PSICOSOMATICA (EMOZIONI E SALUTE) – 3

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PSICOSOMATICA (EMOZIONI E SALUTE) – 3

da “Enciclopedia olistica”

di Nitamo Federico Montecucco ed Enrico Cheli

EMOZIONI, PSICOSOMATICA E SALUTE GLOBALE

La rosa mistica
Una nuova terapia meditativa per l’uomo moderno: ridere piangere meditare
a cura di Aurora Maggio Cooper

La rinuncia, divenuta inconsapevole, alla libera espressione emozionale e sensibile che il moderno
stile di vita impone per agire e operare nel mondo sociale quotidiano, è alla base del malessere
generalizzato di cui, chi più chi meno, conosciamo gli effetti negativi. Dietro la famosa sindrome
da stress, dietro la mancanza di gioia di vivere, dietro la noia e l’indifferenza diffusa ci sono
emozioni e frustrazioni represse e compresse dentro di noi, che costituiscono il potenziale terreno
dell’indebolimento vitale.

Le emozioni represse

Il processo meditativo denominato ‘La Rosa mistica’ offre un’occasione di libera espressione, per
mezzo del riso e del pianto, le forme biologiche con cui la natura ha provvisto l’uomo per liberare
propri canali energetici vitali. Si tratta di un processo fondato su un’osservazione illuminata
dell’uomo moderno e delle sue difficoltà reali a vivere liberamente. Il processo offre un’occasione
semplice/non semplice di dare uno spazio privilegiato a noi stessi e di alleggerire la nostra vita
dal passato e dalla rigidità che ci portiamo dietro.

Un metodo semplice che richiede però un forte desiderio di migliorare la qualità della propria vita.
Non si tratta di una terapia nel senso di fornire aiuto esterno ai problemi psicofisici ma di una
terapia autoresponsabile, che ognuno può decidere di darsi, in piena libertà e responsabilità
individuale. Da quando è stato introdotto da Osto Rajneesh tre anni fa molte migliaia di persone vi
hanno partecipato, a Poona e in Europa e altrove.

Ya-hoo e Ya-boo, mantra senza terapia

Il processo della Rosa Mistica crea unicamente un ambiente protetto e privilegiato in cui ogni
partecipante può, attraverso il riso e il pianto e la meditazione che ne consegue, aiutarsi a
integrare consapevolmente angoli rimossi di emozioni passate che inquinano lo slancio vitale di
ognuno. Nella sua struttura pratica ‘La Rosa Mistica’ è molto particolare perché unisce una coralità
oggettiva, tutti sono partecipi ma ognuno è da solo con la propria dimensione emotiva e la propria
consapevolezza individuale. Tutti insieme e ognuno per sé. Le uniche ‘tecniche’ suggerite all’inizio
di ogni sequenza sono due mantra molto potenti che stimolano l’espressione ‘oggettiva’, cioè a dire
senza motivo attuale, del riso e del pianto. E’ un gruppo di 21 giorni, suddiviso in tre parti.
Nella prima si inizia con il mantra ‘Yahoo!’ tutti insieme a piena voce, poi per tre ore al giorno
si ride a partire da niente, si ride senza motivo, per sette giorni consecutivi. Nella seconda si
inizia con il mantra ‘Yaabhoo!’ tutti insieme a piena voce e poi si piange senza un motivo immediato
per sette giorni sempre per tre ore al giorno. Nella terza parte denominata ‘l’osservatore sulla
collina’ si sta seduti in silenzio in giardino per tre ore, sempre per sette giorni. Diamo qui uno
stralcio di un’intervista di Ma Anand Nirved che lo conduce sin dall’inizio.

Un metodo semplice e rivoluzionario

Nirved parla della sua esperienza con questo metodo semplice e rivoluzionario: ‘Per quanto sembri
incredibile sono tre anni da quando abbiamo iniziato a gridare ‘Yahoo!’ la prima volta, è stato un
grande regalo. Ho appena finito un’altra Rosa Mistica con circa 100 persone e sono veramente stupita
di riscoprire ancora una volta quanto questo lavoro sia la mia meditazione preferita. Nel discorso
in cui ha introdotto questo processo Osho diceva” Vi sorprenderà scoprire che nessuna meditazione vi
può dare tanto quanto questa piccola strategia”. ‘Ed è vero, sono sempre più sorpresa della magia
che accade nella Rosa Mistica, il segreto sembra la semplicità nessuna terapia, nessuna parola,
nessuna analisi. Ognuno resta da solo con la propria energia nel presente, ogni istante una scelta,
ogni istante una nuova occasione per andare più a fondo in se stessi. Un processo molto pulito, non
si deve aggiungere niente, solo creare un riparo, una protezione, uno spazio chiaro per la scoperta
di ognuno.

Una nuova terapia meditativa

“Possiamo dire che questa è veramente una terapia di nuovo tipo, una terapia meditativa in cui
ognuno si confronta soltanto con se stesso e prende la propria responsabilità di espressione. Si
tratta di un gruppo che parte da una prospettiva di libertà individuale totale, di pulizia delle
emozioni rimosse attraverso il riso e il pianto. Un’esperienza ‘oggettiva’ delle nostre espressioni
emozionali, svincolate da sollecitazioni esterne ma fondate sulla consapevolezza che ci sono troppe
emozioni rimosse che abbiamo dentro e da cui vogliamo ripulirci, per ritrovare l’innocenza di quando
eravamo bambini. ‘Vedendo le facce alla fine di una Rosa Mistica -guardando gli occhi dei
partecipanti non ho dubbi che quell’innocenza si è affacciata di nuovo. Vedo anche dei cambiamenti
nei gruppi, sono intervenute un’intensificazione e un approfondimento collettivi. Chi prende la
responsabilità con se stesso di partecipare alla Rosa Mistica qui a Poona ha fatto un lungo viaggio
in senso pratico e interiore e afferra l’occasione per superare le proprie difficoltà di espressione
emotiva, nella certezza di procedere sulla strada giusta per avvicinarsi maggiormente a se stesso.
Il gruppo avviene dentro una delle nostre piramidi di marmo, costruita apposta per questo processo.
A parte il fatto di trovarci in un luogo bellissimo, anche una scettica come me può sentire
l’intensificazione energetica che avviene sotto la grande piramide!

Per me è un processo che faccio in continuazione e lo sento sempre nuovo e sorprendente,
essenzialmente è una meditazione. In ogni stadio si vede così tanto di se stessi – nel cercare di
ridere per tre ore. Come non potrebbe essere così! Provate… Si crea un’intimità fra i partecipanti
in un mondo senza parole, uno spazio nudo – momenti di condivisione intensa, senza associazioni,
senza aspettative, senza storia – una condivisione di umanità pura. Poi c’è l’osservatore sulla
collina e le sorprese continuano, mentre scendiamo in giardino. Molti non avrebbero scelto di fare
Vipassana per una settimana e si ritrovano tranquilli a fare niente, a essere testimoni di se stessi
e felici di farlo. Eccoci qua a ridere, piangere e meditare nella pace di questo splendido
giardino…

Gli ebrei non muoiono prima di Pasqua

Uno studio recente dei tassi di mortalità tra gli ebrei prima e dopo la Pasqua ha dato consistenza
alla teoria che “la volontà di vivere” tra gli uomini può ritardare la morte fino a dopo una
importante occasione sociale.

I ricercatori, usando i certificati di morte computerizzati in California per gli anni 1966-1984,
hanno trovato che tra i maschi bianchi con il cognome sicuramente ebraico avvenivano circa il 25%
più decessi per cause naturali nella settimana dopo la Pasqua che nella settimana prima.

Quando i ricercatori restrinsero lo studio agli anni in cui la Pasqua cadeva nel fine settimana,
rendendo più probabile che fosse un evento sociale di grande importanza, i risultati erano ancora
più drammatici. In quegli anni le morti nei maschi ebrei salivano a un fenomenale 61% nella
settimana dopo la Pasqua rispetto alla settimana prima. Nelle 24 settimane che venivano un po’ prima
e un po’ dopo la festività il tasso più alto e quello più basso di mortalità avveniva proprio in
quelle due settimane.

In contrasto con questo, i tassi di mortalità per i giapponesi o i cinesi (gruppi che non avevano
praticamente alcun ebreo) non mostrava alcuna differenza tra le settimane.

Il ricercatore dell’università della California, San Diego, David Philips ha detto: “L’effetto di
picchi e valli nel tasso di mortalità è troppo forte per essere dovuto semplicemente al caso. Come
passo successivo dovremo scoprire se vale anche per altre feste e per altri gruppi sociali”.

Forse l’esempio più noto della “volontà di vivere” è quello dei padri fondatori degli U.S.A., John
Adams e Thomas Jefferson, che morirono entrambi nel cinquantesimo anniversario della firma della
dichiarazione di indipendenza. Secondo quanto venne registrato dal suo dottore le ultime parole
furono: “È il quattro oggi?” Studi precedenti avevano suggerito che potesse esistere una tendenza
del genere. La nuova ricerca fornisce la prova più convincente.

“Siamo stati molto sorpresi della intensità dell’effetto”, ha detto Philips, “ma è stato confermato
anche da numerosi aneddoti. Siamo stati molti felici di trovare un modo di provarlo in modo
sistematico”.

Lo studio non ha rivelato alcun effetto apprezzabile nelle donne con nome ebraico. Tuttavia questo
potrebbe essere dovuto alla prevalenza di matrimoni misti in California per cui molte di queste
donne potrebbero non essere ebree e quindi non aver alcun legame sociale con la festa. Inoltre i
maschi hanno un ruolo principale durante il rituale della Pasqua. In teoria, la festa che viene
osservata da circa il 75% degli ebrei, ha più significato spirituale per gli uomini che per le
donne.

Philips e Elliot King hanno preso in considerazione e respinto parecchie alternative della
spiegazione della “volontà di vivere”.

Per esempio la teoria che le festività portano a morte per stress o per eccesso di cibo non potrebbe
spiegare il drammatico declino prima della Pasqua. E neppure si possono attribuire gli effetti a un
ritardo di operazioni chirurgiche a dopo la Pasqua. Il tasso di mortalità per quelli che vennero
sottoposti a operazioni chirurgiche appena prima della morte non mostrarono alcuna variazione
settimanale nel tasso di mortalità. Inoltre la Pasqua avviene ogni anno in momenti diversi
eliminando così la possibilità di fattori stagionali o mensili.

I pericoli del mancato amore – il carattere schizoide
di Luciano Marchino

Un bambino non amato in un ambiente ostile (anche se inconsapevole) percepisce ogni sua espressione
vitale come colpevole e pericolosa

In sintesi – Origine dell’esperienza schizoide: bambini non nutriti dall’amore possono diventare
personalità schizoidi, incapaci di autopercepire il corpo e le emozioni, chiuse in un mondo mentale
illusorio e incapaci di relazionare

Nel 1958 Alexander Lowen descrive per la prima volta il carattere schizoide ne “Il linguaggio del
corpo”. Da allora, molti sono stati gli studi in campo bioenergetico e molti autori hanno
approfondito le osservazioni sul carattere schizoide. Tra i più autorevoli ricordiamo il caposcuola
dell’Orgonomia Elsworth F. Baker ed il prof. Stephen M. Johnson dell’Università dell’Oregon. Lo
stesso Lowen tornò, dieci anni dopo, ad occuparsene dedicandovi un intero volume :”Il tradimento del
corpo”, in cui leggiamo: “Una persona in buona salute ha una chiara rappresentazione del proprio
corpo che può descrivere verbalmente e graficamente: espressione del viso, postura e atteggiamenti.
Può disegnare una figura ragionevolmente vicina a un corpo umano. Lo schizoide non vi riesce.
Le sue figure sono spesso così bizzarre e stilizzate che la carenza della sua rappresentazione del
corpo è subito evidente”. Johnson, d’altro canto, rivela: “Quando intorno alle tre – cinque
settimane di età, il piccolo essere umano emerge dalla condizione di autismo primario, la ‘barriera
sensoriale’ si dissolve lentamente e nel bambino si instaura una sempre maggiore consapevolezza
della persona che si prende cura di lui. La persona che egli incontra in questo primo contatto con
il mondo può essere benevola, disposta al contatto, pronta a reagire a questo essere totalmente
dipendente o può essere fredda, dura, rifiutante, piena di odio, di risentimento per l’esistenza
stessa del bambino”.

Questa è la situazione, secondo Johnson, in cui si trova, al suo primo contatto consapevole con il
mondo, il ‘bambino non amato’, esposto senza difesa ad un ambiente ostile, percepirà ogni sua
espressione vitale come potenzialmente pericolosa. Ad ogni suo richiamo, ad ogni suo contatto con
l’oggetto primario del suo amore e con la sorgente ‘biologicamente designata’ di ogni rassicurazione
egli percepirà una netta minaccia di distruzione. Poco importa se la madre, mossa da sensi di colpa,
cercherà di mediare il proprio sentimento ostile mostrando sentimenti superficiali di premura o di
affetto. Il bambino non amato rimarrà consapevole della minaccia latente maldestramente dissimulata
da cure eccessive e da un’eccessiva preoccupazione per la sua salute. Ma i suoi meccanismi di difesa
sono, a questo punto del suo sviluppo, estremamente primitivi: non potrà che rinunciare alla libera
espressione di sé, le cui manifestazioni richiamano l’attenzione ostile del genitore e, per fare
ciò, giungerà al punto di rinunciare all’autopercezione.

Tale meccanismo si estenderà all’autopercezione corporea le cui esigenze richiederebbero
l’attenzione del genitore ed investirà il piano emotivo, perché il bambino non potrebbe
letteralmente vivere, sentendosi costantemente esposto ad una terrificante minaccia di
annientamento. Per poter sopravvivere, tenendo a bada tanto la minaccia ambientale che la minaccia
interna del suo terrore, il bambino dovrà realizzare un difficile compromesso: rinuncerà a vivere
sul piano della realtà e si ritirerà in un’area illusoria, talvolta predisposta dal genitore stesso,
in cui potrà sentirsi più al sicuro a condizione di sottoscrivere la propria accettazione della
pantomima di amore e cura offerta dal genitore in sostituzione del sentimento autentico.

Nei casi più estremi, in cui neppure apparentemente il genitore mostrerà amore ed interessamento per
il piccolo, questo dovrà forzare oltre la propria capacità di astrarsi dalla realtà.

Giungerà così a credersi un essere speciale, investito da un destino speciale che lo pone in un
aldilà, nel quale egli trova finalmente soddisfatto il proprio bisogno di amore incondizionato. Sul
piano delle relazioni umane ciò si traduce in una costante sensazione di distacco e di freddezza,
mentre i sentimenti e il loro simulacro trovano spazio solo a livello intellettuale. Lo schizoide
adulto sarà talvolta in contatto col senso di struggente solitudine della sua condizione, ma se
tenterà di infrangerlo incontrerà prima o poi il proprio terrore esistenziale a ogni contatto umano
e sarà costretto a ritirarsi nuovamente nel suo universo irreale. Tale universo confina spesso con
quello paranoide che l’esperienza clinica consente di differenziare sia dal punto di vista della
struttura fisica che dell’atteggiamento psicologico che dei fattori originanti.

Il pianto inascoltato – Il carattere orale
di Luciano Marchino

Lasciar piangere un bambino può creare una resa che lo trasformerà in un adulto ‘orale’ sempre alla
ricerca di appagamento esterno

Origine dell’esperienza orale: i bambini inascoltati, non toccati abbastanza, non nutriti
dall’amore, possono diventare personalità orali, fragili, poco vitali, pronte a rinunciare di fronte
alle difficoltà, sempre alla ricerca di un appagamento dagli altri.

Dopo il diritto di esistere emerge nel bambino il diritto di essere sostenuto, toccato e nutrito
affettivamente. Quando queste esigenze sono esaudite in modo incompleto, si crea un insieme di temi
nodali che portano a un adattamento caratteriale tradizionalmente chiamato “orale”. La reazione
naturale del bambino che non riceve adeguate cure è quella di piangere, di protestare, di
protendersi nel tentativo di ottenere ciò di cui ha bisogno. In tale protesta il bambino metterà
tutta la sua energia fino a quando, restando il suo appello disatteso, finirà per cedere alla
spossatezza. Ad ogni occasione successiva il bambino si esprimerà con sempre minor vigore, fino ad
arrendersi all’evidenza. L’organismo del carattere orale si strutturerà, quindi, intorno a un
paradossale ” bisogno di non aver bisogno”.

In seguito a questa rinuncia, dettata dalle circostanze, il suo Io non ha mai ottenuto il nutrimento
necessario a strutturarsi in maniera valida e convincente, quindi, sottoposto a condizioni di
stress, mostrerà rapidamente la propria fragilità.

Io fragile in corpo fragile

I1 suo corpo sarà debole, spesso longilineo, con una sensazione di “sacco vuoto” piuttosto che di
snellezza. Le gambe e la braccia saranno contratte e prive di energia perpetuando così
l’impossibilità di muoversi nel mondo e di protendersi per ottenere l’appagamento del bisogno. La
mascella sarà tipicamente tesa per l’insoddisfazione e per la conseguente rabbia repressa. I1 petto
sarà spesso sgonfio, contratto e carenato (a “petto di pollo”). I1 collo, la gola e tutti gli organi
interni saranno a loro volta contratti nel tentativo di non sentire il vuoto interiore. Dovendo
raggiungere degli obbiettivi, nella vita adulta, una persona ‘orale’ dovrà prestare molta attenzione
al proprio equilibrio energetico, perché non possedendo molta vitalità sarà facilmente preda dello
sconforto e del sentimento di rinuncia, ‘è tutto inutile’. Direttamente correlata agli insuccessi
ripetuti, nasce quindi la depressione ed il senso di vuoto, di inefficacia e di spossatezza. Ciò è
vero sia nelle relazioni sentimentali che nell’ambito dell’attività professionale. E’ di estrema
importanza per il carattere orale vivere in un ambiente che gli manifesti amore e approvazione. In
tali condizioni egli potrà funzionare meglio, senza peraltro essere mai in grado di costituirsi una
‘riserva personale’ di positività da consumare nei momenti difficili. ‘I1 carattere orale ha, in
senso sia letterale che figurato, difficoltà a stare in piedi da solo, tende ad appoggiarsi, ad
aggrapparsi agli altri’ (Lowen). Egli sarà quindi preda di un bisogno di contatto eccessivo,
talvolta mascherato nel suo opposto, vale a dire in un esagerato atteggiamento di indipendenza.

Oscillazioni emotive

Da questa seconda posizione la persona orale si sentirà in grado di dare, ma in realtà, non
disponendo di molta ‘ricchezza personale’ il suo sarà un dare e ricevere a stretto giro di posta.
Ciò rende talvolta difficile relazionarsi ad una persona orale, perché in ultima analisi ogni sua
offerta, ad esempio a livello sentimentale, va tradotta nella richiesta che in realtà sottende.
Quando questa richiesta trova soddisfazione l’orale si carica rapidamente. Ciò spiega le frequenti
oscillazioni di questa persone dal polo depressivo al polo euforico. E’ frequente osservare
nell’orale una tendenza spiccata alla voracità ed all’uso smodato della parola. Attraverso un uso
ipertrofico del linguaggio verbale, l’orale cerca di solito l’approvazione e l’ammirazione del suo
ambiente. Non di rado, inoltre, si mostra in grado di ‘ferire’ con le parole, dando prova di uno
‘specifico’ sadismo orale che lo caratterizza. Dal punto di vista della relazione terapeutica
l’orale si mostrerà un cliente spesso disponibile e desideroso di compiacere il proprio analista.
Posto in condizioni ottimali di accettazione e di supporto potrà progredire rapidamente, nella
misura in cui l’analista sia in grado di promuovere e di accogliere l’espressione del suo senso di
solitudine, del suo disperato bisogno di contatto, della sua inconscia richiesta di aiuto, ed in
ultima analisi della sua reale motivazione a cambiare uno stile di vita che sembra destinato a
perpetuare la sua condizione depressiva.

continua…

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