Reincarnazione e rinascita 2

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Reincarnazione e rinascita 2

(di Sri Aurobindo)

– parte seconda –

Se entriamo nei dettagli l’incertezza cresce. La rinascita spiega ad esempio il
fenomeno del genio, facoltà innata, e molti altri misteri psicologici. Ma poi
arriva la scienza a spiegare tutto tramite l’ereditarietà – sebbene, come quella
della reincarnazione, anche questa teoria sia soddisfacente soltanto per coloro
che già ci credono.

Senza dubbio le pretese della teoria dell’ereditarietà sono
state esagerate in maniera assurda: essa è riuscita a spiegare molto, non tutto
della nostra composizione fisica, del nostro temperamento, delle nostre
peculiarità vitali. Il suo tentativo di spiegare il genio, le facoltà
innate e altri
fenomeni psicologici di tipo più alto è un pretenzioso fallimento. Questo può
essere dovuto al fatto che la scienza non conosce nulla di fondamentale circa
la nostra psicologia, non più di quanto gli astronomi primitivi sapessero della
costituzione e delle leggi degli astri, i cui movimenti tuttavia essi
osservarono con sufficiente precisione.

Non credo che neanche quando la
scienza conoscerà più e meglio essa sarà in grado di spiegare queste cose
tramite l’ereditarietà, ma lo scienziato potrà sostenere di essere soltanto
all’inizio della sua ricerca e dire che la generalizzazione che ha dato conto di
così tante cose potrebbe dar conto di tutto; e dirà che in ogni caso la sua
ipotesi era fondata su prove dimostrabili più di quanto non lo fosse la teoria
della reincarnazione.

Tuttavia, la tesi del reincarnazionista è sinora una tesi valida e degna di
rispetto, sebbene non definitiva. Ma ce n’è un’altra avanzata con più clamore
che mi sembra fare il paio con il ragionamento opposto dell’assenza di
memoria, almeno nella forma in cui viene di solito avanzato per convincere le
menti poco mature. l’argomento etico, per mezzo del quale si tenta di
giustificare le vie di Dio con il mondo o il modo in cui va il mondo. Si pensa
che ci debba essere un governo morale del mondo, o almeno una qualche
ricompensa nel cosmo per la virtù e una qualche punizione per il peccato.

Ma nel nostro incerto e caotico mondo terrestre non sembra esserci una tale
sanzione. Vediamo infatti che il buono è oppresso dalle miserie mentre il
cattivo prospera e non viene miseramente schiacciato alla fine. Ora questo è
intollerabile, è una crudele anomalia che ci induce ad una riflessione sulla
giustizia e la saggezza divine ed è quasi la prova che Dio non esiste;
dobbiamo porvi rimedio e se Dio non c’è dobbiamo avere delle altre
ricompense per la giustizia.

Come sarebbe confortante se potessimo stabilire chi è buono, e persino
quanto – non dovrebbe infatti essere il Supremo un ragioniere preciso e
affidabile? – giudicandolo in base alla quantità di burro che riesce a mettere
nello stomaco, al numero di rupie che può depositare in banca e alla fortuna
che lo assiste. E come sarebbe confortante anche se potessimo additare il
cattivo smascherato e gridargli: “Tu sei cattivo: se infatti non lo
fossi potresti
forse, in un mondo governato da Dio, o almeno dal Bene, essere così
miserabile, affamato, sfortunato, perseguitato dal dolore, non onorato dagli
uomini?

La tua cattiveria è dimostrata dal fatto che sei povero, la giustizia di
Dio si compie”. Poiché per fortuna l’intelligenza suprema è più saggia e più
nobile dell’infantilismo dell’uomo, questo è semplicemente impossibile. Ma
c’è un altro modo ! possibile che, se l’uomo buono non è abbastanza
fortunato, non possiede abbastanza burro e rupie, egli potrebbe in realtà
essere un cattivo che sconta le sue pene – ma un cattivo nella sua vita passata
che adesso ha preso un nuovo corso; e se invece un uomo cattivo prospera nel
mondo è per via del fatto che è stato buono in una vita passata, il santo di
allora essendosi adesso convertito al culto del peccato, forse perché aveva
sperimentato la vanità temporale della virtù.

Tutto viene spiegato, tutto
viene giustificato. Noi soffriamo per i peccati commessi in un altro corpo,
verremo ricompensati in un altro corpo per le nostre virtù attuali, e così
andremo avanti all’infinito. Nessuna meraviglia che i filosofi abbiano trovato
tutto questo assurdo e proposto come rimedio il liberarsi sia dalla virtù che
dal vizio, vedendo come il bene più grande quello di poter in qualche modo
sfuggire ad un mondo così assurdo.

Ovviamente questo schema delle cose è soltanto una variazione della vecchia
concezione della minaccia e promessa spirituale e materiale, la promessa di
un paradiso di gioia per i buoni e la minaccia di un inferno di fuoco eterno e
di torture per i cattivi. L’idea della Legge che regola il mondo come
dispensatrice di ricompense e punizioni va insieme all’idea dell’essere
supremo come giudice, “padre” e maestro che sempre ricompensa con
caramelle i bravi bambini mentre punisce con la bacchetta quelli cattivi.

anche vicino al barbaro e insipiente sistema di punizione, talvolta selvaggio
e sempre degradante, riguardo alle offese sociali, su cui è fondata una società
umana ancora incapace di trovare e organizzare un sistema più soddisfacente.

L’uomo insiste continuamente sul rendere Dio a sua immagine, invece di
cercare di rendere se stesso sempre più ad immagine di Dio, e tutte queste
idee sono il riflesso del bambino, del selvaggio, dell’animale che è in noi, che
ancora non siamo riusciti a trasformare o a sviluppare. Dovremmo
meravigliarci di come queste fantasie infantili siano state riprese da religioni
filosoficamente profonde come il Buddismo e l’Induismo, se non fosse chiaro
che gli uomini non si negheranno il vezzo di trasportare i detriti del loro
passato sin nei più profondi pensieri dei loro saggi.

Non c’è dubbio che, dato il rilievo di queste idee, esse debbano aver avuto la
loro utilità nell’educazione dell’umanità. Forse è vero che il Supremo tratta
l’anima bambina adattandosi al suo infantilismo e le permette di mantenere le
sue immagini corporee di paradiso e inferno per qualche tempo, anche dopo
la morte del copro fisico.

Forse anche queste idee di dopo–morte e rinascita come occasioni di
punizione e ricompensa erano necessarie perché si adattavano alla nostra
animalità semi–mentalizzata. Ma a un certo punto il sistema cessa di essere
efficace: gli uomini credono nel paradiso e nell’inferno, ma vanno avanti
peccando allegramente, affrancati alla fine dall’indulgenza papale o
dall’assoluzione finale di un prete, o dal pentimento sul letto di morte on da
un bagno nel Gange, o da una morte santa a Benares: sono questi gli
accorgimenti infantili per mezzo dei quali sfuggiamo al nostro infantilismo.

Alla fine la mente cresce e mette da parte con disprezzo l’intero
armamentario da asilo infantile. La teoria della rinascita come ricompensa e
punizione, in termini un po’ più elevati e meno crudamente sensazionali,
risulta inefficace. Ed è bene che sia così, poiché è intollerabile che
l’uomo con
la sua capacità divina continui ad essere virtuoso ai fini di una ricompensa ed
eviti il peccato soltanto per paura. preferibile un forte peccatore ad un
virtuoso codardo ed egoista, o a un meschino patteggiatore con Dio, c’è più
divinità in lui, più capacità di elevazione. In verità, ha detto bene la Ghita:

“Anime povere e misere sono quelle che pensano ed agiscono solo in base a
quello che ne ricavano”. Ed è inconcepibile pretendere di fondare il sistema di
questo mondo vasto e maestoso su queste motivazioni così grette e meschine.
C’è una motivo di verità in queste teorie? solo la ragione del bambino
infantile. C’è un’etica, ma è soltanto l’etica del fango. Il vero
fondamento della
teoria della rinascita è l’evoluzione dell’anima, o piuttosto il suo riaffiorare
dal velo della materia e il suo graduale ritrovarsi.

Il Buddismo conteneva questa verità nella sua teoria del Karma e
dell’emersione dal karma, ma non è riuscito a farla emergere l’Induismo la
conosceva anticamente, ma ha sbagliato nel formularla. Ora noi siamo
nuovamente in grado di riformulare l’antica verità in un nuovo linguaggio e
questo già viene fatto da alcune scuole di pensiero, sebbene le antiche
incrostazioni tendano ancora ad attaccarsi ad una saggezza più profonda.

E se questo graduale riemergere è vero, allora la teoria della rinascita è una
necessità intellettuale, un corollario logicamente inevitabile. Ma qual è lo
scopo di questa evoluzione ? Non la virtù convenzionale o interessata ed il
preciso conteggio del bene, nella speranza di una ricompensa materiale
proporzionata, ma la crescita continua verso una conoscenza, amore e
purezza divine.

Queste cose soltanto sono la virtù reale e questa virtù è la sua
stessa ricompensa. L’unica vera ricompensa degli atti di amore è crescere
nella capacità e nella delizia dell’amore fino all’estasi
dell’abbraccio universale
dello spirito e della passione universale; l’unica ricompensa delle opere di
giusta Conoscenza è il crescere all’infinito nella Luce infinita, l’unica
ricompensa delle opere di giusto Potere è essere sempre più il depositario
della Forza divina, quella delle opere pure è di essere sempre più liberi
dall’egoismo in una immacolata vastità, nella quale tutte le cose si
trasformano e si riconciliano nell’eguaglianza divina. Ricercare altra
ricompensa significa restare legati ad una ignoranza sciocca e infantile e
persino il considerare queste cose come una ricompensa è segno di
immaturità e di imperfezione.

E che cosa dire di sofferenza e felicità, sfortuna e prosperità ? Esse sono
esperienze dell’anima nel suo addestramento, aiuti, strumenti, mezzi,
discipline, prove – la prosperità è spesso una prova più difficile della
sofferenza. In realtà l’avversità, la sofferenza possono essere considerate più
una ricompensa della virtù che non una punizione del peccato, poiché sono il
più grande aiuto e purificazione dell’anima che cerca di dispiegarsi.

Considerarle semplicemente come il severo premio di un giudice, l’ira di un
regnante irritato o persino il risultato meccanico del male significa farsi
l’opinione più superficiale possibile dei procedimenti di Dio con l’anima e
della legge che regola l’evoluzione del mondo. E cosa dire della prosperità
mondana, della ricchezza, della progenie, del godimento esteriore di arte,
bellezza e potere ? Buoni se possono essere acquisiti senza perdita per l’anima
e goduti soltanto come il fluire della Grazia e della Gioia divina sulla nostra
esistenza materiale. Ma cerchiamoli dapprima per gli altri o piuttosto per
tutti e per noi stessi solo come parte della condizione universale o come
mezzo di avvicinamento alla perfezione.

L’anima non ha bisogno delle prove della rinascita più di quanto abbia
bisogno di quelle dell’immortalità. Perché viene un tempo in cui essa è
coscientemente immortale, consapevole di sé nella sua essenza eterna e
immutabile. Una volta che questa realizzazione si è compiuta, tutte le diatribe
intellettuali pro o contro l’immortalità dell’anima cadono come un vano
clamore di ignoranza attorno a verità che sono evidenti e sempre presenti
[Tato na vicikitsate = egli più non discute]. Il vero, dinamico credere
nell’immortalità si ha quando essa diventa per noi non un dogma intellettuale
ma un fatto evidente come il fatto fisico del nostro respiro, senza nessun
bisogno di essere dimostrato.

Così anche c’è un momento in cui l’anima
diventa consapevole di se stessa nel suo movimento eterno e mutevole, allora
essa è consapevole delle età passate che costituiscono lo sviluppo attuale del
suo movimento, e vede come questo sia stato preparato in un passato
ininterrotto; ricorda qualcosa dei passati stati dell’anima, degli
ambienti, delle
particolari forme di attività che hanno formato il suo modo di essere attuale e
sa verso dove si dirige tramite uno sviluppo in un futuro ininterrotto. Questo
è il vero dinamico credere nella rinascita e anche qui cessa il gioco delle
domande intellettuali; la visione e la memoria dell’anima sono tutto.

Certamente rimane la domanda riguardante il meccanismo di sviluppo e le
leggi della rinascita, nelle quali l’intelletto, le sue ricerche e le sue
generalizzazioni possono ancora giocare un ruolo. Qui quanto più si pensa e
si esperimenta, tanto più l’ordinaria, semplice, nuda idea della reincarnazione
sembra di dubbia validità. C’è di sicuro una complessità maggiore, una legge
che segue un andamento più difficile, una più complessa armonia delle
possibilità dell’Infinito. Ma questa è una domanda che richiede considerazioni
più lunghe ed ampie, poiché “c’è una legge sottile in esso”: Anur hyesha
dharmah.

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