della Dott.ssa Elisa Albano – psicologiaspirituale.it
Seconda parte
La prima psichiatra ad interessarsi di regressione ad altre vite fu Blanche Baker che iniziò a
curare molti suoi pazienti con un’ipnosi regressiva leggera abbinata alle libere associazioni. La
Baker, durante le sue sedute, si rese conto che anche quando non induceva il paziente a regredire
verso esistenze precedenti, accadeva comunque che emergessero nei loro ricordi scene ed episodi di
epoche passate.
Anche l’analista Edith Fiore, in un’epoca leggermente più recente, pubblicò un’opera con il
resoconto dei suoi due anni di lavoro con pazienti che ricordavano tranquillamente altre vite.
Rilevante fu in tal senso la ricerca della psicologa Helen Wambach che, accanita sostenitrice della
reincarnazione, raccolse fra gli abitanti della baia di San Francisco centinaia di volontari per
esperimenti sulla reincarnazione e tutti con esito straordinariamente positivo.
Ma se per questi eminenti studiosi si potrebbe anche obiettare che le ricerche da essi condotte
possano essere state in qualche modo dirottate dalla loro fervente credenza nella reincarnazione, il
discorso cambia per coloro che non hanno mai preso in considerazione l’ipotesi di una vita che
continua secoli dopo secoli. Improvvisamente tali studiosi si sono trovati davanti a qualcosa che ha
dovuto rimettere in discussione la loro formazione professionale nonché la loro intera esistenza.
E’ il caso di Brian Weiss, direttore per molti anni della Facoltà di Psichiatria del Mount Sinai
Medical Center di Miami e poi primario in un grande ospedale collegato con la stessa università.
Il dottor Weiss, divenuto ormai famoso per i suoi libri(1) e i suoi studi sulla reincarnazione,
all’epoca in cui s’imbatté per la prima volta in un caso che gli avrebbe aperto nuove strade di
riflessione, possedeva una solida e severa formazione scientifica.
Poi una sera ricevette nel suo studio la visita di una paziente, affetta da numerose fobie.
Catherine, temeva in modo sproporzionato l’acqua e di morire soffocata; aveva paura, inoltre, degli
aeroplani, del buio e di restare chiusa in ambienti angusti. E i suoi disturbi si stavano
accentuando con il passare del tempo, tanto da limitarle considerevolmente l’esistenza. I tentativi
di cura del dottor Weiss si focalizzarono per circa diciotto mesi sulle terapie classiche senza,
però, ottenere con queste significativi miglioramenti. Con l’ipnosi vennero fuori parecchi episodi
traumatici riguardanti l’infanzia della giovane donna che potevano lasciar pensare che si fosse
finalmente giunti al fulcro del problema, ma la paziente non migliorava. Fino a quando, una sera, lo
psichiatra non dette alcuna induzione a Catherine e la lasciò andare liberamente all’epoca in cui
presumibilmente erano iniziati i suoi problemi. A questo punto, improvvisamente, Catherine, si
ritrovò proiettata in un’altra epoca e in un altro contesto. Cominciò a rievocare fatti relativi ad
una sua antica esistenza trascorsa sotto le spoglie di “Aronda”, una giovane egizia vissuta nel 1863
a. C., in un villaggio che fu poi devastato da un’inondazione quando lei aveva appena venticinque
anni. Così Catherine rievocò con voce ansimante uno degli episodi più traumatici di tutte le sue
esistenze, durante il quale perse la vita insieme alla propria figlia Cleastra:
“Vi sono grandi onde che abbattono gli alberi. Non vi è via di scampo. Fa freddo; l’acqua è fredda.
Devo salvare la mia bambina, ma non posso
posso solo tenerla stretta. Annego; l’acqua mi soffoca.
Non posso respirare, non posso inghiottire
acqua salata. La bambina mi è strappata dalle braccia.”
(2)
Solo una settimana dopo Catherine non temeva più di morire annegata e da quel momento il dottor
Weiss, suo malgrado, cominciò ad interessarsi di reincarnazione e a leggere tutto quanto poteva
essere stato pubblicato di serio sull’argomento.
Le rivelazioni di Catherine, e di mille altri soggetti come lei che sotto ipnosi o spontaneamente
rivelavano origini impensabili per i loro mali, imponevano nuove considerazioni sulla natura delle
fobie e di tutte quelle paure immotivate che a volte accompagnano un individuo per tutto il corso
della sua esistenza senza trovare una giusta causa. Del resto, ogni fobia è la risultanza di un
evento traumatico e quale evento può risultare più traumatico delle circostanze che hanno
accompagnato la propria morte, soprattutto se violenta? Così come rileva anche Manuela Pompas:
“
la morte in sé non è traumatica: nel momento in cui la persona chiude gli occhi a questa vita, li
riapre immediatamente nell’altra
Tuttavia, se negli attimi che precedono la morte si prova una
forte paura, questa si fissa nel corpo emozionale, il quale nel momento della reincarnazione,
proprio come avviene nel computer, trasmette l’informazione all’inconscio, dove però rimane celata e
non può emergere se non con il comando giusto”.(3)
Ed è proprio quanto è accaduto a Catherine, che annegando nella sua vita precedente ha conservato
poi nell’attuale la paura inconsapevole di rivivere la stessa esperienza, anche solo entrando a
contatto con l’acqua.
Ma dalla regressione di Catherine emerse anche un altro dato che sconvolse lo psichiatra che l’aveva
in cura. Catherine, nominando Cleastra, la figlia che aveva avuto nel 1863 a.C., aggiunse
qualcos’altro che la riguardava. Riconobbe nella bambina di allora, Rachel, la sua nipote attuale.
Per il dottor Weiss questo fu un fatto del tutto nuovo che lo obbligò a informarsi e a interessarsi
ulteriormente di quanto poteva verificarsi nel corso delle reincarnazioni. Ma molti, prima di lui,
si erano ugualmente imbattuti in questa sconcertante verità. Chi abbiamo conosciuto, amato, odiato o
peggio ancora ucciso possiamo rincontrare nelle nostre vite successive.
Catherine, del resto, durante la regressione, non riconobbe soltanto in sua nipote una figlia avuta
in passato. Sotto ipnosi, rievocò altre esistenze come ad esempio quella di Jhoan, un ragazzo di 21
anni, biondo e ricoperto di vesti fatte con pelli di animali, vissuto all’incirca nel 1473 nei Paesi
Bassi. Jhoan mentre avanzava nel cuore della notte con un coltello in mano venne a un tratto
aggredito alle spalle e sgozzato. Anche in questo caso Catherine ebbe modo di rielaborare ed
eliminare gli ultimi prodromi dei suoi sintomi legati al soffocamento. Ma l’aspetto più interessante
fu che, prima di morire, Jhoan riuscì a guardare in faccia il suo assassino. Catherine, riconobbe in
quell’uomo il suo attuale compagno di vita, Stuart. La paziente del dottor Weiss, dunque, si era
ritrovata ad amare chi in passato le aveva tolto la vita.
E in realtà, i rapporti di Catherine con Stuart, secondo quanto riporta lo psichiatra nel suo libro
“Molte vite molti maestri”, non erano dei migliori. Una sorta di ostilità, come diremmo noi, a
livello di pelle, continua dunque a persistere vita dopo vita, nelle relazioni che si ripropongono.
Ciò darebbe un senso a certe antipatie istintive che proviamo un po’ tutti verso individui che
conosciamo poco o affatto; nonché a quei rapporti difficili che ci ritroviamo a vivere con parenti,
amici, colleghi. Spesso non riusciamo a spiegarci come mai una persona, pur possedendo un aspetto
gradevole e mostrandosi gentile nei nostri confronti, ci ispira comunque sentimenti di ripulsa. Si
tratta,dunque, di anime che potrebbero aver condiviso con noi, in un epoca remota, legami
altrettanto conflittuali e con le quali non siamo riusciti ancora a raggiungere un equilibrio
emozionale. Ma come abbiamo già avuto modo di constatare, le relazioni non si ripropongono giocando
il medesimo ruolo. Catherine, mantiene un legame molto forte con Rachel che oggi è sua nipote ma
ieri era sua figlia. E i ruoli spesso s’invertono in modo ancora più sorprendente. Nella sua vita
attuale, Catherine ha un rapporto disturbato con Stuart che secoli addietro era stato il suo
assassino.
Le scoperte, dunque, che possiamo fare in regressione, sono infinite. Ma il dato sicuramente più
interessante e significativo è che nel “viaggio a ritroso nel tempo”, riusciamo ad acquisire una
conoscenza di noi stessi immediata e profonda come non è possibile ottenere con le altre terapie
ufficialmente note. Indipendentemente dal credere o non credere nella reincarnazione, resta
innegabile il forte valore catartico delle immagini evocate. E non soltanto per quanto riguarda le
fobie e altri disturbi psicosomatici o della personalità. La terapia, della reincarnazione, proprio
in quanto permette una conoscenza globale del sé, induce inevitabilmente ad una crescita spirituale
e personale, tanto rapida da lasciare sbalorditi.
Ma al di là dei benefici che il rievocare le nostre vite precedenti può apportare alla nostra anima,
può venire naturale chiedersi ora: che senso dare alla reincarnazione? Perché tornare secoli dopo
secoli a farsi nuovamente carne, per ricommettere errori, rincontrare amori perduti e nemici
rifuggiti, riallacciare relazioni interrotte e rivestire alternativamente panni da uomo e da donna,
da bianco e da nero, da povero e da ricco, da soldato e da prostituta?
Dott.ssa Elisa Albano
NB. Gli articoli sono tratti da un testo in preparazione.
(1) Vedi BRIAN WEISS – Molte vite molti maestri. – Ed Oscar Mondatori, collana “Nuovi Misteri”,
Milano, 2000; BRIAN WEISS – Molte vite un solo amore – Ed Oscar Mondatori, collana “Nuovi Misteri,
Milano 2001; BRIAN WEISS – Oltre le porte del tempo – Ed Oscar Mondatori, collana “Nuovi Misteri,
Milano 2000.
(2) BRIAN WEISS – Molte vite molti maestri. Op. Cit., p. 22.
(3) MANUELA POMPAS – La terapia R. Ed Oscar Mondatori, collana “Nuovi Misteri, Milano, 1997.
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