Quanto sono libero?
Scritto da Matsyavatara dasa il 21 Agosto 2012. Pubblicato in Riflessioni
Il Bhagavata Purana (I.1.10) spiega che nella presente era di Kali le persone hanno una forte
tendenza al conflitto. Il conflitto rende schiavi di emozioni distruttive e priva l’essere della sua
dignità e libertà originarie. Ecco perché i testi sacri ingiungono: shanti shanti shanti! Coltivare
uno stato di serenità e di soddisfazione interiore (santosha) rappresenta nello Yoga di Patanjali
una delle cinque fondamentali niyama o prescrizioni indispensabili per l’evoluzione di ogni
individuo, così come coltivare la purezza, l’ascesi, lo studio degli insegnamenti spirituali e
l’abbandono a Dio.
Santosha è possibile nella misura in cui si pratica asteya, ovvero l’astensione dal prendere e dal
pretendere, dal concupire e dall’invidiare le cose di altri, che ad altri sono pervenute per il loro
karma, evidentemente differente dal nostro. Ci sono persone che hanno bellezza fisica, intelletto
brillante, buon carattere, mentre altre che hanno esattamente qualità opposte.
Invidiare quel che altri hanno è l’esito di una malattia o distorsione della psiche, che a sua volta
produce ulteriori pesanti distorsioni; l’antidoto è predisporsi a fare un lavoro serio su se stessi
per poter diventare come si desidera essere, la migliore versione di noi stessi. Ognuno di noi ha
la facoltà e gli strumenti per poterlo fare, ed è questa l’area in cui ciascuno può esercitare il
proprio libero arbitrio.
La capacità di discernere è un attributo inalienabile dell’essere. Tutte le volte che non siamo
capaci di esercitarla correttamente produciamo sofferenza, e tutte le volte che la esercitiamo in
maniera sbagliata pur sapendolo, si verifica quella che ho definito sofferenza inneccessaria.
Da alcuni anni intrattengo una corrispondenza con una persona che vive in carcere perché sta
scontando gravi colpe commesse, per le quali si è peraltro sinceramente pentita, tanto da aver
intrapreso in carcere il percorso spirituale nella via del Bhakti Yoga. E’ in una condizione di
restrizione di libertà fisica da quasi vent’anni, ma dal punto di vista spirituale vi assicuro che è
molto più libero di tante persone che magari adesso sono a prendere la tintarella sulla spiaggia,
incatenate ai loro invisibili condizionamenti.
Nelle mie lettere rivolte a questa persona scrivo: non ti lasciar turbare dal fatto che hai da
condividere sei metri quadrati di spazio con altre persone; ricorda che sei sempre in grado, anche
in questa condizione, di decidere se perdonare o coltivare rancori, se pensare a qualcosa di elevato
o di ignobile, se mangiando, offrire o meno il cibo a Dio. A dire il vero, se ben ci pensi, hai
un’infinita gamma di libertà se solo la sai utilizzare.
Il libero arbitrio lo si può esercitare primariamente intervenendo sui propri desideri, perché è il
desiderio il motore più potente da cui derivano decisioni e azioni.
Tale esercizio del libero arbitrio è possibile anche se fisicamente fossimo legati mani e piedi,
perché anche in quel caso potremmo decidere in che modo star mentalmente di fronte a quella
situazione.
Matsyavatara dasa (Marco Ferrini)
matsyavatara.com
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