Altre realta’. Quando la visione del mondo, non e’ in funzione della mente umana
di Fausto Intilla, 3 febbraio 2020
È da circa un secolo ormai (ovvero dai tempi dellinterpretazione di Copenaghen, nel 1927), che la
meccanica quantistica (persino nelle versioni più moderne) non può fare a meno del ruolo
dellosservatore per esprimere i suoi principi ed i suoi effetti sulla realtà a noi circostante,
mutevole e dinamica proprio in funzione di chi la osserva (non a caso ho messo tra virgolette
questultima parola; tra breve ne capirete il motivo). Dunque, se si escludono alcune
interpretazioni alternative della meccanica quantistica (come ad esempio la teoria oggettiva del
collasso, di cui fanno parte, per citarne due, la teoria GRW e linterpretazione di Penrose), rimane
sempre centrale il ruolo dellosservatore nella creazione/trasformazione dei processi fisici
subatomici, che danno forma in ultima istanza, alla realtà del mondo come lo conosciamo. Per non
annoiare nessuno dei miei lettori, non mi addentrerò a questo punto negli aspetti tecnici inerenti
agli operatori della MQ, alla teoria delle osservabili e al collasso della funzione donda. Non sarà
quindi un articolo sui misteri e i paradossi che ancora oggi, avvolgono i fondamenti e i principi
della MQ, definiti da un formalismo matematico che solo poche persone al mondo, sono in grado di
comprendere fino in fondo in ogni minimo dettaglio. Sarà invece un articolo incentrato sul concetto
stesso di osservatore, ovvero sulle innumerevoli accezioni che tale termine può indurre ad
immaginare, a credere (o a presumere, per le menti più sveglie).
Che cosa si intende dunque per osservatore? Un essere umano dotato della percezione sensoriale
visiva? Oppure un animale diverso dalluomo (un cane, un gatto, un pesce, etc.), purché anchesso
dotato del senso della vista e di una mente/cervello in grado di elaborare linformazione che la
natura stessa della luce è in grado di offrirci? Ma siamo proprio sicuri che occorra avere un
cervello, nonché la percezione sensoriale che ci offre la vista, per poter elaborare linformazione
a noi circostante? Può una mente esistere ed osservare la realtà ad essa circostante, senza dover
necessariamente disporre di un supporto organico il cui aspetto fisico ci conduca alla definizione
di cervello? Unentità biologica che possa definirsi intelligente, deve necessariamente disporre
di un cervello? A volte mi chiedo se i padri fondatori della meccanica quantistica, verso la fine
degli anni Venti del secolo scorso, si siano mai posti tali domande.
Oggi fortunatamente disponiamo di un nuovo modello, molto più evoluto, rispetto a quello classico
della MQ definito dai suoi padri fondatori nella prima metà del XX secolo. Questo modello viene
chiamato: interpretazione relazionale della meccanica quantistica. In tale modello della MQ,
qualsiasi sistema fisico (persino un fotone!) può essere considerato come un osservatore; e di
conseguenza qualsiasi interazione fisica può essere vista e trattata come una misurazione. Si tratta
dunque di una descrizione della realtà in cui i risultati delle misurazioni non hanno alcun valore
oggettivo assoluto, se non quello relativo al sistema osservatore (dove tutte le quantità fisiche
chiamate in causa, sono tra loro relazionali). La realtà, in tale contesto, viene dunque definita
sempre in modo oggettivo, ma non in termini assoluti! Tutto dipende dai sistemi considerati che
pongono in essere il concetto stesso di misurazione. Da un punto di vista prettamente tecnico,
possiamo affermare che nella meccanica quantistica relazionale, il vettore di stato classico della
MQ tradizionale, si trasforma/muta in una descrizione della correlazione di alcuni gradi di
libertà nellosservatore, rispetto al sistema osservato.
Siamo dunque giunti al nocciolo della questione: tutto ciò che interagisce con il mondo fisico,
osserva ed elabora informazione! Ancora non ci è chiaro in che modo possa farlo unentità fisica
macroscopica non organica ed inanimata, ma è assai probabile che anche queste ultime siano in grado,
se non di elaborare, perlomeno di registrare informazione. Se andassimo ad osservare la natura
subatomica di una comune pietra da giardino o di qualsiasi altro oggetto inanimato, grazie al moto
perenne di tutti i suoi elettroni, esso ci apparirebbe vivo! La realtà del mondo e dellintero
universo, è costituita da una moltitudine sconfinata di osservatori dalle forme più disparate e
spesso inimmaginabili, per un essere umano.
Goethe, circa due secoli fa ebbe a dire: Gli occhi devono la propria esistenza alla luce.
Diversamente dagli organi animali indifferenti, la luce genera un organo che corrisponde a sé
stessa. Ma è possibile osservare il mondo senza vederlo, nel modo in cui lo vediamo noi esseri
umani? Pensiamo ad esempio alle vespe; esse dispongono di una tipologia di percezione visiva che non
permette loro di percepire il movimento relativo. Per la vespa tutto è fermo! La vespa non vede le
cose, può soltanto localizzarle. Esistono animali con occhi esposimetri, occhi sestanti, occhi
telemetri e occhi la cui unica capacità è quella di riconoscere il movimento. Tuttavia, tali
limitazioni visive non si osservano mai nel normale svolgersi della vita di questi animali, ma solo
quando si verificano dei cambiamenti radicali nel loro ambiente. Ad esempio, se catturiamo un rospo
e lo imprigioniamo in una gabbia, anche se gli offrissimo quotidianamente delle mosche morte per
nutrirsi, esso comunque morirà di fame nellattesa che qualche insetto vivo gli passi davanti agli
occhi! Dove risiede dunque, la reale consapevolezza del mondo a noi circostante, solo negli esseri
umani? Poiché dotati di un diverso e migliore senso della percezione visiva? Non dimentichiamoci
del fatto che i nostri occhi possono elaborare solo le informazioni provenienti dallo spettro della
luce visibile, che rappresenta solo una piccola parte dellintero spettro elettromagnetico!
Lo scultore italiano Giovanni Gonnelli (1603-1664), noto come Il cieco da Gambassi, divenuto cieco
per una malattia alletà di ventisette anni, creò la migliore opera della sua vita (il busto di papa
Urbano VIII, nel 1637) basandosi solo sul tatto! Se pensiamo ad esempio ai dispositivi ideati e
sviluppati già negli anni Settanta del secolo scorso dal neuroscienziato americano Paul Bach-y-Rita,
per la sostituzione sensoriale della percezione visiva, ci accorgiamo subito che la mente umana non
è mai troppo esigente riguardo alla provenienza delle sue informazioni sensoriali. Tali dispositivi
permettevano a persone del tutto cieche, di vedere con la pelle della schiena o della pancia!
Dunque non con gli occhi, i principali organi funzionali al senso della vista, bensì con altri
organi o parti del corpo umano! Ciò che conta dunque è la forma assunta dallinformazione. Se
linformazione visiva giunge ad esempio attraverso la pelle della schiena, basteranno solo due ore
affinché il cervello incominci a vedere tramite la schiena! Gli organi di senso si sono
specializzati nel tempo attraverso levoluzione, senza però mai separarsi del tutto gli uni dagli
altri. I bastoncelli dellocchio umano (ovvero una tipologia di cellula fotosensibile della retina),
si comportano in modo simile alle cellule muscolari; essi infatti rispondono ad un impulso
elettrico, anche se questo non proviene da un nervo ma consiste in una reazione chimica alla luce.
Ciò che fa, in sostanza, una retina che lavora, è trasformare la luce in determinate strutture.
Grazie alla convergenza evolutiva, scopriamo ad esempio che, anche se non imparentati, locchio di
un vertebrato e quello di un cefalopode, con levoluzione hanno acquisito molte strutture simili.
La talpa Condylura cristata (detta talpa dal muso stellato), riesce a vedere solo attraverso il
tatto. Il suo naso si è evoluto diventando un organo carnoso mobile largo circa un centimetro. Si
tratta di un organo incredibilmente sensibile ed ha una quantità di fibre nervose, cinque volte
maggiore rispetto a quella presente nella mano di un essere umano! Un fatto davvero impressionante,
inoltre, è che la distribuzione delle terminazioni nervose, ha diverse somiglianze di superficie con
la retina dellocchio di un mammifero. Dobbiamo inoltre ricordare che persino la luce polarizzata,
viene sfruttata in vari modi nel regno animale.
Ad esempio le api si basano su tale tipologia di radiazione elettromagnetica per orientarsi;
tuttavia, la maggior parte dei suoi 5500 ommatidi è ruotata di 180° lungo il proprio asse e quindi
non è sensibile in alcun modo alla luce polarizzata. Ogni animale percepisce un range di frequenze
dello spettro elettromagnetico leggermente differente, che dipende dal modo in cui vengono sfruttate
particolari lunghezze donda della luce. Ad esempio alcune specie di pesci e di farfalle
percepiscono una certa frazione di infrarosso e grazie a tale capacità, allalba e al tramonto hanno
una maggiore sensibilità alla luce. Gli insetti, gli uccelli, i pesci e i topi percepiscono
lunghezze donda più corte rispetto a quanto sono in grado di percepire gli esseri umani,
spingendosi addirittura nel campo dellultravioletto.
Molti fiori esibiscono eccezionali disegni visibili soltanto alla luce ultravioletta, utili per
attirare gli insetti impollinatori. Nessun animale di grandi dimensioni, tuttavia, è in grado di
vedere la luce ultravioletta. Ma il fatto più sorprendente, riguardo alla percezione visiva, venne
scoperto solo agli inizi degli anni Cinquanta del secolo scorso, grazie a degli esperimenti compiuti
da due gruppi indipendenti di ricercatori (situati negli Stati Uniti e nel Regno Unito), il cui
scopo era di rispondere alla seguente domanda: Che cosa accadrebbe se i nostri occhi non
manifestassero le saccadi?.
Si definisce saccade oculare un breve e rapido movimento degli occhi entro due posizioni stabili,
con velocità variabile tra 400 e 800 gradi al secondo (°/s) e una durata inferiore ai 50
millisecondi (ms). Lo scopo di tale movimento, detto appunto saccade, è di portare molto rapidamente
limmagine di un oggetto sulla fovea (la zona centrale della macula; ovvero quella parte della
retina in cui la visione dei dettagli è più precisa). Ebbene la sconcertante conclusione a cui
giunsero tali ricercatori, attraverso i loro esperimenti, si potrebbe riassumere con le seguenti
parole: Locchio esiste per individuare il movimento. Unimmagine qualsiasi perfettamente fissa
sulla retina, svanisce. I nostri occhi non possono vedere gli oggetti stazionari e devono oscillare
costantemente per renderli visibili!
Finora comunque, ci siamo soffermati solo nel mondo del regno animale (di cui ovviamente anche
luomo fa parte); e per quanto riguarda il regno vegetale? Le piante e tutti gli altri organismi
vegetali (dal più piccolo al più grande), avranno anchessi la capacità di osservare la realtà che
li circonda? E se la risposta è sì, con quali facoltà sensoriali sono in grado di farlo? I vegetali,
sono in grado di vedere e riconoscere entità fisiche (chimico-biologiche o daltro genere) a loro
vicine? E se anche i vegetali, avessero un certo livello di consapevolezza, una certa
intelligenza?
Pensiamo ad esempio alleuglena, una piccola alga verde unicellulare. Ebbene questo piccolo
organismo del regno vegetale, molto simile al paramecio, possiede una sorta di occhio primordiale;
ovvero un fotorecettore, che dunque le permette di percepire la luce. Come tutti gli altri vegetali,
anche leuglena supplisce al suo bisogno energetico attraverso la fotosintesi; tuttavia, quando la
quantità di luce non è sufficiente a garantirle una certa efficienza energetica (grazie al fenomeno
della fotosintesi), essa è in grado di individuare il cibo e con laiuto di sottilissimi flagelli,
di nuotare fino a raggiungerlo! Nel libro Verde brillante (il fortunato libro di Stefano Mancuso e
Alessandra Viola), gli autori affermano che:
In una pianta le funzioni non sono legate agli organi. Questo vuol dire che i vegetali respirano
senza avere i polmoni, si nutrono senza avere una bocca o uno stomaco, stanno in piedi senza avere
uno scheletro e sono in grado di prendere decisioni senza avere un cervello.
Qualche pagina più avanti, parlando del fenomeno che prende il nome di fuga dallombra(1), essi
affermano che:
(
) nonostante sia conosciuto da millenni, il significato ultimo di questo comportamento tipico
delle piante continua ad essere ignorato o apertamente sottovalutato. Di cosa stiamo parlando in fin
dei conti? Di nientaltro che di una vera e propria espressione di intelligenza, che denota calcolo
del rischio e previsione dei benefici; una realtà che avrebbe dovuto essere evidente da secoli, se
soltanto avessimo guardato alle piante con occhi non schermati dal pregiudizio.
Se la logica ci porta a credere che qualsiasi entità biologica del regno vegetale, sia dotata di una
certa forma dintelligenza, rimane tuttavia il dubbio sul fatto che tali entità, come sosteneva il
grande botanico austriaco Gottlieb Haberlandt (1854-1945) nelle sue ipotesi più azzardate, possano
anche ricostruire/visualizzare delle immagini relative allambiente ad esse circostante, grazie
alle loro cellule epidermiche, teoricamente in grado di fungere da lenti (milioni di lenti!), nello
stesso modo in cui locchio umano utilizza la sua lente naturale, il cristallino (che insieme alla
cornea consente di mettere a fuoco i raggi luminosi sulla retina). A tuttoggi comunque, nessun
esperimento è mai riuscito a convalidare tali ipotesi.
Nel 1880, nel libro: Il potere del movimento nelle piante, Charles Darwin (al fine di giustificare
il concetto di intelligenza nei vegetali) propose lidea che gli apici radicali(2) fungessero da
cervello diffuso delle piante, capace di operare alla stregua di un comune cervello di animale
inferiore. Come ci ricordano gli autori del libro Verde brillante: È nella radice, anzi, per
essere più precisi, nellapice radicale, ossia nella punta di ciascuna radice, che è possibile
verificare la sequenza tipica delle fasi che portano le stimmate dellintelligenza: percezione degli
stimoli ambientali, decisione sulla direzione da prendere, movimento finale.
Con il presente articolo, ormai giunto al termine, ho voluto semplicemente porre laccento su una
questione che troppo spesso, persino tra coloro che quotidianamente utilizzano equazioni di
meccanica quantistica per sondare la natura ultima della realtà, viene sottovalutata o nel peggiore
dei casi, mal compresa o fraintesa: la definizione del concetto di osservatore. La mia speranza, è
di essere riuscito a suscitare in tutti coloro che sono giunti nella lettura fin qui, una visione
della realtà che abbracci non solo i nostri punti di vista, ma anche quelli appartenenti ad altri
mondi a noi paralleli, con cui da millenni conviviamo ed evolviamo. Gli osservatori sono ovunque e
superano di gran lunga quelli di natura umana. Non siamo gli unici a creare e a dar forma alla
nostra realtà, allhabitat umano; esso è in buona parte il risultato di una cooperazione
inconsapevole tra agenti di natura diversa, ma tutti creatori della medesima realtà.
Note:
1- Per un organismo vegetale unadeguata intercettazione della luce può rappresentare un problema
che va risolto nel modo più rapido ed efficiente possibile. Così, quando due piante si trovano a
vivere una vicina allaltra, può capitare che entrino in competizione, perché la più alta fa ombra
con le sue foglie a quella più bassa. Si tratta di una dinamica che porta le piante a crescere più
rapidamente in altezza per superare la rivale, chiamata: fuga dallombra.
2- Ogni vegetale possiede diversi milioni di apici radicali. Lapparato radicale di una pianta anche
molto piccola, può contarne oltre quindici milioni. Ognuno di essi percepisce in continuazione
numerosi parametri come gravità, temperatura, umidità, campo elettrico, luce, pressione, gradienti
chimici, presenza di sostanze tossiche, vibrazioni sonore, presenza o assenza dossigeno e anidride
carbonica. Ogni apice dunque, è un vero e proprio centro di elaborazione dati, che assieme agli
altri milioni di apici, costituisce lapparato radicale di una pianta.
da oloscience.com
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