Quando i bambini sono tristi
di: Johann Rossi Mason – Ecplanet.net
Gli psicologi e i terapeuti della famiglia americani appaiono preoccupati come non mai per il
benessere dei bambini più piccoli. E la ragione sta nel fatto che sia stato individuato come anche i
bambini più piccoli siano in grado di sentire e subire lo stress fisico ed emotivo come gli adulti.
Allo stesso tempo, i meccanismi di difesa adeguati si sviluppano solo con l’età e l’esperienza, con
il risultato che i bambini risultano più fragili e indifesi.
Anche i genitori non sono sempre in grado di prevenire o fronteggiare le fonti e gli effetti dello
stress nei loro figli. Anche i bambini sotto i tre anni possono soffrire di depressione o di
disturbi alimentari e del sonno e addirittura di Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD) lo
sostiene il dottor Jeffrey Brosco, pediatra della Università di Miami. Sappiamo che dalla nascita
ai tre anni avvengono rapidi processi di crescita e la vulnerabilità del cervello ci obbligano ad
essere attenti e misurati. La ricerca degli ultimi 5 anni ci ha insegnato come quasi ogni giorno il
cervello dei bambini subisca variazioni anche in relazione con l’ambiente. Per una crescita adeguata
i bambini hanno bisogno di affetto, di cure e di una relazione sicura con almeno un genitore.
Inoltre devono sentirsi tranquilli e liberi di esplorare il loro ambiente. Se viene meno la
stabilità di base (un genitore depresso, emotivamente distante o assente) i bambini più degli altri
non hanno strutture cerebrali adeguate per adattarsi e possono, quindi, manifestare dei sintomi.
Bambini più piccoli da zero a 5-6 anni hanno difficoltà a regolare le proprie emozioni e i propri
comportamenti. Li trasformano allora in comportamenti sintomatici oppositivi, aggressivi, di
ritiro sociale, bassa tolleranza alla frustrazione e pianto frequente. Talvolta i sintomi sono in
direzione opposta con iperattività, difficoltà di concentrazione e attenzione, anche in assenza di
una specifica patologia.
Cosa fare allora? Lo spiega il dottor Brosco: In linea di massima in questi casi i farmaci non sono
necessari, mentre appare di particolare utilità il counselling o la terapia famigliare dove l’intero
nucleo possa imparare in un contesto guidato e protetto a dare differente rilievo sia alle esigenze
del bambino che ai suoi sintomi di disagio, adattando la comunicazione e cambiandone la modalità e
la qualità. Brosco si riferisce probabilmente al fatto che troppo spesso dai bambini ci si
attendono comportamenti razionali, adulti, che seguano pedissequamente le regole imposte, senza
tenere conto del loro diverso modo di esternare ed esprimere sensazioni ed emozioni.
Inoltre i genitori non sono ancora abituati, ad insegnare, oltre alle regole sociali, quelle
emotive, a riconoscere ed accettare anche i sentimenti e le emozioni negative, ad accoglierle, ad
accettare di essere tristi e arrabbiati ed essere rispettati per questo. L’educazione emotiva dei
più piccoli invece è un caposaldo per una maturazione affettiva armonica e andrebbe più spesso
coltivata.
Istituzione scientifica citata nell’articolo:
University of Miami
Johann Rossi Mason
E-mail: jobres@ecplanet.com
Lascia un commento