Quando le condizioni della meditazione non sono quelle giuste

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Quando le condizioni della meditazione non sono quelle giuste

Che fare quando le condizioni della meditazione non sono quelle… giuste?

di J.Kabat Zinn

«Le condizioni non sono quelle giuste…»

Uno degli ostacoli più difficili da superare è l’idea che ci debbano essere
le condizioni giuste, cioè che noi possiamo riuscire a usare questo
approccio per affrontare le difficoltà quando siamo ragionevolmente
tranquilli, quando abbiamo il tempo, quando non ci sono distrazioni, e che
altrimenti non funziona troppo bene.

In uno dei primi incontri tenuti a Cambridge mentre stavamo mettendo a
punto il nostro metodo, c’erano gli addetti.alle [pulizie che lavoravano
fuori della nostra stanza. Si chiamavano tra di loro ad alta voce; e poi
accesero un aspirapolvere, e noi sentivamo il rumore fuori nell’atrio.

In seguito, nella discussione sulla pratica appena terminata, si parlò
molto dei rumori. Alcuni partecipanti si scoprirono capaci di inserire il
rumore fatto dagli addetti alle pulizie nella consapevolezza dei suoni in
generale. Mentre altri sperimentavano il rumore come qualcosa che li
distraeva dal compito di restare tranquillamente seduti. Trovavano difficile
non irritarsi al pensiero di essere disturbati senza necessità.

Mentre il gruppo continuava a esplorare queste diverse prospettive, emerse
qualcosa di importante: tutti coloro che udivano i rumori erano anche
consapevoli di alcuni pensieri o reazioni legativi. In fin dei conti, gli
addetti alle pulizie «non vedevano il segnale sulla porta che indicava che
vi si teneva un incontro di gruppo?». Alcuni riuscivano a notare questi
pensieri a lasciarli andare, per poi tornare alla pratica. Era come sse
arrivassero a vedere quei rumori come una parte dell’esercizio, ed erano capaci
di liberarsi dal bisogno che le condizioni fossero diverse da come
erano.Quello che invece sembrava alimentare le reazioni di altri membri del
gruppo era l’aspettativa che la meditazione seduta dovesse svolgersi in un
determinatomodo modo, e che invece fosse diventata un’altra cosa. Questa
seconda reazione, era più arrabbiata, è assolutamente normale; non c’è
bisogno ili agire’ immediatamente per porvi rimedio, come se questi
partecipanti praticassero in modo inadeguato C’è questa frustrazione, ed è
una cosa che accade anche a persone che hanno fatto anni di pratica. Il
rumore degli addetti alle pulizie offriva l’opportunità di notare quello
che accade quando le cose non vanno come le abbiamo pianificate.

Nessuna terapia e nessuna meditazione potranno impedire che nella nostra
vita quotidiana accadano cose spiacevoli,e queste, insieme con i mutamenti
di umore che vi si accompagnano. saranno presenti-

La pratica non procede come vogliamo. Molti pensano che sarearebbe più
facile affrontare il disagio e le altre difficoltà che possono sorgere
durante la pratica se la mente non si distraesse così spesso dal punto dii
concentrazione dell’esercizio. Questo solleva una questione più generale
che molti continuano a riproporre: che fare quando la mente comincia a
vagare.

La tendenza della mente a vagare e i suoi automatismi

Nella nostra esperienza personale e in quella di altri, vediamo che il
vagare della mente è spesso considerato un «errore» da correggere. . Ma
«vagare» è l’attività propria della mente. È nella sua natura, e non
possiamo impedirglielo. Il problema è che rapporto avere con questo vagare.
Quando consideriamo nostro compito cercare di svuotare la mente o di
arrestare i nostri pensieri, e invece arriva un pensiero, tendiamo a
vederlo come il segno che qualcosa è andato male e che è necessaria una
correzione. Maestri di meditazione molto esperti, con anni di pratica alle
spalle, rivelano di avere per la maggior parte del tempo pensieri che
attraversano la loro mente. Ma ne parlano come se ciò fosse simile alla
presenza di una radio sullo sfondo. Sanno che c’è e sanno quale programma
ascolterebbero, se volessero sintonizzarsi, ma possono andare avanti
con il resto della loro vita.Dunque il problema non è imparare a far
cesare i pensieri ma imparare a modificare nel modo migliore la nostra
relazione con essi, vedendoli semplicemente per quello che sono, flussi,
eventi mentali, senza perderci in essi.

L’essenza della mindfulness è la disponibilità a ricominciare ogni volta,
all’infinito.

Una delle abilità centrali nella pratica della mindfulness è il
disimpegnarsi dai vecchi abiti mentali. Il body scan è l’occasione per
farlo con garbo e delicatezza. Si tratta di diventare consapevoli
dell’esperienza del momento e poi lasciarla andare. A dirlo sembra facile,
ma nella pratica lo è molto meno. La pratica richiede una decisione
deliberata: portare attenzione intenzionalmente su ogni zona del corpo,
respirare dentro e fuori da essa per qualche momento, prima di spostare
l’attenzione (sempre intenzionalmente) sulla zona successiva.

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