Relazioni Familiari 1
Parte prima
Da una lezione di S.G. Matsyavatara Prabhu
Valtellina, seminario estivo 2002
Credo che la vita familiare, il grihastha ashrama, implichi questioni di interesse universale.
Alcuni si sposano, altri no; alcuni hanno figli, altri non ne hanno. Ma anche coloro che decidono di
non sposarsi perché desiderano vivere come brahmacari o brahmacarini – impegno ed intento molto
nobili – oppure coloro che hanno già superato la fase familiare della vita, otterranno grandi
benefici con la conoscenza di certe dinamiche basilari e dei valori che trovano le loro radici nella
civiltà vedico-vaishnava anche perché, in ogni caso, ognuno ha fratelli, sorelle, figli, parenti.
Dal punto di vista assoluto, non c’è differenza tra brahmacari, grihastha, vanaprastha e sannyasa
ashrama, le quattro fasi della vita nelle quali un individuo si colloca per la propria realizzazione
spirituale. La mèta della vita non è diventare sannyasi, brahmacari, o grihastha, bensì
ripristinare, riscoprire la nostra relazione d’amore con Dio.
In questa specifica circostanza parliamo del grihastha ashrama perché si tratta di una fase
esistenziale molto frequentata e complessa, in cui tante sono le persone che alimentano i loro
problemi e complicano le loro relazioni. Progetti di coppia alternativi alla vita familiare ne sono
stati proposti, ma si sono tutti rivelati disastri. In passato molti danni sono stati fatti anche da
persone che non avevano avuto esperienze positive in ambito familiare e tuttavia hanno cercato,
disastrosamente, di orientare la vita di altri.
Quella della famiglia è certamente la tappa più complessa per quanto riguarda l’interfaccia col
mondo; si devono affrontare problemi di stretta convivenza, di economia, di sociologia, di
educazione e di religione, nonché gestire una serie di relazioni che vanno spesso al di là
dell’esperienza di cui l’individuo ordinario dispone.
Liberare chi dipende da noi
Domanda: Nel quinto canto dello Shrimad Bhagavatam, Rishabhadeva dice: “Colui che non può liberare i
suoi sottoposti dalle ripetute nascite e morti, non dovrebbe mai diventare un Maestro Spirituale, un
padre, un marito, una madre o un deva degno di venerazione. [S.B.V.5.18].
Potresti commentare?
Non possiamo forzare nessuno a tornare nel mondo spirituale, ma possiamo onestamente farci carico
della responsabilità di fare qualsiasi cosa ci sia possibile per aiutare una persona a sciogliersi
dai suoi legami karmici.
Mi è capitato di dover consigliare persone indebitate. Il loro reale problema non era con la banca o
con qualcun altro; era il loro comportamento, la loro mentalità, strutturalmente sbagliata. Se
qualcuno in un momento di generosità saldasse i debiti di una persona così, questa continuerebbe
comunque a contrarli, perché l’insolvenza è radicata nel suo carattere. Continuerebbe ad agire nel
modo sbagliato, e quindi a produrre debiti.
I debiti karmici hanno un’origine simile: una mente deformata e molti errori commessi. Anche le
malattie, ad esempio, sono debiti, ma le dinamiche con cui si generano sono le stesse.
La dichiarazione di Rishabhadeva indica che chi assume posizioni di responsabilità, avendo
ovviamente le qualità per farlo, dovrebbe fare del suo meglio per rettificare la mente delle
persone.
Non esiste qualcosa come la buona o la cattiva sorte; esiste il modo di fare le cose, la
motivazione, la conformazione della mente e dell’intelletto. Dobbiamo analizzare le vasana, le
tendenze latenti. Quando queste sono negative, il negativo col tempo affiora. Qualcuno può
accumulare denaro e non contrarre debiti, ma la stessa persona può contrarre debiti nelle proprie
relazioni, magari creandosi nemici a destra e a sinistra, e quelli sono debiti estremamente pesanti.
Altri possono rivelarsi abili nel campo delle relazioni, ma qualsiasi attività pratica facciano o
qualunque cosa tocchino, finisce in un disastro. Anche questi sono debiti. Gli shastra ci insegnano
quindi che dovremmo controllare i sensi, perché la vita diventa rischiosa quando anche un singolo
senso è fuori controllo.
Avete notato la psicodipendenza di un fumatore, che furtivamente si allontana per andare a fumare
una sigaretta? Avete visto le deformazioni caratteriali di un alcolizzato, o di un cocainomane, o di
un giocatore d’azzardo? Vivono nella sofferenza, con laceranti conflitti interiori. Il giocatore
d’azzardo sa che sta distruggendo la sua vita e quella delle persone attorno a lui. Nel passato, i
casinò più famosi avevano una stanza con un notaio pronto a scrivere il testamento, dopodiché il
perdente poteva suicidarsi. I giocatori d’azzardo piangono, sbattono la testa contro il muro; sanno
che giocando si rovinano, ma sono sopraffatti dal loro impulso. Anche gli assassini sono preda di
impulsi simili, ancor più accentuati nei serial killers, per lo più psicopatici. Bisognerebbe quindi
educare gli individui a controllare i sensi sin dall’infanzia. Questo è ciò che dice Rishabhadeva
rivolgendosi agli educatori naturali, quali, ad esempio, i genitori e il guru.
Una persona deve sviluppare autocontrollo, altrimenti come può educare altri? Come può qualcuno che
fuma consigliare o ingiungere ad un altro di non farlo? Così Rishabhadeva afferma che chi si assume
responsabilità nei confronti di altri, dovrebbe essere in grado di garantire loro la liberazione;
garantirla da parte sua, ovvero non mancare in nessun modo, fare del proprio meglio, anche se poi
gli individui nella loro autonomia possono scegliere. Tutti debbono fare i propri sforzi, ma chi
guida dovrebbe essere di esempio ed educare gli altri a liberarsi dai condizionamenti dei sei
impulsi degradanti: quello che induce a parlare di argomenti irrilevanti (dominio sulla parola),
quello che produce le fantasie insensate (dominio sulla mente), quello che induce gli atti impulsivi
distruttivi (dominio sulla collera), quello che genera desideri gustativi impropri (dominio sulla
lingua), e quelli che stimolano lo stomaco e i genitali. In questo senso il padre e la madre
dovrebbero essere dei guru, ma ciò non è possibile appieno se si ignora la scienza della
realizzazione spirituale.
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