Quello che è importante
(del venerabile Ajahn Pasanno)
© Ass. Santacittarama, 2005. Tutti i diritti sono riservati.
SOLTANTO PER DISTRIBUZIONE GRATUITA.
Traduzione di Federico Petrangeli.
(Questo discorso è stato tenuto in lingua tailandese dal Venerabile Pasanno
al Buddhamonton (Buddhamandala), vicino Bangkok, nel settembre del 1987. E’
stato pronunciato durante una settimana di pratica meditativa e pratica
dedicata a Sua Maestà il Re Bhumibol, in occasione del suo sessantesimo
compleanno. Ajahn Pasanno è adesso ‘co-abate’ del monastero Abhayagiri in
California (www.abhayagiri.org).)
Il Buddha ha offerto i sui Insegnamenti al mondo con l’intento di indicare
una strada per la conoscenza della Verità-Dhamma. Per tutta la sua vita Egli
ha seguito un atteggiamento di rinuncia, in modo che potessimo conoscere
personalmente questa Verità. Il fatto che questi Insegnamenti siano giunti
fino a noi, indica che sono stati messi a frutto sia da laici che da monaci.
Affinché il loro vero valore possa realizzarsi, è però importante
comprendere che è necessario contemplare personalmente questi Insegnamenti.
Con questa esperienza personale, se condotta correttamente, possiamo
giungere alla pienezza, alla calma e alla serenità che essi offrono.
Da straniero residente in Tailandia, trovo che la mia vita da monaco
buddista sia estremamente salutare. A volte alcune persone che vengono a
visitare il nostro monastero, Wat Nanachat, mi chiedono da quanto tempo sono
monaco. “Più di dieci anni”, rispondo io. “E ti piace?”, fanno loro. “Se non
mi piacesse – rispondo – perché avrei speso più di dieci anni in questo
modo? Potrei fare molte altre cose”. Vivo seguendo questo Cammino perché ne
sperimento personalmente il valore.
Senza una chiara comprensione dei processi del nostro cuore, creiamo ogni
genere di problema. Ci infuriamo e poi ci annoiamo e siamo agitati dagli
stati emozionali. Per questo, affinché ci sia una condizione di pace, sia
personale che generale, dobbiamo comprendere questi stati: i moti del cuore
devono essere visti con chiarezza. Questa è la funzione e il valore del
Dhamma.
Contemplando il Cammino Buddista, è importante notare come non ci sia
assolutamente nessun elemento di obbligo o di minaccia. Decidere di
intraprenderlo oppure no è una nostra scelta, abbiamo completa libertà a
questo riguardo: il Buddha ci ha soltanto offerto un’introduzione alla Via.
Non c’è nessun giudice esterno a controllarci. Il Buddha ci ha indicato la
strada che conduce alla vera realizzazione, alla liberazione, alla pace e
alla saggezza, e anche la strada che conduce al fallimento e alla
confusione. Non c’è nessuna autorità esterna che formuli affermazioni
assolute su ciò che è bene e ciò che è male, su ciò che è giusto e ciò che è
sbagliato. Nessuno ci punirà se scegliamo una strada che non dovrebbe essere
seguita. Ma c’è sempre qualcosa nel nostro cuore che sa quello che stiamo
facendo.
Allora è importante che consideriamo come utilizzare effettivamente gli
Insegnamenti del Buddha e come realizzare il loro vero valore. Abbiamo tutti
sentito parlare molte volte delle Quattro Nobili Verità e dell’Ottuplice
Sentiero. Forse ne abbiamo sentito parlare così tante volte da darli per
scontati: non pensiamo che siano poi così importanti. Ma questi Insegnamenti
sono considerati il “Cuore della Via del Buddha”. Nei suoi quarantacinque
anni di insegnamento, il Buddha non li ha mai modificati e non li ha mai
abbandonati.
La scorsa settimana, al monastero, non potevo fare meditazione camminata
perché mi ero slogato una caviglia. Allora ho deciso che mi sarei unito alla
comunità per la meditazione seduta, e poi sarei tornato alla mia capanna
durante il periodo della meditazione camminata. Ho usato quel tempo per
riprendere in mano alcuni dei canti che facciamo. Mi sono riletto varie
volte il primo Discorso del Buddha, il Dhammacakkappavatanna Sutta, che
contiene la Quattro Nobili Verità e l’Ottuplice Sentiero. Così ho scoperto
alcuni passaggi di grande importanza.
Consideriamo innanzitutto il contesto in cui questi Insegnamenti furono
offerti. Il Buddha aveva passato sei lunghi anni sforzandosi di raggiungere
la Verità. Aveva attraversato un’incredibile serie di difficoltà, non come i
meditatori di oggi, che facciamo un sacco di storie se le condizioni non
sono esattamente come desideriamo. Quando alla fine raggiunse la Perfetta
Illuminazione, il Buddha valutò attentamente come comportarsi rispetto alla
possibilità di condividere o meno la sua realizzazione. A quel tempo aveva
trentacinque anni, non era certo una persona anziana, e aveva ricevuto la
migliore educazione possibile, considerando che era stato allevato come un
principe. Egli era dunque nel pieno della vita e assolutamente capace di
esprimere ciò che aveva compreso, ma decise che non sarebbe andato a
diffondere i suoi Insegnamenti a chiunque.
Egli decise che i più adatti a ricevere questi insegnamenti erano i cinque
compagni del suo periodo ascetico. Essi erano totalmente sinceri nei loro
sforzi, erano intelligenti e avevano una grande esperienza. Allora il Buddha
camminò per molte settimane per raggiungere il luogo dove si trovavano.
Quando alla fine li raggiunse, diede loro gli Insegnamenti delle Quattro
Nobili Verità e dell’Ottuplice Sentiero. Non si può così certo pensare che
siano Insegnamenti ordinari e insignificanti.
Avendoli ascoltati e avendone parlato tante volte, corriamo il rischio che
tali Insegnamenti diventino per noi una mera teoria. Se si parla di ottenere
qualcosa di carattere materiale e mondano, siamo tutti d’accordo sul fatto
che ciò richieda inevitabilmente uno sforzo. Lo stesso vale per l’Ottuplice
Sentiero. Se mettiamo in pratica il retto sforzo, allora possiamo
raggiungere la realizzazione.
Adesso consideriamo cosa intendiamo per “retto sforzo”. Il Buddha ha fatto
l’esempio
di lanciare un pezzo di legno nel fiume. Se questo pezzo di legno non si
incaglia sulla riva di sinistra o sulla riva di destra, e se non affonda,
allora raggiungerà sicuramente il mare. Con riferimento alla nostra pratica,
la riva destra e la riva sinistra rappresentano i due estremi dell’indulgere
nel piacere (kamasukhallikanuyogo) e dell’indulgere nella sofferenza
(attakilamathanuyogo). Non affondare significa non abbandonare lo sforzo. Se
non fossimo presi dalla sensualità, se non indulgessimo nella negatività e
per l’abbandono dello sforzo, raggiungeremmo il Nibbana. Questa è una delle
leggi di natura. Se apprezziamo veramente il Cammino e ci conformiamo
sinceramente ad esso, ci appare evidente che deve essere così.
L’Ottuplice Sentiero è chiamato la Via di Mezzo: questo significa che il
nostro sforzo deve essere della giusta entità. Se le nostre azioni, con il
corpo e con la parola, non sono in armonia con questa Via, se siamo presi
dalla ricerca dei piaceri sensuali, oppure indulgiamo in stati di rabbia e
di irritazione, allora sarà veramente impossibile vedere le cose così come
sono.
Dobbiamo impegnarci costantemente per compiere il retto sforzo, o altrimenti
finiremo come un pezzo di legno, e affonderemo. Nei momenti di entusiasmo, è
facile rivolgerci alla pratica. Ma può anche succedere che a volte ci
sentiamo totalmente disillusi, fino al punto di scordare completamente la
fiducia e la fede che avevamo all’inizio. Ma tutto questo è naturale. E’
come quando nuotiamo per un lungo tratto: a un certo punto ci sentiamo
stanchi. In quel momento non bisogna farsi prendere dal panico, ma
semplicemente fermarsi per un po’. E non appena si sono recuperate le forze,
riprendere a nuotare. L’importante è non andare a fondo! Bisogna comprendere
questo: secondo il naturale procedere della cose, la condizione cambierà. La
disperazione, se è questa che è sorta, passerà. Bisogna solamente continuare
a praticare. Se osserviamo la nostra mente e vediamo come i nostri stati
mentali sono in continuo cambiamento, ci apparirà evidente che
l’impermanenza
è un fenomeno naturale.
Occorre comprendere quanto questo tipo di contemplazione del Dhamma sia
necessario nella nostra vita. È come un nutrimento per il cuore. Se non
abbiamo una chiara comprensione, allora è come se mancasse sempre qualcosa.
Spesso persone che visitavano Ajan Chah dicevano di non aver tempo per
praticare, dicevano di avere troppi impegni. Ajan Chah allora chiedeva loro
: “Hai abbastanza tempo per respirare?”. E loro rispondevano sempre “Oh si!
Respirare è naturale!”
Coltivare il Dhamma non è forse importante come respirare? Se smettiamo di
respirare moriamo. Se non siamo radicati nella retta comprensione della
Verità delle cose come sono, anche allora moriamo, moriamo da ciò che è
veramente buono, dal vero benessere e dal vero significato delle cose. Se al
nostro cuore manca la ricchezza della verità, allora quando moriremo e
saremo cremati, le nostre vite non varranno più della manciata di polvere
che lasceremo. E non è molto! Dobbiamo capire come vivere in un modo che si
accordi veramente agli Insegnamenti del Buddha. Allora potremo vivere in
armonia, senza conflitti, senza difficoltà e senza problemi.
Sila (moralità) è ciò che ci mostra la Via di Mezzo. Essa ci indica di
evitare gli estremi del piacere e della sofferenza, cioè di comprendere il
retto sforzo. Quando seguiamo la Via di Mezzo, sia per quanto riguarda il
corpo che per quanto riguarda la parola, allora non causiamo offesa agli
altri, e ci comportiamo in un modo che è adeguato per gli esseri umani. La
pratica della meditazione formale serve ad allenare la nostra mente e il
nostro cuore a stare nella Via di Mezzo.
Al giorno d’oggi, molte persone che meditano cercano di forzare la loro
mente per trasformarla in ciò che essi vogliono che sia. Queste persone si
siedono e iniziano a discutere con i loro pensieri. Se l’attenzione divaga,
allora la riportano forzatamente al respiro. Forzare eccessivamente non è la
Via di Mezzo. La Via di Mezzo è il benessere che sorge naturalmente nella
mente quando c’è il retto sforzo, la retta intenzione e la retta
comprensione. Quando la pratica è “retta” e la mente è a suo agio, possiamo
semplicemente osservare i differenti stati che sorgono, e considerare la
loro natura. Non abbiamo bisogno di discutere con nessuno. Discutere provoca
solo irrequietezza. Qualsiasi emozione sorga, rimane nell’ambito della
nostra consapevolezza, e noi semplicemente la osserviamo. Sia che si tratti
di un’emozione piacevole, sia che si tratti dell’esatto opposto, tutte le
esperienze rimangono entro i confini della nostra consapevolezza. Noi non
facciamo altro che sederci, osservare, contemplare e riconoscere le
sensazioni: esse cesseranno naturalmente. Perché cessano? Perché è la loro
natura. E’ la comprensione della vera natura del cambiamento che rafforza e
calma la mente. Con questa conoscenza intuitiva c’è tranquillità e pace.
La saggezza del Buddha consiste nel conoscere il necessario. Quindi non si
tratta di conoscere tutto di tutto, ma di conoscere l’impermanenza, la
sofferenza e il non-sé. La ragione per cui vediamo le cose diversamente da
come realmente sono, è la nostra mancanza di saggezza. Con la saggezza
impariamo a lasciar andare: lasciar andare il desiderio, lasciar andare
l’attaccamento,
lasciar andare le convinzioni personali. Sappiamo anche come lasciar andare
la tendenza a vedere sempre le cose in relazione ad un sé.
Quello che chiamiamo “Io” è solo una convenzione: noi siamo nati senza nomi.
Poi qualcuno ci ha dato un nome e dopo un po’ che veniamo chiamati con
questo nome, cominciamo a pensare che esista veramente qualcosa chiamato
“Io/Mio”. E poi sentiamo di dover passare la nostra vita ad occuparcene. La
saggezza del Buddha conosce come lasciar andare questo “sé” e tutto quello
che gli appartiene: le cose che si possiedono, gli stati mentali, le
prospettive e le convinzioni personali. Significa lasciar andare le
occasioni del sorgere della sofferenza (dukkha). Significa creare le
condizioni per vedere la vera natura delle cose.
Così, coltivando l’Ottuplice Sentiero, si sviluppa cosa è “giusto” per un
essere umano. Attraverso la pratica delle moralità, del raccoglimento e
della saggezza (sila, samadhi, panna), possiamo vivere in armonia. Il
risultato del senso di sé, del non conoscere la giusta misura e del non
conoscere la Via di Mezzo, è invece quello di essere continuamente catturati
dagli stati estremi. Questo Ottuplice Sentiero è un impegno che dobbiamo
coltivare. Se lo facciamo correttamente e con attenzione, il giusto
risultato arriverà.
Recitando il Primo Discorso del Buddha, la scorsa settimana, mi è venuto in
mente il modo in cui l’Ottuplice Sentiero produce i suoi effetti. Il Sutta
dice: Cakkhukarani, nanakarani, upasamaya, abhinnaya, sambodhaya, nibbanaya
samvattati. Significa che questo Sentiero si svolge aprendo “l’Occhio del
Dhamma” (cakkhukarani); “facendo sorgere la conoscenza intuitiva”
(nanakarani), “facendo sorgere la pace” (upasamaya), “facendo sorgere la
conoscenza accurata” (abhinnaya), “facendo sorgere la conoscenza piena”
(sambodhaya) e “realizzando la perfetta libertà” – (nibbanaya samvattati).
Questo è il Sentiero completo insegnato dal Buddha. E’ un sentiero che, se
coltivato, apre l’occhio che vede il Dhamma, conosce il Dhamma e diventa il
Dhamma. Questo è l’occhio che vede che ogni condizione, così come sorge,
cessa.
Nelle Scritture leggiamo che, quando l'”Occhio del Dhamma” è aperto, quando
vediamo chiaramente le cose per come esse sono, allora “entriamo nel Flusso
del Dhamma”. E’ soltanto questa conoscenza che permette la purificazione,
porta pace al cuore, e alla fine ci libera da ogni sofferenza. Di
conseguenza è di estrema importanza per tutti noi. L’Ottuplice Sentiero ha
questo scopo, ed è qualcosa che funziona veramente.
Il modo in cui pratichiamo gli Insegnamenti del Buddha dipende dal modo in
cui li vediamo. Dipende da cosa consideriamo di valore. Per questo vi invito
ad esercitare la consapevolezza e a fare in modo che la vostra vita segua la
Via del Buddha.
Lascia un commento