per costruire un sistema che
permetta di imparare a conoscere la realtà in modo unitario, sia nei suoi lati scientifici e
materiali che nelle sue dimensioni psichiche e spirituali. Un sistema fondato su princìpi umani e
creativi che potrebbe essere insegnato in tutte le scuole del mondo come base per una cultura
planetaria, olistica e sistemica. L’inizio di un sapere in cui l’essere umano è in armonia con sé
stesso, con gli altri e con l’intera natura vivente. Le colonne di cui ci occuperemo sono pilastri
centrali, senza di essi non può esistere una concezione olistica, una comprensione globale
dell’esistenza e dell’essere umano.

Alcune di esse, come il modello del Tao o il modello di Atman, hanno dimostrato di poter
praticamente sostenere per millenni la struttura concettuale di una civiltà. In questo delicato
momento storico la complessità è diventata l’elemento indispensabile per una conoscenza unitaria:
ciò presuppone la conoscenza simultanea di una serie di colonne e di elementi portanti, monoliti
filosofici e scientifici, per un’articolata e multidimensionale conoscenza del tutto.

Abbiamo presentato solo le colonne più significative e lontane dalla consueta logica occidentale,
trascurandone purtroppo molte altre. Saremo grati di ricevere elementi essenziali da aggiungere alle
future edizioni dell’enciclopedia olistica.

Il modello Cyber può fornire gli elementi concettuali per poter comprendere la complessità
multidimensionale dell’esistenza senza perderne il senso di unità. Unità e complessità sono i due
poli da riunire: una visione unitaria nasce dall’integrazione tra il pensiero razionale-analitico,
che frammenta l’esistente nei suoi componenti costitutivi, e il pensiero analogico-intuitivo che
rivela l’unità intrinseca tra le parti.

CONTRIBUTI

Bhagwan Shree Rajneesh sulla coscienza planetaria

estratto da un’intervista sul tema “scienza e meditazione” rilasciata a Nitamo Montecucco il
22/10/86, in Oregon, USA.

Montecucco: “Sappiamo che la conoscenza scientifica si limita alla realtà oggettiva, e che non ha
alcuna comprensione dei fenomeni profondi quali la vita e la consapevolezza. Crediamo che questa
mancanza di comprensione sia uno dei motivi principali del disastro ecologico, nonchè del continuo
aumento del potenziale nucleare. Nella tua visione può la scienza mettersi al servizio della vita e
dell’evoluzione umana? Qual è il tuo messaggio agli scienziati per aiutarli in questo problema?”.

Bhagwan Sbree Rajneesh: “Tutte le università, tutti gli istituti scientifici dovrebbero rendersi
conto della assoluta necessità che ogni studente che si laurea in scienze, dovrebbe al contempo
laurearsi in meditazione. E la meditazione dovrebbe essere prioritaria: se lo studente non supera
l’esame di meditazione non dovrebbe essere ritenuto idoneo alla laurea in scienze.

Questo è l’unico modo per rendere uno scienziato un meditatore, di modo che di venga interiormente
consapevole di fenomeni più profondi quali la vita, l’amore, la consapevolezza ed infine l’eternità
del proprio essere… L’esperienza dei proprio essere è milioni di volte più vasta dell’amore…
Sarebbe bellissimo se tutti apprendessero queste tecniche, perchè in questo caso anche i poeti, dopo
aver conosciuto la meditazione, avrebbero un differente sapore e i loro versi un’altra fragranza.

Ma per lo scienziato dovrebbe essere un dovere, non un insegnamento facoltativo, perchè nelle sue
mani c’è la vita e c’è la morte, e se non è consapevole della sua stessa vita come potrà essere al
servizio della vita che lo circonda? Se è consapevole della sua vita, allora sarà consapevole della
vita delle piante, della vita delle montagne, della vita degli animali tutti, degli altri esseri
umani e a quel punto non potrà fare la benché minima cosa contro la vita… Ed è il pianeta Terra
che, in tutto il sistema solare, è pervenuto ad un tale livello di evoluzione in cui la vita si è
trasformata in consapevolezza, e alcuni individui sono andati perfino oltre la consapevolezza, nella
superconsapevolezza, e un piccolo numero è pervenuto alla consapevolezza cosmica, a ciò che io
definisco illuminazione.

Distruggere questa Terra non significa solo distruggere un pianeta, ma significherebbe distruggere
milioni di anni di sforzi e di evoluzione dell’intero sistema solare…. Distruggere questa
consapevolezza è la più immensa idiozia che l’uomo possa fare. Tutte le questioni politiche non
hanno più significato di fronte a questo. Qualsiasi cosa: comunismo, democrazia, capitalismo, tutta
questa spazzatura non ha più significato di fronte alla questione di salvare l’evoluzione della
consapevolezza. Lo scienziato deve essere reso consapevole di questo e in particolar modo possono
essere rese consapevoli le nuove generazioni… “

Montecucco: “E’ evidente che tu usi un modello di mente più complesso ed evoluto di quello
tradizionale, puoi parlarcene per esteso? “.

Bhagwan Sbree Rajneesh: “Il termine inconscio è stato usato per la prima volta in Occidente da
Sigmund Freud. Costui non sospettava nemmeno che in Oriente, nelle nostre antiche scritture parliamo
di questa idea dell’inconscio da cinquemila anni a questa parte. Quindi Freud pensava di aver
scoperto qualche cosa di nuovo. Poi Jung scoprì che se vai più in profondità nell’inconscio troverai
l’inconscio collettivo. Anche di questo siamo stati consapevoli per secoli in Oriente. Di un’altra
cosa ancora siamo stati consapevoli, che l’Occidente deve ancora scoprire: se vai oltre l’inconscio
collettivo troverai l’inconscio cosmico, e tutto ciò è assolutamente logico.

La dimensione cosciente è individuale, l’inconscio è impersonale, l’inconscio collettivo rappresenta
tutto ciò che ti ha preceduto: contiene l’intera storia della mente umana. Ma la base, le fondamenta
non possono essere queste. Più in profondità vi è l’inconscio cosmico che è la mente dell’esistenza
tutta. Questi sono i gradini che trovi verso il basso, scendendo in profondità: l’inconscio,
l’inconscio collettivo, l’inconscio cosmico.

Questi sono i tre livelli al di sotto della mente cosciente. Esattamente allo stesso modo vi sono
tre gradini o livelli al di sopra della mente cosciente che nessuno in Occidente ha mai sfiorato,
nemmeno con il pensiero. Al di sopra della mente cosciente vi è un livello che io definisco di
non-mente o supercoscienza. E’ il parallelo dell’inconscio che si trova al di sotto della mente
cosciente, mentre questo si trova sopra la linea della coscienza. E’ un livello impersonale anche
questo, con la differenza che ne sei pienamente cosciente. E’ situato al di sopra della mente
cosciente e lo puoi chiamare non-mente perchè non vi sono pensieri ma un silenzio assoluto.

Molti meditatori si fermano a questo livello pensando di essere arrivati. In oriente vi sono alcune
religioni che si sono fermate allo stadio della non-mente, così come Sigmund Freud si è fermato
all’inconscio e non si è mai preoccupato di andare più in profondità.

Vi sono stati ricercatori spirituali che hanno cercato di andare ancora più su. Andando oltre la
supercoscienza trovi la supercoscienza collettiva o mente supercosciente collettiva.

Questa supercoscienza collettiva è l’equivalente, verso l’alto, dell’inconscio collettivo.

E’ in questo stato di coscienza che hai l’esperienza di non essere separato ma di essere parte di –
una sfera di coscienza trova al di sopra della biosfera che circonda la Terra e di cui tu sei
intrinseca parte. Questa esperienza ti rende consapevole dell’unità della coscienza.

Alcune religioni si sono fermate alla supercoscienza collettiva, così come Jung si è fermato
all’inconscio collettivo. Ancora più su vi è la supercoscienza cosmica che ti fa sentire tutt’uno
non solo con la coscienza ma con l’intera esistenza in quanto tale. Questo è il punto in cui si può
realizzare ciò che Patanjali chiama Samadhi. La parola Samadhi indica uno stato in cui tutti i
problemi sono risolti, tutte le domande sono dissolte: sei pervenuto ad uno stadio che non conosce
alcun problema, alcuna domanda, che è l’eterna beatitudine Questo è lo stato che può essere chiamato
’natura di Dio’, perché sei tutt’uno con l’intera esistenza”.

L’esperienza religiosa nelle fedi tradizionali
di Aurelio Penna

Parlare di esperienza religiosa è come voler tentare di descrivere l’oceano nella sua immensità,
analizzando una per una la miriade di gocce che lo compongono.

Perché in realtà ogni individuo ha la sua propria, specifica, originale e irripetibile esperienza
religiosa; e ciò vale non solo, ovviamente, per i credenti, ma persino per gli indifferenti e gli
atei. Ogni singolo essere infatti non può esimersi dal dare, nel corso della vita, in positivo o in
negativo, una propria personale risposta a quello che forse è il più coinvolgente tra i vari
problemi esistenziali.

Da più parti si è cercato di definire criteri di classificazione, capaci di sistematizzare per
quanto possibile i vari approcci a tale esperienza, proponendo tipologie e parametri di riferimento,
per lo più di tipo antropologico e psicologico.

A questo proposito va detto che, comparando tra loro le varie religioni (parliamo qui di quelle
maggiori e tradizionali), risultano numerosi motivi tanto di assonanza, quanto di dissonanza. Come
premessa generale possiamo osservare che ogni religione presenta un consistente fondo di
incomunicabilità per chi non la pratica; in altre parole non è possibile trasmetterne il.
significato più recondito e pregnante a mezzo del concetto, parlato o scritto, se manca
un’esperienza diretta.

Una realtà in perenne movimento

Un’altra osservazione preliminare riguarda il fatto che nessuna religione può considerarsi un dato
di fatto, un tutto conchiuso: proprio perché è basata sull’esperienza umana, che continuamente si
arricchisce e si rinnova, ognuna di esse appare come un’avventura senza fine dello Spirito. Esiste
un fondo tipico e originario dell’uomo, che passa attraverso tutte le religioni e annoda
significative convergenze nella profondità degli individui, intorno a problemi sempre identici,
perfino nel modo in cui sono espressi.

Vi sono domande che si ripropongono ad ogni generazione e in ogni latitudine; che vengono codificate
nei valori espressi dalle varie fedi e che confermano come, per la storia dell’umanità, non esistano
culture né società che non rechino l’impronta visibile o addirittura preminente di una fede.

Esperienze multiformi

Da quello che possiamo definire un invariabile umano, una costante psicologica, scaturisce un
caleidoscopio di esperienze culturali e religiose, una varietà espressiva, che si manifesta in
simbologie e forme differenti, a loro volta matrici di differenti stili di vita, alla cui
definizione peraltro non sono estranei parametri come l’età, la condizione sociale, il sesso. Le
varietà dell’esperienza religiosa (per citare il titolo di una importante opera di William James)
sono sottolineate da antropologi, psicologi, storici, filosofi, i quali ne sottolineano di volta in
volta caratteri particolari. Schleiermacher ad esempio evidenzia il sentimento dell’infinito, Eliade
la percezione della teofania (manifestazione sensibile della divinità, riferita anche a visioni
estatiche e sogni), Allport il bisogno di senso e di unità, Van der Leew e Otto l’esperienza
tremenda e fascinosa del sacro. Con l’arbitrarietà delle classificazioni, possiamo raggruppare tutte
queste varietà in due grandi gruppi, relativamente omogenei, come già si è detto più sopra. Il primo
gruppo è costituito da tradizioni religiose centrate su una tensione verso l’autoliberazione e il
raggiungimento di una Realtà ultima, di tipo cosmico, che solo impropriamente possiamo chiamare Dio.

Religioni cosmiche

L’Induismo è impegnato nella ricerca spirituale della sanatana dharma, (legge eterna della vita):
“Fa che io passi dal non essere all’essere, dalle tenebre alla luce, dalla morte all’immortalità” è
scritto nelle Upanishad. Per questa religione ciò che conta è la fuga dall’illusione delle apparenze
sensibili del mondo, dell’io effimero, per congiungersi intimamente con la realtà vera,
identificandosi e dissolvendosi in esso e spezzando il vincolo che lega l’individuo all’esistenza
deludente e transeunte attraverso il ciclo incessante delle rinascite.

Il Buddismo, che pure ha mutuato dall’Induismo un’ampia porzione della propria cultura, segue un
altro itinerario spirituale. Esso rifugge dalla metafisica, non è attratto dalla ricerca di una
realtà ultima, ma è sospinto da un interesse pratico circa il modo di liberarsi dal vivere umano, e
quindi dal dolore, per raggiungere il nirvana, cioè lo spegnimento dell’io. La religiosità cinese è
dominata dal Taoismo, l’esperienza religiosa in questo caso si esprime soprattutto nella docilità di
lasciarsi inserire nella Realtà ultima, identificata con il Tao (Via). Lo Shinto giapponese si
manifesta soprattutto nel rapporto con la grande madre Natura, come intuizione, percezione mistico
estetica del divino (kami), attraverso la contemplazione di ogni forma dell’essere, quale
manifestazione del mistero.

Religioni del Dio – persona

Il secondo gruppo è quello delle tradizioni religiose basate sul convincimento che Dio, supremo
essere personale, è intervenuto con una propria finalità nella storia dell’uomo, o direttamente, o
più spesso tramite figure da lui elette. La conseguenza di questa concezione generale conduce a un
ribaltamento della natura dell’atto religioso, che si configura soprattutto come risposta
all’intervento storico di Dio. Così l’Ebraismo propone una vita religiosa basata sui tre pilastri
della conoscenza (da’at), della fede (‘emunah) e della fiducia (bittakhon). Gli ebrei esprimono
concretamente il loro rapporto con Dio nell’osservanza delle norme indicate nella Torah, la Legge
che si pretende data attraverso Mosé sul Sinai.

Analogamente l’Islamismo poggia la propria religiosità su tre fondamenti: la Shari’a (Legge, che
esprime la volontà di Allah), la Tariga (Via) e l’Islam (Sottomissione totale alla volontà divina,
in un quadro generale che non distingue tra sfera religiosa e civile).

Al secondo gruppo appartiene anche il Cristianesimo, che condivide con l’Ebraismo (dal quale deriva)
e con l’Islamismo (che storicamente lo segue e ne rappresenta, secondo alcuni, una eresia) la fede e
la sottomissione alla volontà di Dio, espressa mediante una legge. Rispetto alle altre due grandi
“religioni del Libro”, il Cristianesimo però si differenzia sostanzialmente per la fede proclamata
nel fatto che Dio avrebbe comunicato se stesso all’umanità per mezzo di Gesù, il Cristo, e dello
Spirito Santo, presenza costante e vivente di Dio in mezzo agli uomini. L’esperienza religiosa del
cristiano si configura così in una comunione diretta e interattiva con Dio, fa di lui un “nato di
nuovo”, non più servo ma figlio di Dio”, cui è richiesta una collaborazione creativa. (“E voi, chi
dite che io sia?”, Matteo 16:15).

Individualismo religioso e differenze culturali

Dicevamo all’inizio che ogni individuo ha una sua propria, singolare esperienza religiosa; e ciò è
vero anche quando egli si colloca all’interno di una di quelle grandi “agenzie di significati” che
sono le religioni istituzionali dell’umanità.

Nel vissuto quotidiano ognuno si costruisce una propria religione personale, quasi sempre frutto di
un’elaborazione sincretistica, che assomma formulazioni, credenze, suggestioni, riti, manifestazioni
di varia provenienza, da quelli più nobili e spiritualmente elevati, fino a quelli più volgarmente
commerciali (ad esempio, certi tipi di astrologia e di magia); e tutto ciò viene amalgamato e tenuto
insieme da una specie di tessuto connettivo, costituito dalle proprie riflessioni e dalle proprie
irripetibili esperienze del sacro.

Non v’è dubbio peraltro che queste originali espressioni di autonomia e di creatività si collocano,
nella maggioranza dei casi, all’interno di filoni culturali ben precisi e che questi finiscono per
condizionare in maniera determinata l’evolversi della vita religiosa di ognuno.

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