Respirare bene non significa respirare di più

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Respirare bene non significa respirare di più

Come ossigenarsi di più? Respirando di meno, o meglio, in modo naturale.

Fiamma Ferraro – Luoghi comuni

Tratto da “Scienza e Conoscenza” n. 29 (in edicola dal 5 agosto) – www.scienzaeconoscenza.it

Innumerevoli ricerche mediche dimostrano che gli ammalati cronici respirano “più” del necessario,
provocando, paradossalmente, una scarsa ossigenazione del cervello e dei tessuti in genere. Questo
fenomeno è provocato da un eccesso di respirazione non consono alle esigenze del momento, la
cosiddetta iperventilazione.

La respirazione è indubbiamente una funzione basilare per l’organismo umano, che non sopravvive più
di qualche minuto senza respirare. Se però si chiede, agli esperti, quale sia il modo migliore di
respirare per restare in buona salute le risposte variano da: “bisogna respirare a pieni polmoni” a
“è meglio non interferire, l’organismo si regola da solo nel modo migliore”. Tutte e due queste
risposte sono prive di un serio riscontro scientifico e, dimostrano una certa superficialità, vista
l’importanza vitale del tema. La superficialità, del resto, non ci stupisce se si pensa che nessuno
con “l’aria” ci guadagna, e quindi non ci sono ditte farmaceutiche interessate a finanziare studi e
sperimentazioni sull’argomento. Tuttavia, alcuni studi e riscontri scientifici fondamentali
sull’argomento esistono ma non sono conosciuti dal pubblico e utilizzati in campo medico per il
trattamento e la prevenzione delle malattie.

Iniziamo dal primo di questi luoghi comuni: “bisogna respirare a fondo, a pieni polmoni”.

L’importanza che ha per l’organismo una buona ossigenazione è ben nota. L’organismo non può trarre
energia dal cibo in assenza di ossigeno (O2). Purtroppo, però, quando si sottolinea l’importanza di
una buona ossigenazione, e quindi di una buona respirazione, si rischia spesso di cadere nell’errore
del “tanto è meglio” e si insiste sull’utilità di riempire bene i polmoni di aria/O2. Se nell’ambito
dell’alimentazione il principio del “meno è meglio” si è ormai affermato da tempo, per il respiro si
continua invece a pensare che per far arrivare O2 ai tessuti sia sufficiente riempire bene d’aria i
polmoni. In realtà invece l’O2, per essere utile, deve arrivare laddove deve svolgere il suo lavoro,
e cioè nelle cellule; non necessariamente la quantità di O2 introdotto nei polmoni corrisponde a
quella che alla fine arriva alle cellule per produrvi energia (respirazione interna).

Nonostante i problemi d’inquinamento, e nonostante la riduzione con l’età della capacità polmonare,
la quantità di O2 che introduciamo nei polmoni con la respirazione è normalmente più che
sufficiente, tanto è vero che ne utilizziamo solo un terzo e ne espelliamo con l’espirazione gli
altri due terzi (l’aria atmosferica inspirata contiene O2 nella percentuale del 20% circa, e
nell’aria espirata vi è ancora un 14% di O2). Se ne deve dedurre che, più che aumentare la quantità
o la percentuale di O2 dell’aria che s’inspira, è importante (salvo casi eccezionali e di emergenza
in cui si deve ricorrere alla bombola di ossigeno) cercare invece di sollecitare l’aumento della
quantità d’aria che dai polmoni passa al sangue, e poi dal sangue ai tessuti, che sono la
destinazione finale dell’ O2. In particolare per quest’ultimo, cruciale passaggio, si verificano
spesso dei problemi perché i globuli rossi del sangue, invece di “scaricare” l’ O2 che portano,
cedendolo ai tessuti, continuano in un certo senso a “tenerselo stretto”, non lasciandolo andare
dove dovrebbe per svolgere la sua funzione di produzione di energia, e cioè nelle cellule dei
tessuti dei vari organi (cuore, cervello, ecc.). E questo accade perché l’organismo è carente di una
sostanza essenziale atta a dare il segnale dell’“esigenza di ossigeno” nei tessuti: l’anidride
carbonica (CO2)!

A questo punto il discorso si complica, poiché, in particolare in questo periodo di “effetto serra”
e di disfunzioni ambientali, la CO 2 gode di “cattiva fama”. Si tratta, invece, di una sostanza
essenziale per la sopravvivenza (è il cibo delle piante!). Indubbiamente, in quantità eccessiva è
dannosa, ma anche l’acqua in quantità eccessiva lo è. In sostanza, maggiore (entro i limiti
fisiologici) è la quantità di CO2, di più è l’ossigeno ceduto ai tessuti. Questa non è una “teoria”
stravagante ma un effetto fisiologico ben conosciuto da decenni con il nome di “effetto
Verigo-Bohr”, che si trova in tutti i libri di fisiologia medica: la quantità di O2 rilasciata ai
tessuti aumenta con l’aumentare della presenza di CO2 .

Veniamo ora al secondo luogo comune, e cioè “è meglio non interferire sulla respirazione,
l’organismo si autoregola nel modo migliore”. Sebbene abbia anch’io la massima ammirazione per tale
capacità e riconosca che la regolazione automatica del respiro sia, in effetti, un meccanismo
fondamentale sul quale non interferire alla leggera, bisogna tener presente che le nostre condizioni
di vita sono oggi meno naturali e si pecca, forse, di eccessivo ottimismo quando si conta solo sui
riflessi ”naturali” e automatici dell’organismo.

Mi riferisco in particolare alla mancanza di movimento e allo stress nervoso/mentale propri
dell’uomo contemporaneo. Il nostro organismo, che è ancora quello dell’uomo delle caverne, ha una
capienza polmonare che ci mette in grado di aumentare enormemente, in caso di necessità, il volume
d’aria inspirata, per consentire, come capitava ai nostri antenati, di fuggire o combattere. Non è
invece ovviamente necessario usufruire di tutta questa capienza polmonare quando siamo seduti
tranquillamente a guardare la televisione.

“Iperventilare” significa respirare di più di quanto le circostanze lo richiedano. Una respirazione
molto intensa, che sarebbe giusta e adeguata se si stesse correndo o comunque svolgendo un’attività
fisica, diventa eccessiva e dannosa se, invece, si è seduti al volante o alla scrivania, respirando
affannosamente perché pronti ad arrabbiarsi con un automobilista o con un collega. In questo caso,
l’organismo reagisce in base ad un istinto primordiale (“combatti o fuggi”), come se si fosse in
presenza di un pericolo che richieda un’intensa attività fisica, nel corso della quale si produrrà
molta CO2. L’anidride carbonica, prodotta in quantità durante un’attività fisica intensa, è espulsa
con una respirazione/esalazione accelerata, scatenando l’impulso a respirare molto per accompagnare
l’attività fisica stessa, attività che nel caso dell’auto o della scrivania non avviene. Il
frequente ripetersi di questi episodi porta allo sfasamento del ritmo respiratorio, che diviene
permanentemente troppo intenso, con una costante, eccessiva dissipazione di CO2.

La medicina conosce bene i sintomi e pericoli (crampi/tetanìa/panico/ ecc.) propri di una carenza
acuta di CO2 causata da una crisi di forte iperventilazione, ma non dedica invece attenzione alla
carenza di CO2, meno pronunciata ma cronica, causata da una costante, leggera iperventilazione.

Continua su Scienza e Conoscenza n. 29 (in edicola dal 5 agosto)

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