Relazioni Familiari – 3
parte terza
Da una lezione di S.G. Matsyavatara Prabhu
Valtellina, seminario estivo 2002
Amanti spirituali
Domanda: marito e moglie dovrebbero essere considerati come amici spirituali o come “amanti
spirituali”? Qual è la differenza?
Se l’aggettivo spirituale è autentico, le due espressioni si equivalgono. Ma solo se questo
“spirituale” è veramente tale, in quanto oggi è diventato quasi un aggettivo di moda: “Oh, oggi ho
conosciuto una persona molto spirituale!”. Nella maggioranza dei casi la gente ha idee molto confuse
in merito alla dimensione dello spirito. Ricordo, anni addietro, di aver parlato a lungo di questo
con qualcuno che ho dovuto riprendere più volte. Aveva degli amici – dei poeti – che considerava
“spirituali”, ma che in verità erano condizionati dal tabacco, dall’alcol, da un linguaggio
volgare#8230;che idea distorta di spirituale! Allora ho dovuto spiegare ripetutamente il significato
del termine, cinque, sette, dieci volte, finché alla fine è stato colto. Ma l’idea è tutt’oggi
spesso vaga, quindi meglio chiarire sin dall’inizio.
Se i due coniugi, anziché essere amanti spirituali, sono amanti carnali, in tal caso debbono essere
conosciuti come grihamedhi, il che è ben diverso da grihastha. La principale distinzione è che per i
grihastha l’obiettivo è la realizzazione spirituale, mentre per un grihamedhi lo scopo è quello di
ottenere un bella moglie o un bel marito da godersi (naturalmente sappiamo che è solo un tentativo
destinato ad un triste epilogo). Queste sono le due categorie.
Un guru deve chiedersi se il soggetto che gli sta di fronte desidera sposarsi per alimentare la
propria gratificazione sensoriale oppure, come nel caso di uno spiritualista sincero, scegliere un
rappresentante dell’altro sesso sinceramente interessato alla realizzazione spirituale come
compagno/a per un viaggio di evoluzione. Questa è la distinzione da fare: persone che si uniscono
per godere e persone che si uniscono per offrirsi reciproco aiuto nella realizzazione spirituale.
Noi prenderemo esclusivamente in considerazione la seconda categoria; la prima è già abbastanza
studiata da sessuologi, psicologi ed altri ricercatori. A noi interessa il caso di coloro che
desiderano formare una famiglia come strumento propedeutico alla realizzazione spirituale.
Un uomo, una donna potrebbe pensare: “da solo/da sola non ce la faccio”. Potrebbe pensare di non
essere ancora pronto/a per vivere come brahmacari o brahmacarini. Quindi si metterà in cerca di
qualcuno con cui percorrere un tratto di strada, capendo bene sin dall’inizio che lo scopo è quello
di aiutarsi reciprocamente ad ottenere la liberazione, a raggiungere l’amore per Dio.
Anche nella categoria dei grihastha possono verificarsi dei corto circuiti, perché i corpi ci sono,
i sensi e il karma lo stesso. Perciò i due coniugi possono trovarsi un po’ troppo vicini e
scambiarsi forme di affetto che superano il limite consentito dagli shastra. Non si tratta comunque
di una tragedia, come alcuni l’hanno dipinta, per poi causare tragedie ben più grandi. Probabilmente
non risulterò simpatico per simili affermazioni, ma in tutta coscienza e in tutta responsabilità
posso sostenere ciò che ho detto, perché a conferma di questa tesi vi sono solide argomentazioni e
soprattutto numerosi esempi di vita.
Oltre il condizionamento della cultura moderna
L’informazione dei media – che la massa erroneamente ed unilateralmente interpreta come segno di
progresso ed emancipazione – non stimola affatto un processo positivo di liberazione e vera
evoluzione dell’essere umano, ma incentiva il consumo sfrenato che va a beneficio dei grandi gruppi
finanziari ed industriali. L’individuo odierno tende all’indulgenza, ad essere accomodante verso i
lati deboli del proprio carattere, a lasciare che la propria personalità venga dominata dagli
impulsi bio-psichici e dalle influenze esterne. Anche se superficialmente può apparire originale,
spontaneo e sicuro di sé, in realtà è decontestualizzato, fragile ed eterodiretto.
Controllo non significa repressione o soppressione. La repressione implica una paura irrazionale
(tabù) che impedisce l’elaborazione delle energie psichiche, per lo più inconsce. Il vero controllo
consiste piuttosto nel governare le manifestazioni di qualsiasi tipo di energia e volgerle verso uno
scopo costruttivo. Gli esempi potrebbero essere innumerevoli, ma mi limito all’ambito della nostra
analisi: trasformare l’impulso sessuale in una relazione d’amore soddisfacente, processo cui da anni
mi riferisco chiamandolo “dall’eros all’amore”.
Utilizzando una forza di volontà ben allenata , è possibile controllare l’energia bio-psichica
attraverso la ragione (logos). Si tratta di un’operazione esattamente opposta a quella che reprime o
sopprime gli impulsi, grazie alla quale spinte egoico-distruttive si trasformano in energia
ecologica, benefica per l’individuo, per la collettività e per l’ambiente. Tale processo è quello
della trasformazione e della sublimazione.
Lo stesso principio si applica all’inibizione. La letteratura psicologica moderna – specie quella
della scuola freudiana – ha erroneamente attribuito una connotazione negativa alla funzione psichica
dell’inibizione. Che si tratta di un errore ci viene confermato anche dalla moderna ricerca
fisiologica, la quale dimostra che l’inibizione è una normale funzione neurologica atta a meglio
governare l’organismo. Anche dal punto di vista psicologico inibire non significa necessariamente
reprimere, ma porre un freno temporaneo ad una reazione della coscienza condizionata, a vantaggio di
un comportamento più riflessivo. Riflettere significa attivare l’intelletto, la buddhi, e valutare
con distacco emotivo l’evento che ci sta di fronte, senza essere sopraffatti dagli impulsi.
L’inibizione diventa patologica se utilizzata in maniera ottusa, acritica, ma è terapeutica quando
propedeutica alla sublimazione (cfr. Bg. II.58: Chi è capace di ritrarre i propri sensi dagli
oggetti, come la tartaruga ritrae le membra nel guscio, deve essere considerato stabile nella
conoscenza).
Oggi riflettere non va più molto di moda; gli individui agiscono spintonati dalle miriadi di
suggestioni che ricevono dall’ambiente esterno. Per ottenere il massimo profitto le compagnie
finanziarie devono trasformare l’individuo in un ottuso consumatore. La massima resa del capitale
investito è data da una persona che lavora al massimo della propria capacità psicofisica e consuma
al massimo della propria possibilità economica. Ma una persona che vive valori tradizionali
(sacrificio, lavoro, risparmio, onestà, famiglia, religione, ecc.) non alimenta il profitto
commerciale. Il lavoratore che si accontenta di condurre una vita familiare e sociale basata su
valori e comportamento religiosi non è un buon consumatore. La realizzazione spirituale richiede
poche spese, richiede il necessario e mai il superfluo. Una donna casta o un uomo casto che la sera
non escono per andare “a divertirsi”, non alimentano il profitto economico. Le grandi case
finanziarie debbono quindi creare il consumatore, colui che ricerca piacere, intrattenimenti,
soddisfazione individuale e materialistica, che spende senza nessun tipo di discernimento.
La cultura moderna ha raggiunto questo degrado demolendo i valori etici e sociali – o vettori
motivazionali – che minavano lo stabile del consumismo. Sono stati promossi l’evasione fiscale, la
libertà sessuale, l’abolizione di ogni proibizione, la svalutazione della famiglia e della sua
funzione, lo svuotamento della religione, sono state relativizzate l’etica e l’autorità.
Contemporaneamente sono stati indotti innumerevoli bisogni artificiali, e assieme alla moda, agli
abiti firmati, alla corsa verso gli status symbol di ogni tipo – da automobili di lusso a vacanze in
luoghi particolari – è stato alimentato anche il divorzio.
Rigido e rigoroso
Spesso, ascoltando Sue lezioni e leggendo Suoi libri, ho sentito Shrila Prabhupada affermare che
“sesso illecito è sesso illecito”. Verissimo, ma mentre l’ho sentito tuonare contro rapporti
sessuali extraconiugali, ho notato che si mostrava comprensivo e compassionevole – seppur non
approvante, mai con atteggiamento complice – nei confronti di coloro che per debolezza venivano meno
ai principi della vita familiare. Fate bene attenzione: io non approvo la rottura di questi principi
e non intendo diventare complice di coloro che attuano questa rottura, pur entro l’ambito familiare.
Ma sono pronto ad essere tollerante, ad offrire aiuto per superare certe debolezze, senza eccessiva
colpevolizzazione dell’individuo, perché certi istinti, se negati o brutalmente repressi, scivolano
nell’inconscio e creano molto più danno di quando vengono risolti alla luce del sole. Non si può
evitare di prenderli in considerazione. Accettare o rifiutare questi istinti è comunque qualcosa da
fare coscientemente, con consapevolezza. Si dovrebbero utilizzare tutte le nostre risorse per
sublimare gli istinti al livello più alto, quello spirituale, e se qualcuno ci riesce nove volte su
dieci ma alla decima fallisce, dovrebbe riprovare fino a raggiungere la perfezione.
Ci sono anime spirituali più risvegliate, e altre che lo sono meno; ci sono quelli che hanno più
successo e quelli che ne hanno meno, ma l’importante è non fare disastri. Credo che in passato molte
tragedie siano avvenute per un’interpretazione rigida anziché rigorosa delle cose, magari in buona
fede. C’è una differenza sostanziale tra i due concetti. Ciò che è rigido ha una connotazione
negativa, infatti è anche molto fragile. Ciò che è rigoroso invece ha connotazione positiva, infatti
è forte. Una negazione rigida, cruda, dura, radicale, seppur in buona fede, significa repressione,
ma se certi impulsi non agiscono a livello cosciente, agiscono – e in maniera molto più veemente – a
livello inconscio. In un momento di distrazione, in un momento di stanchezza o di scoramento, o in
un periodo in cui la nostra percezione di Dio è offuscata, questi impulsi straripano come un fiume
che, valicando gli argini, prorompe nel campo della coscienza. E la persona apparentemente innocente
diventa abominevole.
La vita è una scuola; dobbiamo imparare l’arte della vita. Dobbiamo essere comprensivi verso i
bisogni degli altri. Un Maestro Spirituale deve aiutare coloro che sono sinceri ma condizionati ed
hanno a disposizione scarsa forza di volontà, ad orientare e canalizzare i loro stimoli verso
l’alto, senza brutalmente negarli. Se una persona è assuefatta al tabacco, lasciate che una volta
ogni tanto fumi una sigaretta; se uno è alcolizzato, lasciate che beva un bicchiere una volta tanto,
e se uno è assuefatto al sesso, lasciate che ogni tanto abbia un rapporto. In questo modo la mente
si riassetta per fare sempre meglio.
Se un devoto viene aiutato, curato, ispirato, se riceve guida e misericordia dal Maestro Spirituale
e comprensione dai vaishnava, e si comporta con sincerità, allora il processo condurrà ad una
purificazione dei samskara e dei desideri. La bhakti può correggere e trasformare le tendenze
inconsce profonde (vasana). Le negazioni radicali sono un pessimo insegnamento; è per questa ragione
che grandi pensatori hanno classificato la religione come uno degli ambiti generanti nevrosi,
insieme alla famiglia e al lavoro. La religione, se interpretata rigidamente, alla lettera, è un
pericoloso mezzo di condizionamento, di nevrosi, ma se spiegata da un Maestro Spirituale, da sadhu,
da persone realizzate, è un mezzo estremamente efficace di realizzazione spirituale.
Così come nella categoria albero troviamo migliaia di alberi diversi, nella categoria essere umano
troviamo tanti individui tutti diversi tra loro. Non possiamo fare una legge per tutti e renderla
rigida al punto che poi non funziona per nessuno. Debbono esserci norme morali generiche ma non
possono essere applicate allo stesso modo per ciascun individuo. Le norme generali vanno bene perché
l’uomo vive in comunità, è un essere sociale dunque non può negare le proprie necessità sociali. Le
norme generiche favoriscono la crescita del gruppo; il confronto tra pari stimola al miglioramento e
questo vale anche per gli spiritualisti. Ma anche in legge, tali norme non sono applicabili a tutti
gli individui in egual misura. Quindi il legislatore – nel nostro caso il Maestro Spirituale – deve
capire le peculiarità di ciascun singolo individuo. La legge rimane la stessa per tutti, ma
nell’applicazione si debbono fare delle distinzioni in base ai contesti personali.
Domanda: vorrei verificare la mia comprensione: dovremmo vedere il nostro coniuge come una persona
che ci aiuta a sciogliere gli attaccamenti non spirituali che ci sono d’intralcio. Quindi dovremmo
vederlo/a come un amico, in un sentimento di reciproco aiuto, come se ci trovassimo nella stessa
cordata per scalare una montagna, giusto?
Si, se qualcuno si sente solo ed incapace di salire fino in vetta potrebbe essere sopraffatto da
tristezza ed angoscia. Potrebbe mancare l’energia anche solo per cominciare la scalata. Ma c’è la
volontà di raggiungere la vetta, che fuor di metafora è il desiderio di realizzazione spirituale,
perciò si deve parlare di grihastha e non di grihamedhi. Talvolta è necessario fare il viaggio in
due, perché da soli non si ha forza sufficiente, nemmeno psicologica. Cruciale rimane però
ricordarsi perché ci si è messi insieme. Quando uno dei due coniugi attraversa un momento difficile,
l’altro dovrebbe ricordargli/le questa ragione originaria in maniera molto vivida. Se entrambi se ne
dimenticano, non solo non raggiungono la vetta ma si perdono.
Domanda: riguardo alla continenza, all’astensione dall’attività sessuale. Talvolta marito e moglie
non riescono a dominare l’impulso sessuale e diventano così “intimi”, assumono atteggiamenti così
familiari che alla fine non si rispettano più come dovrebbero, non riescono più a vedere buone
qualità l’uno nell’altra.
Domanda molto interessante. C’è una confidenzialità che non fa venir meno il rispetto. Quando
diventa eccessiva ed è ridotta al mero piano materiale, allora l’insorgere di mancanza di rispetto e
delusione è inevitabile. A poco a poco la zona d’ombra invade anche quella di luce finché la
relazione si consuma, si svuota. Durante l’eccitazione, l’entusiasmo del momento, non ci si rende
conto di quello che sta accadendo. Se ne accorge colui o colei la cui visione è sufficientemente
distaccata, attenta, profonda, capace di discernimento.
Proviamo a dare una definizione di amore, perché questo sarà di grande aiuto nel creare categorie e
quindi nel comprendere la realtà attorno a noi.
yasya deve para bhaktir
yatha deve tatha gurau
tasyaite kathita hy arthah
prakashante mahatmanah
“A colui che ripone in Dio suprema bhakti, e come in Dio così nel Maestro spirituale, a quel
magnanimo invero si manifesta la Verità della Rivelazione; a quel magnanimo invero si manifesta”.
(Svetashvatara Upanishad VI.23)
Sul sentiero della bhakti, l’amore è un sentimento riservato a guru e Krishna. Il cibo, ad esempio,
va ingerito attraverso la bocca; potete provare a fare delle palline di riso e ad infilarvele nelle
orecchie, ma non funzionerà. Ci si può nutrire via endovena, ma il piacere non sarà lo stesso, e
nemmeno la forza che deriva dall’assumere cibo in maniera normale.
Shrila Prabhupada diceva: “Insegniamo a tutti ad amare Dio, la Persona Suprema. Se s’impara ad amare
Krishna, allora sarà facile amare simultaneamente tutti gli esseri viventi”. (Lettera del 10 Marzo
1970).
Solo l’amore ininterrotto per Dio consente di amare tutte le altre creature. Questo è un punto
essenziale: la capacità di amare gli altri deriva dall’amore per Dio. Viceversa il cosiddetto amore
s’involve, si degenera, diventa qualcosa di egoico e gradualmente scende al livello di ahamkara,
l’ego distorto, il riflesso del sé, il riflesso dell’atman sul piano mentale.
Cos’è ahamkara? La somma dei contenuti psichici con cui l’individuo si identifica. Su questo piano
l’amore si riduce al limitato campo dei contenuti psichici, praticamente negando tutte le vere
necessità dell’essere vivente. L’effetto dell’amore per Dio, o dell’amore in Dio (yasya deve para
bhaktir) non è come cadere dentro ad un pozzo e rimanerci intrappolati. L’amore per Dio si espande
nell’amore per la moglie, per il marito, per i figli, per i parenti, per i vicini, per i cosiddetti
nemici ed amici, inonda e benefica tutti.
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