Psiche e Coscienza – parte 2

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Psiche e Coscienza

Dr. Marco Ferrini (Ph.D. Psychology)

parte 2

La qualità dei nostri pensieri è quindi conseguenza del nostro comportamento: il cibo, le compagnie,
l’ambiente sociale, le azioni, determinano i contenuti mentali e questi, a loro volta, determinano
l’agire, influendo notevolmente sulla salute psico-fisica della persona, sul suo carattere e sul suo
destino. Attraverso il sistema nervoso gli stati emotivi e psichici vengono infatti trasmessi alle
cellule dell’organismo. La salute quindi non può essere ristabilita soltanto attraverso accorgimenti
di tipo chimico-farmaceutico. La stanchezza, la mancanza di memoria, l’impotenza, ad esempio, spesso
non sono causati da disfunzioni organiche ma piuttosto da potenti automatismi mentali. Naturalmente
anche attraverso la chimica è possibile trasformare gli stati psicofisici, sia in positivo che in
negativo; basti pensare a certi farmaci che riducono l’azione rajasica sedando nell’individuo quelle
sovra eccitazioni che potrebbero danneggiare lui stesso e gli altri, oppure ai tremori e alla
perdita di memoria provocati dall’assunzione di alcool o agli effetti devastanti dell’acido
lisergico (LSD). Simili droghe fanno straripare il fiume magmatico dell’inconscio sul piano
cosciente, in un momento in cui il soggetto non è in grado di gestirlo sottoponendolo alla luce
discriminante dell’intelligenza, ad una coscienza sufficientemente lucida; i danni è facile
immaginarli.

L’influenza psichica riveste un ruolo decisivo nella gestione di tutto il corpo fisico. Il sistema
nervoso funziona come quadro di comando per tutte le funzioni del complesso psico-fisico. Gli oltre
cinquanta trilioni di cellule del nostro corpo vengono in ogni momento informate e regolate dal
sistema nervoso il quale determina, direttamente o indirettamente, tutte le funzioni, dagli scambi
elettrochimici delle sinapsi tra neuroni, alle importanti decisioni cruciali della vita: se un
individuo comincia a coltivare pensieri positivi, elevati, le cellule neuronali ricevono questi
stimoli positivi e inviano ‘cellule messaggere’ in tutto il corpo, aumentando il numero e la qualità
delle loro prestazioni, inoltre, gruppi di cellule precedentemente inattive possono rientrare
egregiamente in funzione.
Le ‘cellule soldato’, quelle che individuano gli elementi nocivi presenti nel corpo ed intervengono
per combatterli, si rafforzano se sostenute da una mentalità positiva generata da una consapevolezza
profonda. La psiche infatti non è localizzata in un solo punto, nel cervello: ogni cellula, ogni
organo, ha la propria intelligenza, grazie alla quale esplica le proprie funzioni in quella che
negli antichi testi vedici viene definita la città dalle nove porte , ovvero il corpo: un universo
animato regolato con perfezione da sottilissimi equilibri, del tutto simile al più grande universo
cosmico. Secondo i Veda, come il microcosmo del corpo umano ha la sua controparte nel macrocosmo
universo, così la psiche umana ce l’ha nella psiche cosmica e l’anima umana nell’anima cosmica. I
Veda e in particolare le Upanishad, rimandano continuamente al rapporto tra micro e macrocosmo per
far comprendere l’unitarietà che collega tutti gli esseri tra loro, con il creato e con il Creatore,
Dio.

Quando invece i contenuti psichici sono negativi si esplicitano in collera, concupiscenza, odio,
malumore, invidia, delusione, depressione, e le cellule soldato ricevono dalle messaggere cattive e
scoraggianti notizie, per cui si confondono, si indeboliscono e vengono facilmente sconfitte dagli
agenti patogeni esterni, dagli ‘invasori’, lasciando libero corso alla malattia.
Tutto ciò avviene attraverso canali esterni all’io cosciente. Anche se pensiamo che certe
impressioni, emozioni e pensieri siano diretti ad altri, a quelli che magari consideriamo i nostri
rivali, in realtà essi si volgono prima di tutto contro noi stessi, compromettendo gravemente le
nostre funzioni psicofisiche.

Se un individuo è sotto l’effetto di tamoguna, che corrisponde all’indolenza psichica, al
tramortimento della coscienza , o se è in preda a eccitazione provocata da sentimenti rajasici come
il desiderio, l’ira o il rancore, le sue cellule e i suoi organi non possono che risentirne,
talvolta in maniera devastante.
Come il corpo produce varie sostanze di scarto, così il rifiuto fisiologico della psiche è
costituito da pensieri negativi, ottenebrati che, in un corpo sano, devono venire espulsi. A
differenza però dei rifiuti organici, le tossine mentali possono venire neutralizzate non con la
rimozione, bensì riorganizzando l’ambiente e in primo luogo selezionando le impressioni, le
compagnie, il cibo, il comportamento; in altri termini curando, sanando, sublimando l’individuo su
tutti i piani antropologici.

Per poterlo fare è indispensabile individuare in profondità le cause che hanno prodotto quei
pensieri e l’opera da compiere ricorda in qualche modo quella dell’archeologo impegnato a riportare
in superficie oggetti che giacciono sul fondo. In questo caso si tratta di oggetti di natura
psichica che ristagnano nei meandri oscuri dell’inconscio dove, per le cause suddette, si origina
tutta una serie di complessi e di disturbi della personalità.
Il ricercatore spirituale che opera attraverso la bhakti vive una trasfigurazione antropologica che
potenzia tutte le sue qualità e caratteristiche individuali, depotenziando contestualmente gli
interessi egoico-mondani e le pulsioni distruttive inconsce. La bhakti guarisce la mentalità
turbolenta ed unilateralmente rivolta all’esterno, in quanto consente di sganciare la mente dalla
dittatura dei sensi e i sensi dagli attaccamenti verso i loro oggetti (vishaya) nel mondo esteriore,
permettendo così di intraprendere il viaggio verso l’interiorità e di riscoprire che la beatitudine
e l’immortalità non si trovano fuori ma dentro, nella consapevolezza del sé, in quella dimensione
spirituale ben descritta nella Bhagavad-gita, nelle Upanishad e in altri testi vedici.

La bhakti è l’insegnamento conclusivo delle Sacre Scritture vedico-vaishnava. In quanto religione
dell’amore essa troneggia sulle contrastanti forze titaniche della natura e le armonizza,
permettendo di conseguire con prodigiosa naturalezza la coniunctio oppositorum che in occidente fu
tanto ricercata anche dagli alchimisti. Per questo viene considerata la via maestra per giungere
allo stato di nirdvandva, la libertà dai condizionamenti degli opposti.

Chi è sempre incline a pensieri negativi e non riesce a vedere la soluzione ai propri problemi va
considerato malato a tutti gli effetti, esattamente come chi soffre di fegato o di cuore, e quindi
va trattato con compassione. I problemi più gravi sono costituiti dai blocchi affettivi e
dall’incapacità di esprimere le emozioni. Tra coloro che non riescono ad aprirsi, a parlare delle
proprie difficoltà, tra i più gravi notiamo gli autistici. Anche l’atteggiamento opposto: la
logorrea e l’autoesaltazione, è però anch’esso sintomo di grave malessere psichico. Nevrotici e
psicotici sono veri e propri divoratori di energie, proprie ed altrui perciò, nonostante abbiano un
ruolo sociale, finiscono spesso per venire evitati da tutti sul piano umano e vivono in un deserto
affettivo. La compagnia di persone sobrie, equilibrate, mature, spiritualmente elevate, in grado di
dispensare affetto e conoscenza, risulta la migliore cura per loro, e più in genere, per qualsiasi
disturbo della personalità.

Per una riarmonizzazione dei vari strati della personalità, gli antichi testi ayurvedici consigliano
terapie particolari, non costose, ecologiche e soprattutto molto efficaci. In primo luogo
sottolineano l’importanza di condurre una vita onesta (arjavam), nel senso più ampio del termine,
rispettosa delle leggi di Dio e degli uomini; è fondamentale inoltre che ognuno crei nella propria
dimora uno spazio dedicato al sacro, una stanza con immagini della Divinità e del Guru dove poter
attuare pratiche che permettono di rigenerarsi, di ricaricarsi di energie positive, di
riarmonizzarsi continuamente con l’ordine che sostiene l’intero universo. Queste pratiche
immensamente benefiche, sperimentate con successo per millenni, possono essere raggruppate in
quattro categorie principali: arcanam, ovvero l’adorazione del Divino in una forma particolare detta
Murti, japa o samkirtana, l’invocazione e la meditazione individuale o collettiva sui Nomi divini,
svadhyaya, lo studio dei testi sacri attraverso cui approfondire l’introspezione e satsanga, la
compagnia di persone profondamente religiose.
Gradualmente, assieme ad un retto comportamento , le suddette pratiche sgombrano il campo psichico
da ogni infiltrazione negativa, consentendo un completo ripristino delle facoltà mentali ed
intellettuali, e in generale della salute dell’individuo su tutti i piani.

Il saggio non si lascia coinvolgere in pensieri negativi, neanche in situazioni comunemente
considerate drammatiche; ci riesce grazie ad una devozione ininterrotta che lo connette stabilmente
al Supremo. Per ottenere il controllo emotivo di fronte agli eventi è essenziale lo sviluppo di due
qualità fondamentali: abhyasa, la pratica spirituale costante, e vairagya, il distacco emotivo dal
fenomenico. Ciò ovviamente non significa diventare emotivamente insensibili, simili a pietre, ma non
lasciarsi più suggestionare dai fenomeni esterni, rimanendo continuamente collegati alla sfera della
Realtà. Significa passare dal sentimentalismo al vero sentimento. Questo livello di coscienza non è
facile da raggiungere, è tuttavia possibile attraverso la devozione a Dio; sono indispensabili
onestà, tempo e impegno.

Proprio come uno scienziato, il sadhaka può sperimentare su sé stesso, nel laboratorio della vita
quotidiana, quanto sia diversa l’influenza esercitata da uno stato mentale piuttosto che da un
altro. Secondo i Veda, occorre però che un Maestro realizzato nella scienza del Sé lo guidi nei suoi
‘esperimenti’, che gli indichi quali strumenti utilizzare e quali metodologie applicare, altrimenti
le prove risulteranno inconcludenti, dolorose, talvolta costellate di amare sorprese. Occorre un
Guru che sia presente con il suo esempio e i suoi insegnamenti e che orienti il discepolo verso la
devozione a Dio, verso un pensiero di luce, verso la comprensione più elevata, quella di natura
spirituale.

Lo studente applica la conoscenza spirituale ricevuta dal Maestro e a lui si rivolge ogni volta che
incontra serie difficoltà, in modo da capire dove ha sbagliato e come potersi correggere. Affinché
ciò sia possibile, Guru e discepolo devono conoscersi a fondo, devono aver sviluppato una profonda,
autentica relazione personale, basata su reciproci stima, affetto, lealtà. Ciò solitamente non può
avvenire senza una iniziale frequentazione assidua infatti, nella società vedica, il discepolo
viveva un consistente periodo della sua vita nella casa-scuola del Guru (Gurukula). Come ad un
medico risulterebbe difficile curare un paziente vivendo a migliaia di chilometri di distanza, così
il Maestro spirituale, almeno in una fase preliminare, deve stare in contatto con il discepolo,
stimolarlo ad applicare la cura e somministrare di volta in volta la ‘medicina’ di cui più
necessita. In un secondo momento, quando la relazione spirituale è diventata solida, quando si è
stabilita una forte empatia, la distanza fisica non rappresenta più un ostacolo: il discepolo
ricorda e si accorda agli insegnamenti del guru; inoltre, in quello stadio, i messaggi arrivano
anche per via telepatica.

Il rapporto Guru-discepolo non deve quindi essere né virtuale né rigidamente gerarchico. Il Maestro
corregge lo studente per il suo bene, per autentico affetto nei suoi confronti; non opera per
ottenere una qualche ricompensa; la cura che offre è totalmente gratuita, ecologica ed olistica,
volta interamente allo sviluppo della personalità del discepolo secondo le sue tendenze naturali. La
salute spirituale ovvero, la consapevolezza del rapporto con Dio, genera tutte le altre: quella
intellettuale, quella mentale, quella fisica, quella sociale, quella economica, illuminando ogni
angolo buio della mente e sviluppando appieno la personalità.
Nei Veda la luce è sempre sinonimo di illuminazione interiore, di intuizione, di conoscenza, e la
suprema sorgente di luce è Dio. La fiaccola della fede e dei pensieri elevati, fondati su sat,
dovrebbe essere protetta e alimentata ogni giorno. Perché ciò sia possibile è indispensabile
l’aderenza ai principi del dharma, essenziali sia per la prevenzione che per la cura delle tante
malattie mentali contratte a causa di avidya, la mancanza di consapevolezza spirituale.

La salute del complesso mente-corpo non può venire altro che dalla presa di coscienza del paziente
della propria natura spirituale, consapevolezza che conduce l’individuo ad un pronto recupero di
armonia con sé stesso e con l’universo nel quale è inserito.
Secondo la medicina moderna, molto difficilmente si può guarire da certe gravi malattie fisiche e
mentali; il modello bio-medico dominante purtroppo prende in scarsa considerazione le interattive
dinamiche corpo-mente e spirito, per cui tende a minimizzarle, se non addirittura a negare
l’importanza della consapevolezza spirituale nel processo di guarigione. Da molte malattie, anche
gravi, secondo l’Ayurveda si può guarire ma occorre che il paziente lavori con onestà, costanza e
profondo impegno sotto la guida di un esperto terapista, sottoponendosi con fiducia ad un sadhana
rigoroso, e sempre ricercando Krishna prasadam.

Così come per entrare in possesso di denaro occorre lavorare, allo stesso modo, per avere una mente
sana, che produca pensieri positivi, benefici, occorre coltivare la purezza: nel pensiero, nella
parola e nell’azione, giungendo a stabilire una relazione armonica con il Cosmo e a vivere nel
rispetto delle leggi divine. Il ‘pensiero elevato’ non fiorisce in maniera artificiale; i contenuti
psichici sono autenticamente elevati quando la persona vive con coerenza i principi che governano
l’universo, in armonia con essi. Quest’armonia, come una sorgente che sgorga senza sosta, è capace
di rigenerare in continuazione pensieri, impressioni ed emozioni, togliendo quella polvere
dell’illusione (maya) che nell’universo fenomenico tende a ricoprire ogni cosa.

La saggezza orientale insegna, qual è l’utilità di cercare la luna nel pozzo, anziché ammirarla
direttamente in cielo, in tutto il suo splendore? Similmente: qual è l’utilità di andare a cercare
il fascino e la gioia nel mondo, se neanche conosciamo noi stessi e non siamo collegati a Dio,
Sorgente di questo fascino? Per godere stabilmente di buona salute, nessuna delle nostre attività
dovrebbe prescindere dal bene degli altri, dall’armonia con l’universo, dal contatto con l’Origine
del tutto. L’autentica coscienza di Dio, la coscienza del supremo Creatore e Reggitor dei mondi,
dell’infinitamente Affascinante , è garanzia di benessere in senso globale. In tale stato di
coscienza tutte le cellule del corpo vengono nutrite non solo fisicamente ma anche psichicamente e
spiritualmente, con pensieri nobili, puri, elevati.

I Veda spiegano che è possibile gestire il proprio corpo, l’economia, il lavoro, la vita familiare e
religiosa senza sviluppare nevrosi, senza diventare depressi o eccitati, irresponsabili o
quant’altro. Le richieste del complesso psicofisico non vanno negate o rimosse ma soddisfatte
sublimandole, in maniera che non diventino di ostacolo alla realizzazione spirituale. In questo modo
il corpo e la mente diventano strumenti estremamente preziosi, funzionali alla nostra crescita
globale.

Dovremmo vivere con la consapevolezza che dal nostro attuale livello di coscienza dipenderà la
nostra condizione esistenziale futura .
Lo scopo dell’esistenza è la realizzazione spirituale, il porsi nuovamente in contatto (yoga) con la
Realtà, con l’origine, e con il sostegno supremo di tutto ciò che esiste: Dio. Realizzare Dio
significa riscoprire anche noi stessi e la nostra ontologica natura di immortalità, conoscenza e
beatitudine (sat, cit, ananda); significa trascendere l’ego illusorio ed entrare nuovamente in
armonia con noi stessi, con Dio, con il creato e con le creature tutte.

fine

tratto dal sito del Centro Studi Bhaktivedanta www.c-s-b.org

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