Quando incontriamo una sensazione
di Ajahn Amaro
© Amaravati 2013
(Estratti di “For the Love of the World”.
(La traduzione è stata curata da Luca Rossi per il gruppo di praticanti di Pontedera (PI) e gentilmente condivisa con tutti noi)
Tratto dalla newletter di settembre di:
“Saddha – Associazione Laica Buddhista Santacittarama”
Quando incontriamo una sensazione intensa, dei sentimenti intensi, quando le acque si fanno agitate, cosa facciamo? Come ci comportiamo? Talvolta manteniamo le nostre sensazioni in equilibrio, e questo può rinforzarci, esserci di grande aiuto. Altre volte siamo trascinati via e ci perdiamo nelle turbolenze. Siamo catturati dai flutti, boccheggiamo per cercare di respirare, o sperimentando la distruzione che può provenire da queste forti sensazioni. Più forte, più intensa è la turbolenza, e più siamo inclini a reagire in modo inconsciente
o semi-consciente. Quel che ci piace, lo vogliamo afferrare e trattenere; contro quel che non ci piace prendiamo posizione. «Io ho ragione. Tu hai torto». «Questo è buono. Quello è cattivo». E quando ci afferriamo con forza ad un’opinione, ad un punto di vista, il contenuto della nostra posizione sembra diventare più importante della sofferenza che viene dall’aggrapparsi ad esso.
Questa qualità dell’aggrapparsi, dell’attaccarsi, dell’essere catturati dalle cose, è quello che il Buddha chiamava «essere trafitti dalla seconda freccia». (Il Buddha aveva un retroterra militare; era stato educato come un nobile principe guerriero ed era stato allenato nell’arte della guerra, perciò molte delle sue espressioni e analogie sono militari. Come disse una volta Robert Thurman, era come “uno di West Point”).
Dal momento che abbiamo un corpo e una mente, prima o poi siamo destinati a sperimentare un qualche tipo di dolore, o di pena, fisica o mentale. È inevitabile, ed è questo che il Buddha intendeva con «essere trafitti dalla prima freccia». La seconda freccia è l’angoscia, il tormento e il risentimento, l’ansia, che si raggruppano intorno a questa sensazione di dolore. Dal momento che abbiamo un corpo e una mente, non possiamo evitare questa prima freccia. Ma se siamo attenti e ci rendiamo conto di questa verità, allora saremo capaci di evitare di essere trafitti dalla seconda freccia. Saremo capaci di evitare di essere presi nella turbolenza.
Vedere che la sofferenza viene dall’attaccamento è il primo passo per riguadagnare la propria compostezza e padronanza di sé. Quando consideriamo come comportarci in queste acque agitate e selvagge che sono le nostre vite – questi intensi alti e bassi – ciò di cui abbiamo bisogno è una buona zattera. Questo è un altro simbolo che il Buddha usava spesso. Quel che causa il nostro essere catturati, il nostro perderci nei flutti, è l’essere privi di una buona zattera, ovvero non comprendere come funziona la mente.
Per acquisire questa comprensione possiamo contemplare le sensazioni come il secondo dei Quattro Fondamenti della Consapevolezza. Le sensazioni si riferiscono a ciò che è esperito come piacevole, spiacevole o neutro, come pure al senso del “mi piace” e
del “non mi piace”. Non si tratta solo di una sensazione fisica, ma anche del più ampio senso dell’essere attratti o respinti da qualcosa. Nella psicologia buddhista si chiamano vedanā. Si riferiscono al mondo dei sensi, a quell’impulso sensoriale iniziale ed immediato che qualcosa esercita su di noi: «Mi piace». Oppure: «Fa schifo». O anche: «Questo è bello!»
Quando siamo capaci di conoscere le sensazioni così come sono – «Questo è un suono piacevole, questo non è un suono attraente, questo è un sapore delizioso, questo è un sapore terribile» – allora la vita può essere molto più semplice e possiamo mantenere le cose in equilibrio. In un certo qual modo, la qualità della consapevolezza è ciò che ci rende capaci di mantenere la nostra attenzione sulle sensazioni in questo modo e di lasciarle essere semplicemente quello che sono, sensazioni. Questa è la zattera. Vedanā-nupassana, la contemplazione o la consapevolezza delle sensazioni, è la zattera più affidabile per attraversare le acque più turbolente ed agitate. Siamo capaci di mantenere le cose in questa prospettiva: «Questo viene percepito come piacevole, questo viene percepito come spiacevole. Mi piace, non mi piace». Quando non abbiamo una zattera, o la zattera scivola via sotto di noi, allora le sensazioni portano alla bramosia, o a quello che viene talvolta tradotto con la parola “desiderio”. Il “mi piace” si trasforma in “lo voglio”, o il “non mi piace” diventa “non lo posso sopportare”.
Nella psicologia buddhista, questo movimento che va dalla sensazione alla bramosia, all’attaccamento, al voler diventare, sono nessi di quella che è chiamata la catena della “Originazione Dipendente”. Quando non è tenuta nell’abbraccio della consapevolezza e della saggezza, l’esperienza ordinaria dei sensi della vista, dell’udito, dell’olfatto, del gusto e del tatto trascina via il cuore in stati di disappunto, delusione, alienazione e incompletezza.
Quando non stiamo vedendo e comprendendo le nostre sensazioni, allora stiamo costantemente andando in cerca della prossima esperienza eccitante: «Questo prodotto sarà migliore. Oppure questo matrimonio. O questo libro di Dhamma». Siamo semplicemente investiti da un’altra onda, e poi un’altra, e un’altra ancora. Questo è chiamato il ciclo della compulsione, il ciclo della originazione dipendente, il ciclo di nascita e morte.
Il punto debole di questa catena è l’anello tra la sensazione e la brama. Quanto più possiamo sviluppare la consapevolezza delle sensazioni – imparare a sentire le acque, se sono calme e fluide oppure mosse e agitate – tanto più saremo capaci di rispondere, invece che di reagire.
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