Psiche e Coscienza – parte 1

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Psiche e Coscienza

Dr. Marco Ferrini (Ph.D. Psychology)

parte 1

Senza il risanamento della psiche, la conoscenza del sé e la realizzazione spirituale sono solo un
miraggio poiché le rappresentazioni mentali distorte, oltre a generare pesanti squilibri e gravi
patologie sul piano psicofisico, impediscono di accedere alla visione della Realtà. Per questo
motivo la cura della mente deve essere parte integrante e indispensabile di un progetto globale di
rieducazione che abbia per scopo ultimo la realizzazione spirituale.

Per modificare gli automatismi mentali dobbiamo intervenire sui contenuti psichici; per intervenire
sui contenuti psichici è indispensabile modificare le abitudini, cominciando dal cibo che forniamo
alla mente. La mente, come il corpo, va nutrita. C’è quindi un cibo per il corpo ed un cibo per la
mente; in entrambi i casi è necessario un processo digestivo che può essere più o meno facile: vi
sono infatti alimenti indigesti che producono tossine e originano malattie e alimenti sani e
nutrienti che danno vigore e lucidità al complesso fisico e a quello mentale. Finché non cambia il
cibo con cui nutriamo la mente, essa non può cambiare i propri modelli di comportamento. La
coscienza condizionata è come un campo: il campo mentale (citta); quel che seminiamo in questo
campo è destinato a crescere e inevitabilmente a dare frutti, nel bene e nel male.

La mente si nutre di tre tipi di cibo: il primo è quello che nutre anche il corpo fisico, il secondo
è costituito da impressioni, emozioni e pensieri, nutrimento quantomai importante e delicato, da cui
dipende la salute della sostanza psichica; il terzo e più importante sono i guna , gli elementi
strutturanti dell’universo, i fondamenti sottili della materia i quali, pur essendo indistruttibili
ed ineliminabili, possono essere trasformati nei loro reciproci rapporti di forza. La mente,
infatti, attraverso il cibo fisico, le impressioni e la progressiva trasformazione dei guna, può
gradualmente migliorare la propria caratteristica dominante passando da tamas a rajas e da rajas a
sattva. Secondo la tradizione Vedica, la più sicura ed efficace via per la trasformazione
migliorativa del carattere è costituita dalla compagnia di persone sante le quali, in forza del
loro personale esempio, ispirano modelli di vita puramente sattvica.

Fino a tempi recentissimi gli esperti delle neuroscienze affermavano che ogni giorno nell’organismo
umano muoiono circa cento milioni di neuroni destinati a non rigenerarsi più. Oggi
quest’affermazione è messa in dubbio; un fatto è comunque certo: che tale processo viene accelerato
da abitudini scorrette, purtroppo assai diffuse, come ad esempio l’uso di intossicanti. In Italia
muoiono 80mila persone all’anno per i danni provocati dal fumo e 40mila a causa dell’alcool. Anche
senza voler considerare i casi limite, l’assunzione di eccitanti di qualsiasi tipo, da quelli
apparentemente innocui, come la caffeina, ai più dannosi, come gli oppiacei, non può che turbare
l’equilibrio psicofisico della persona che, dopo un’iniziale eccitazione, piomba in uno stato di
profonda depressione, malattia oggi non a caso largamente diffusa (quattrocento milioni nel mondo
solamente i casi diagnosticati). Ciò porta di conseguenza all’insorgere di gravi disturbi del fisico
e della personalità: nevrosi, psicosi e demenza senile, oggi tutti in continua crescita.

L’Ayurveda spiega in maniera accurata e scientifica come ogni scorretta abitudine di vita
comprometta la salute del corpo e della mente. La sovralimentazione, ad esempio, è una delle cause
principali dell’invecchiamento precoce e di tante altre malattie: tutto quel che mangiamo in più
rispetto al nostro fabbisogno, si trasforma in veleno. Altrettanto deleteria è la tendenza opposta,
quella che porta ad assumere una quantità di cibo al di sotto delle nostre necessità.

Ad uno sguardo superficiale le conseguenze di questo e di numerosi altri comportamenti passano
pressoché inosservate, ma queste azioni, ripetute nel tempo, si trasformano in abitudini, che
finiscono per determinare la struttura psicofisica di un individuo, il suo carattere e quindi la
qualità della sua vita, presente e futura.

L’insoddisfazione, l’avidità, l’invidia, la collera, la paura ed altri sentimenti negativi sono
tutti prodotti dell’ego, riflessi di ahamkara , la percezione distorta di sé. Quando la coscienza di
un individuo è integralmente proiettata all’esterno, percezioni ed emozioni si modificano di
continuo, a seconda degli eventi e delle circostanze; ciò provoca un alternarsi estenuante e penoso
di eccitazione e depressione, esse stesse malattie e a loro volta causa di molti altri mali. Quando
invece la coscienza è rivolta interiormente e il fulcro è il sé spirituale, qualsiasi cosa accada
all’esterno non turba più: la concentrazione sulla realtà, quella immutabile, trascendente, consente
di sperimentare un profondo benessere, fino alla beatitudine che scaturisce dalla piena
consapevolezza della nostra natura profonda e di quella del fenomenico .

I Veda spiegano che esistono tre livelli di mente: manas, la mente esteriore, sensoriale, lo
strumento del pensare superficiale, con funzione totalmente estrovertita; buddhi, la mente
intermedia o intelligenza e cittah, la mente profonda e inconscia, talvolta definita coscienza
condizionata. Quest’ultima è sicuramente molto più vicina al sé spirituale di quanto non lo siano le
prime due ma non per questo rappresenta il più alto livello di consapevolezza: quando si parla di
mente profonda siamo infatti ancora nell’ambito di ahamkara, la coscienza riflessa o, appunto,
condizionata; la pura coscienza è situata oltre, al di là di spazio e tempo e quindi al di là di
ogni pur sottile identificazione con il fenomenico.

La mente sensoriale è estremamente mutevole e fallibile, in quanto sempre soggetta all’interazione
dei sensi con i loro oggetti. I sensi riversano all’interno della mente superficiale fiumi di
informazioni e di sensazioni, generando un susseguirsi incessante di impressioni e di desideri
legati al mondo del divenire e perciò estranei alla vera natura e felicità dell’essere.
L’individuo che non percepisce la realtà situata oltre manas, rimane irretito, travolto da questo
flusso di impressioni (vritti) e di desideri e tenta di appagarli sottoponendosi a fatiche,
privazioni, sofferenze; ma la sua disperata ricerca di felicità è destinata a rimanere frustrata.

Quando la persona prende nuovamente coscienza della sua identità profonda, quella spirituale,
diventa capace di discriminare tra sat e asat , tra realtà e illusione (tattva-viveka); la sua
intelligenza (buddhi) si illumina e non lascia filtrare nella coscienza profonda ciò che la mente
esteriore senza sosta propone, causa certa di inquinamento e sofferenza.
Come già affermato, così come per il corpo, esiste un cibo anche per la mente ed entrambi vanno
scelti con cura. Per il corpo sono da evitare gli alimenti conservati poiché hanno esaurito o
fortemente ridotto il loro contenuto pranico, vitale, e ancor più quelli che trasformati in cibo con
atti di violenza; si dovrebbe egualmente evitare di mangiare con ingordigia, con avidità, in
quantità eccessive o in orari poco adatti poiché gli effetti del cibo su corpo e psiche dipendono in
buona parte dal modo e dallo stato mentale con cui esso viene assunto.

E’ parimenti importante nutrire la mente di pensieri, desideri ed emozioni in armonia con l’ordine
cosmico e divino (ritam, dharma), tenendo accuratamente a distanza quei contenuti psichici che
inquinano sia la mente superficiale che quella profonda. Questi oggetti psichici contaminati e
contaminanti lasciano nell’inconscio delle tracce, delle impressioni profonde, ‘solchi’ (samskara) e
tendenze (vasana), che in seguito determineranno i cosiddetti automatismi mentali. Attraverso la
ricerca costante di purezza, di situazioni, compagnie, visioni e suoni sattvici, l’individuo si
libera gradualmente dei fardelli karmici più pesanti, riacquistando visione spirituale e fede nella
Realtà superiore, favorendo con ciò il benessere e la crescita propri ed altrui. Va sottolineato
infatti che ogni squilibrio psichico, come la depressione ed altre malattie mentali, dalle più lievi
nevrosi alle più gravi psicosi, per quanto apparentemente legato a situazioni esteriori e non
dipendenti dal soggetto che ne soffre, secondo i Veda ed anche secondo la mia esperienza, trova
invece le sue profonde radici in un utilizzo scorretto dell’intelligenza, in una volontaria o
involontaria infrazione al dharma, all’ordine cosmico che tutto sostiene e che costituisce il
fondamento di ogni equilibrio. Quando la persona anziché muoversi in armonia con il dharma, lo
infrange, il suo apparato psichico è il primo a risultarne danneggiato, più o meno gravemente a
seconda dell’errore commesso.

In ultima analisi quindi, le malattie sono causate dalla distorta percezione di sé, che costringe
corpo e mente a comportamenti dannosi ed artificiali. Quando si riprende consapevolezza della nostra
natura spirituale e non ci si identifica più con il corpo e con la mente, quando il soggetto si
riappropria dei suoi preziosi strumenti senza venirne più condizionato e dominato, è allora che si
impara ad utilizzarli nel modo corretto. Così facendo è anche possibile riguadagnare la salute
psicofisica.

La guida di una persona illuminata che educhi alla discriminazione (viveka) tra ciò che è reale e
ciò che non lo è, aiutando l’individuo a ristabilirsi nella mente profonda perché acceda alla
visione spirituale e alla consapevolezza della sua vera natura, è indispensabile per potersi
guardare dentro, diventare consapevoli dei propri comportamenti e delle loro conseguenze ed uscire
dai propri condizionamenti mentali. Nella tradizione vedica tale persona è il Guru, il Maestro
spirituale, grazie al quale è possibile cambiare le proprie abitudini ed invertire la rotta
esistenziale. Il Guru è dunque per il discepolo molto più di uno psicologo, in quanto non indica
solamente come sanare gli squilibri della psiche per riportarla ad un cosiddetto livello di
‘normalità’ ma insegna anche a come trascenderla, a come andare oltre questo strumento costituito di
prakriti che, per quanto correttamente funzionante, rimane pur sempre limitato ed incapace di
cogliere ciò che è oltre la materia: il mondo dello Spirito.

Esistono infatti, fortunatamente, anche comportamenti che esercitano un’influenza assai benefica sul
nostro complesso psico-fisico, e che il guru rafforza con i suoi insegnamenti e soprattutto con il
proprio esempio. Lo sviluppo della consapevolezza di sé attraverso la devozione a Dio e al Maestro
spirituale, seguendo alcune regole comportamentali come la compassione, la non violenza, la
continenza sessuale, sono un rimedio efficacissimo contro tutta una serie di disturbi psicofisici.
In generale, strutturare la propria vita secondo abitudini sane e regolate, come andare a riposare
presto, alzarsi di buon mattino e meditare sui Nomi Divini , mangiare cibo fresco, fare le cose
giuste ad orari regolari, curare la pulizia del corpo e della mente, aiuta a prevenire e a curare
numerose malattie.
Enorme è il beneficio apportato dallo sviluppo della devozione a Dio, perché induce a pensare in
maniera positiva, intrattenendo sentimenti di empatia, amicizia e solidarietà verso tutte le
creature, non soltanto quelle umane, ed evitando pulsioni distruttive come la collera, la
concupiscenza, l’avidità, l’invidia o il rancore.

La positività non va certo scambiata col sentimentalismo di stampo fatalistico. Non si deve essere
astrattamente positivi, bensì impegnarsi, agire concretamente secondo un progetto ben strutturato in
vista di un progresso spirituale, altrimenti sarà solo una farsa di breve durata. Pensare
positivamente significa vedere i problemi ed elaborare prontamente le soluzioni secondo regole
dharmya .
Le lamentele sono sintomo di scarsa intelligenza e di scarsa visione: privano di energia, spossano,
deprimono ed impediscono di reagire, di studiare il problema in tutte le sue componenti, di
analizzarlo alla luce del ragionamento (vitarka) e della conoscenza (jnana), in modo da poterlo
affrontare e risolvere . In caso di bisogno, quando, dopo aver tentato, da soli non riusciamo a
trovare una soluzione ai nostri problemi cruciali, i Veda consigliano di rivolgersi al guru o ad
altre persone sagge, per consigli. Ma beninteso, la responsabilità delle decisioni non è delegabile
in alcun modo.

Riuscire a sviluppare una mentalità positiva non è scontato né gratuito. Occorre predisporsi al
meglio e coltivare quelle abitudini che favoriscono il perfetto controllo e la corretta gestione del
complesso psico-fisico. Quel che c’è da fare è aggiustare i gusti, a tutti i livelli. E’
indispensabile, ad esempio, nutrirsi di un cibo sattvico: alimenti vegetariani, che provocano la
minor sofferenza possibile ad altri esseri viventi, ingredienti semplici, freschi, puliti, cucinati
ed offerti a Dio con gratitudine e amore. Il cibo sattvico influenza il corpo e la mente in maniera
sattvica. Il cibo tamasico o rajasico scarica invece sulla struttura psicofisica tutta una serie di
vritti anch’esse tamasiche o rajasiche, di ostacolo allo sviluppo di una mentalità positiva.

continua…

tratto dal sito del Centro Studi Bhaktivedanta www.c-s-b.org

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