11 gennaio 2014
Una nuova tecnica che associa ellettroencefalogramma e stimolazione magnetica transcranica sembra in
grado di dare una valutazione quantitativa del livello di coscienza in cui si trova una persona. Ma,
per quanto possa essere clinicamente utile, può servire anche a trovare risposte scientificamente
valide al problema della natura della coscienza?
di Partha Mitra
Nel suo Trattato della pittura, Leonardo Da Vinci consiglia ai pittori di prestare particolare
attenzione ai moti mentali. Il movimento raffigurato deve essere appropriato al moto della mente,
consiglia, altrimenti le immagini saranno considerate due volte morte: morte sono principalmente
ché la pittura in sé non è viva, ma esprimitrice di cose vive senza vita, e se non le si aggiunge la
vivacità dell’atto, essa rimane morta la seconda volta. Francesco Melzi, allievo e amico di
Leonardo, compilò il Trattato dopo la sua morte a partire dalle note frammentate che aveva lasciato.
I vividi ritratti delle emozioni nei dipinti della scuola di Leonardo dimostrano che i suoi studenti
avevano imparato a leggere nei minimi dettagli i moti mentali dei loro soggetti.
Quella di associare un’espressione emotiva del volto a un moto della mente fu un’intuizione
stupefacente di Leonardo e una metafora sorprendentemente moderna. Oggi correliamo specifici modelli
della dinamica elettrochimica (cioè moti) del sistema nervoso centrale a sensazioni emotive. La
coscienza, il substrato di qualsiasi sentimento emotivo, è di per sé un moto della mente, uno
stato effimero caratterizzato da determinati modelli dinamici di attività elettrica. Anche se tutti
i neuroni, le loro parti costitutive e i circuiti neuronali rimangono strutturalmente gli stessi, un
cambiamento nelle dinamiche può significare la differenza tra coscienza e incoscienza.
Ma che tipo di moto è? Quali sono i modelli di attività elettrica che corrispondono al nostro stato
soggettivo di essere coscienti, e perché? Possono essere misurati e quantificati? La questione non è
solo teorica o filosofica, ma è di interesse vitale per l’anestesista che sta cercando di regolare
il livello di coscienza nel corso di un intervento chirurgico, o per il neurologo che sta tentando
distinguere i diversi stati di coscienza in seguito a trauma cerebrale.
Qualche mese fa, Casali e colleghi hanno presentato una metrica quantitativa che fornisce, secondo
gli autori, una misura numerica della coscienza, separando gli stati vegetativi dagli stati di
minima coscienza. Lo studio offre indizi per identificare l’enigmatica sindrome locked-in, in cui il
soggetto è cosciente ma non è in grado di comunicare con il mondo esterno a causa di deficit motori,
ma la cosa più interessante è l’affermazione che le misure permettono una comprensione scientifica
della coscienza, fornendo una misura obiettiva.
La loro metrica, come altre misure cliniche esistenti della coscienza, si basa
sull’elettroencefalogramma (EEG), ossia sulle differenze di potenziale registrate da elettrodi posti
sul cuoio capelluto, che presenta un quadro di massima dell’attività neurale nel cervello. L’EEG può
essere usato per misurare sia l’attività cerebrale spontanea, sia quella evocata da uno stimolo
esterno. Secondo gli autori, l’attività in questione viene evocata direttamente nel cervello
utilizzando un campo magnetico transitorio (stimolazione magnetica transcranica).
Questo comporta l’applicazione di un campo magnetico transitorio che, in virtù della legge di
Faraday, genera un campo elettrico in una particolare regione del cervello: è un po’ come collegare
una batteria all’insieme dei circuiti neurali. Ciò fa sì che nel cervello fluiscano delle correnti
elettriche, non solo nella zona stimolata, ma anche in altre regioni a essa collegate. I modelli
spaziali e temporali di queste correnti cerebrali sono poi ricavabili dalle misurazioni EEG e
quantificate per produrre la metrica.
La novità dello studio è nel metodo usato per quantificare la distribuzione spazio-temporale delle
correnti, che è anche alla base della rivendicazione teorica. L’idea è che quando il cervello è
incosciente, l’attività evocata o è localizzata (gli autori parlano di mancanza di integrazione) ,
oppure è diffusa e uniforme, come durante il sonno a onde lente o gli attacchi epilettici (mancanza
di differenziazione).
Lo stato di coscienza dovrebbe invece corrispondere a un modello spaziotemporale distribuito ma non
uniforme delle sorgenti di corrente. Per distinguere tra i due scenari, gli autori applicano uno
schema di compressione dei dati standard (l’algoritmo di Lempel-Ziv, che viene utilizzato per
esempio per le immagini in formato GIF). Il grado di comprimibilità della distribuzione di corrente
quale è desumibile dagli EEG è la metrica della coscienza che propongono.
Casali e colleghi riferiscono che la loro misura si comporta in modo davvero impressionante nel
distinguere sia gli stati di coscienza dei singoli soggetti, sia quelli di soggetti diversi che si
trovano in differenti stati di coscienza clinicamente ben identificati. Questi promettenti risultati
stimoleranno senza dubbio ulteriori studi. Tuttavia, l’affermazione che la misura è teoricamente
fondata su una comprensione concettuale della coscienza merita uno sguardo più attento. Si è tentati
di pensare che uno studio clinico della coscienza fondato su basi concrete faccia progredire la
nostra comprensione del fenomeno, ma è davvero così?
In medicina è abbastanza comune vedere misurazioni associative di tipo ingegneristico utili dal
punti di vista pratico, ma che non derivano da una comprensione di fondo. I medici dell’antichità
diagnosticavano il diabete mellito senza capire la patologia sottostante. L’utilità clinica non è
automaticamente garanzia di comprensione scientifica.
C’è ragione di essere cauti anche in termini clinici. Alcuni precedenti tentativi di quantificare
numericamente la coscienza si sono dimostrati problematici. In un suo blog un’anestesista ammonisce
a non dare più fiducia alla BIS [analisi bispettrale, una tecnica di monitoraggio dello stato di
anestesia, N.d.T.] o a qualsiasi altro metodo piuttosto che al buon senso e all’esperienza. Un
esperto umano resta ancora l’arbitro ultimo della stato di coscienza di un altro essere umano. Ed è
improbabile che le cose cambino a breve.
Esistono ostacoli pratici e concettuali allo sviluppo di una “metrica della coscienza”.
In termini pratici, abbiamo pochissimo accesso ai dettagli delle dinamiche neuronali nel cervello
umano. In un recente invito alla presentazione di progetti per la registrazione diretta e la
stimolazione dei neuroni nel quadro della terapia con stimolazione cerebrale profonda, la DARPA –
tutt’altro che timida di fronte a sfide tecnicamente ambiziose – si è limitata a 200 elettrodi, vale
a dire a circa un miliardesimo del numero stimato di neuroni nel cervello. L’ EEG rappresenta uno
strumento per misurazioni indirette nel cervello di capacità molto bassa. L’incapacità di misurare
in dettaglio la dinamica dei neuroni cerebrali potrebbe limitare qualsiasi tentativo di quantificare
la coscienza.
La caratteristica che definisce lo stato di coscienza è la consapevolezza soggettiva, in prima
persona, e questo ostacola in modo fondamentale le misurazioni oggettive da parte di un osservatore
indipendente, che non può avere accesso ai fenomeni primari se non attraverso il resoconto
soggettivo dell’individuo cosciente.
E’ possibile (e utile) ottenere misurazioni sempre migliori correlate a questo resoconto soggettivo,
ma queste misurazioni fanno davvero luce sul fenomeno della coscienza?
Per chiarire le questioni di base, consideriamo una sorta di test di Turing per le metriche della
coscienza. Se una misura della coscienza deve avere una patente di scientificità, non dovrebbe
attribuire un alto grado di coscienza a un sistema inanimato passivo in equilibrio termodinamico,
altrimenti ci ritroveremmo con qualche tipo di nozione pan-psichica della coscienza. Tuttavia, un
semplice esperimento mentale dimostra che sarebbe facile costruire un sistema del genere per la
metrica di cui stiamo discutendo.
La misura in questione si basa sui modelli spazio-temporali delle correnti indotte da un campo
magnetico transitorio. Tuttavia, le equazioni di Maxwell impongono che un campo magnetico
transitorio genererà un modello di correnti in qualsiasi pezzo di materia; la corrispondenza con
qualche distribuzione di tali correnti evocate è semplicemente una questione di proprietà del
materiale.
Si consideri per esempio una rete di resistori, condensatori e induttori con costanti temporali del
circuito sintonizzate in modo da restare nel range delle centinaia di millisecondi (corrispondente a
quello dell’EEG). Si potrebbe poi usare un’antenna radio per rilevare il campo magnetico variabile e
assorbirne l’energia. A questo punto, non sarebbe difficile creare una disposizione circuitale che
produca una distribuzione di corrente transitoria, spaziotemporalmente non uniforme e adeguatamente
non comprimibile, e quindi capace di ingannare il dispositivo producendo un elevato punteggio di
coscienza.
Ci si potrebbe anche chiedere se la metrica ci aiuta a rispondere a un quesito evolutivo
fondamentale: si possono differenziare gli organismi nelle categorie coscienti e non-coscienti?
Mentre la maggior parte dei neuroscienziati non avrebbe problemi ad attribuire la coscienza agli
animali vertebrati o invertebrati dotati di cervelli complessi (si pensi ai polpi o alle api),
esiterebbe di fronte agli invertebrati dal sistema nervoso semplice (le meduse sono coscienti? E le
spugne?)
Dato che la metodologia in discussione è stata predisposta pensando agli esseri umani, e in ultima
analisi dipende dalla correlazione con un resoconto soggettivo, è difficile vedere come possa essere
estesa a tutto l’albero filogenetico in modo tale da contribuire a risolvere queste domande
fondamentali sulla coscienza.
Allora, dove cercare misure della coscienza che facciano avanzare la nostra comprensione
scientifica? La maggior parte dei neuroscienziati sarebbe d’accordo che la coscienza è associata ai
sistemi nervosi degli animali (non agli alberi o alle rocce). Invece di cercare genericamente
astratte descrizioni matematiche della coscienza, potremmo avere bisogno di studiare nello specifico
l’architettura dettagliata dei sistemi cerebrali coinvolti nell’eccitazione sessuale,
nell’attenzione e così via.
I sistemi nervosi degli animali complessi probabilmente hanno evoluto la coscienza perché ha alcune
importanti funzionalità. Se l’architettura dei sistemi cerebrali coinvolti nell’eccitazione mostra
una convergenza evolutiva tra invertebrati e vertebrati, questo darebbe importanti indicazioni sulla
coscienza come fenomeno biologico. Una migliore comprensione neurobiologica della coscienza potrebbe
a sua volta far progredire le misurazioni cliniche.
Dai tempi di Leonardo abbiamo fatto molta strada, ma gli osservatori umani restano essenziali per
giudicare le sottigliezze dei moti mentali che chiamiamo coscienza. Per quanto sofisticati siano i
nostri strumenti, la coscienza è ancora un profondo mistero che lascia ampio spazio alle innovazioni
concettuali e al pensiero creativo.
stm.sciencemag.org/content/5/198/198ra105.abstract
—–
Partha Mitra è Crick-Clay Professor presso il Cold Spring Harbor Laboratory. Ha conseguito un
dottorato di ricerca in fisica teorica ad Harvard ed ha fatto parte del Theory Group dei Bell
Laboratories. (La versione originale di questo articolo è apparsa su scentificamerican.com il 7
gennaio. Riproduzione autorizzata, tutti i diritti riservati)
www.scientificamerican.com/article.cfm?id=a-new-method-to-measure-consciousness-discovered
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