di J. Kabat Zinn
Proprio come i suoni non smettono mai di arrivarci alle orecchie, così il
respiro non smette mai, finché siamo vivi. In ogni attimo del presente ci
troviamo in questo o quel punto del ciclo del respiro, in un’inspirazione o
espirazione o nella pausa fra l’una e l’altra; quando pratichiamo la
meditazione seduta o sdraiata o in piedi o camminata, o facciamo yoga,
dunque, ci arrendiamo alle sensazioni fisiche associate al respiro,
sensazioni che di rado riconosciamo o notiamo o a cui diamo peso, a meno di
non stare soffocando o annegando o di non avere un brutto raffreddore,
tanto diamo per scontato il respiro e ce ne disinteressiamo.
Ora, nel coltivare la consapevolezza del respiro noi poniamo
consapevolmente l’attenzione sulle sensazioni relative al respiro stesso;
lo facciamo con delicatezza e leggerezza di tocco, permettendo
all’attenzione di avvicinare il respiro, come già detto, come se ci
avvicinassimo a un animale timoroso che prende il sole in una radura del
bosco: con quello stesso genere di delicatezza e di interesse, furtivi ma
soprattutto con affetto.
Oppure, per evocare un’altra immagine, lo facciamo posando l’attenzione
sul respiro come una foglia si posa fluttuando sulla superficie di uno
stagno e lì rimane: lo lasciamo galleggiare sulle onde del respiro a mano a
mano che questo si muove, entra ed esce dal corpo, in contatto con l’intera
durata di ogni respiro che entra, in contatto con l’intera durata di ogni
respiro che esce e con le pause all’inizio e alla fine, all’apice e alla
base, all’apogeo e all’ipogeo di ognuna delle piene oscillazioni di ogni
singolo respiro. Non si tratta di pensare al respiro o alle sensazioni
che dà quanto piuttosto di percepirlo, di galleggiare sulle onde del
respiro come una foglia, o come su un gommone sulle increspature di un mare
calmo o di un lago. In questo modo ci si abbandona completamente alle
sensazioni del respiro, attimo dopo attimo dopo attimo.
“Fidati.Le foglie non cadono fluttuando proprio in questo modo ?
Abbandonandoti al respiro, dando scopo e costanza alla tua attenzione
attimo dopo attimo, inviti la sensazione di un osservatore che osserva il
respiro a dissolversi nel puro e semplice respirare. Il soggetto (tu) e
l’oggetto (il respiro, o perfino «il mio respiro») si dissolvono nel puro e
semplice respirare, in una consapevolezza che non ha nessun bisogno che «
tu » la generi perché conosce già il respiro nel suo svolgersi, al di là
del pensiero, al di sotto del pensiero, prima del pensiero, proprio come
abbiamo visto per l’udito. Seduti qui a respirare, c’è solo questo preciso
istante, solo questo respiro, solo questa conoscenza non concettuale. E’ il
corpo intero a respirare: la pelle, le ossa, tutto, dentro e fuori, ed « è
respirato » almeno quanto ” respira “, al di là di ogni pensiero che ci
potrebbe venire in mente a riguardo.
Seduti qui in pace noi siamo il respiro, siamo la conoscenza, attimo dopo
attimo (ammesso che ci siano ancora attimi), respiro dopo respiro (ammesso
che ci siano ancora i singoli respiri), a gustare il respiro, a odorare il
respiro, a bere il respiro, lasciandoci essere respirati, essere toccati
dall’aria, carezzati dall’aria, fondendoci con l’aria nei polmoni,
attraverso la pelle: aria dovunque, respiro dovunque nel corpo, conoscenza
dovunque, e anche in nessun posto.
E naturalmente, come in tutte le altre pratiche, ritorni di continuo al
respiro quando la mente se ne va a zonzo nei pensieri, nei ricordi o nelle
anticipazioni, nelle storie più svariate, nelle storie persino sul fatto
che stai meditando e sei una cosa sola con il respiro e che non c’è più
alcun « io » che respiri.
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