RICERCHE SULLA MUSICA: FINCHE’ NON LEGGERAI, NON CI CREDERAI – 1

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RICERCHE SULLA MUSICA: FINCHE’ NON LEGGERAI, NON CI CREDERAI – 1

da Accademia della Musica

IL CERVELLO DEL TUO BAMBINO

Il cervello di un bambino è un “cantiere di lavori in corso”, sono trilioni di neuroni in attesa di
essere collegati da una mente. Le esperienze dell’infanzia, come dimostrano ricerche avanzate,
aiutano la formazione di circuiti cerebrali per la musica e la matematica, la lingua e le emozioni.

Tu tieni in braccio il tuo bambino appena nato e i suoi occhi sono a pochi centimetri dalla parete
decorata con carta da parati a disegni vistosi .zzzzt: un neurone della sua retina stabilisce un
collegamento con uno della corteccia visiva del suo cervello. Tu sfiori leggermente il palmo della
sua mano con una molletta da bucato; lui la afferra, la lascia cadere e tu gliela restituisci con
parole dolci e un sorriso. Crackle: neuroni della sua mano rinforzano il loro collegamento con
quelli residenti nella sua corteccia sensomotoria.

Egli piange nella notte: tu lo allatti guardandolo amorosamente negli occhi, perché la natura ha
provveduto a che la distanza fra le testa del bambino appoggiata sul gomito piegato e gli occhi
della madre corrisponda alla distanza alla quale il bambino mette a fuoco gli oggetti. Zap: neuroni
dell’amigdala del cervello mandano impulsi elettrici attraverso i circuiti che controllano le
emozioni. Tu lo tieni in grembo e gli parli..e neuroni dalle sue orecchie cominciano a stabilire
connessioni permanenti con la corteccia uditiva. E dire che tu pensavi di compiere solo gesti
naturali con il tuo bambino. Quando un bambino viene al mondo, il suo cervello è un ammasso di
neuroni, tutti in attesa di essere intrecciati nell’intricata tessitura della mente. Alcuni neuroni
sono stati collegati permanentemente dai geni dell’uovo fertilizzato in circuiti che comandano la
respirazione, il controllo del battito cardiaco, regolano la temperatura corporea o producono
riflessi.

Ma altri trilioni e trilioni di neuroni sono come i processori Pentium di un computer prima che la
fabbrica precarichi il software. Sono circuiti non programmati, vergini e di potenziale quasi
infinito che un giorno potranno comporre canzoni e fare calcoli erompere in furia o sciogliersi in
estasi. Se i neuroni sono usati, vengono integrati nei circuiti del cervello collegandosi ad altri
neuroni; se non sono usati, possono morire. Sono le esperienze dell’infanzia che stabilendo quali
neuroni vengono usati, collegano i circuiti del cervello con la stessa precisione con cui un
programmatore riconfigura a una tastiera i circuiti di un computer. Sono i tasti che si premono –
cioè le esperienze che un bambino fa – che stabiliscono se egli crescerà intelligente o stupido,
pauroso o sicuro di sé, disinvolto o impacciato. Le prime esperienze sono così decisive, dice il
pediatra neurobiologo Hanry Chugani della Wayne State University, che “possono cambiare
completamente quella che sarà la vita di una persona”.

Nell’età adulta il cervello è intrecciato con più di 100 miliardi di neuroni, ciascuno collegato a
migliaia di altri per cui, in totale, il cervello ha più di 100 trilioni di collegamenti. Sono
questi collegamenti – più numerosi del numero delle galassie dell’universo conosciuto – che danno al
cervello i suoi impareggiabili poteri. Secondo la teoria tradizionale si riteneva che lo schema dei
collegamenti fosse predeterminato dai geni dell’uovo fertilizzato. Sfortunatamente, anche se la metà
dei geni – 50.000 – in quale modo influiscono sul sistema nervoso centrale, essi non però
sufficienti per impostare il cablaggio straordinariamente complesso del cervello. Questo consente
un’altra possibilità: i geni possono attivare soltanto i più importanti circuiti del cervello,
mentre “qualcos’altro” attiva trilioni di collegamenti più capillari. Questo “qualcos’altro” è
l’ambiente, la miriade di messaggi che il cervello riceve dal mondo esterno. Secondo una teoria
emergente, “ci sono due grandi fasi di impostazione dei collegamenti del cervello, ” dice la
neurobiologa dello sviluppo Carla Shazt della Berkeley University of California, “un primo periodo
in cui l’esperienza non è richiesta ed un secondo in cui lo è”. Tuttavia ci sono dei limiti alla
capacità del cervello di creare se stesso a collegamenti già avvenuti. Sono limiti di tempo detti
“periodi critici”: finestre di opportunità che la natura spalanca, a partire da prima della nascita,
e che poi richiude una per una, ad ogni candelina che si aggiunge sulle torte di compleanno di
vostro figlio.

Negli esperimenti che diedero origine a questo teoria negli anni settanta, Torsten Wiesel e David
Hubel scoprirono che, tenendo cucito un occhio di un gattino appena nato, si modificavano i
collegamenti del suo cervello: i neuroni che collegavano dall’occhio tenuto chiuso all corteccia
visiva erano talmente pochi che l’animale restò cieco anche dopo che il suo occhio fu riaperto.
Questo “ricablaggio” non si verificò in gatti adulti i cui occhi erano stati chiusi. Conclusione:
esiste un primo, breve periodo in cui i circuiti connettono la retina alla corteccia visiva. E’ il
momento di maturazione delle regioni del cervello che stabilisce per quanto tempo esse rimangono
malleabili. Le aree sensoriali maturano nella prima infanzia; il sistema emozionale limbico si
attiva nella pubertà; i lobi frontali – sede dell’intelligenza – continuano a svilupparsi almeno
fini a 16 anni.

Le implicazioni di questa nuova teoria sono nello stesso tempo allettanti e inquetanti. Esse
suggeriscono che, con il giusto impulso al momento giusto, quasi tutto è possibile. Ma, proprio per
questo, dicono anche che, se si perde la finestra, si va incontro a un handicap. Esse danno una
spiegazione del perché le conquiste che un bambino fa ai suoi primi passi nell’ambito del programma
statunitense di educazione prescolastica noto come Head Start (avvio del cervello n.d.t.) sono così
spesso evanescenti: questa istruzione intensiva comincia troppo tardi per ristabilire i collegamenti
fondamentali del cervello. Ed evidenziano l’errore di ritardare l’insegnamento di una seconda lingua
(vedi box) . Chugani chiede “quale idiota ha mai stabilito che l’insegnamento delle lingue straniere
non debba cominciare prima della scuola media superiore”?

I neurobiologi sono ancora lontani dal capire esattamente quali tipi di esperienze o di impulsi
sensoriali connettano il cervello e in quale modo. Essi hanno un’ampia conoscenza del circuito della
vista. La vista ha uno scatto di crescita dei neuroni all’età di due\quattro mesi, che corrisponde
al momento in cui i bambini cominciano ad osservare il mondo, e ha un picco a 8 mesi, quando ciascun
neurone è collegato a ben altri 15.000 neuroni. Un bambino che ha gli occhi velati dalla cataratta
fin dalla nascita sarà cieco per sempre, anche se la cataratta verrà rimossa con una operazione
chirurgica all’età di due anni, per altri sistemi, i ricercatori sanno che cosa succede, ma non
sanno come – a livello di neuroni e molecole- essi si augurano tuttavia che le capacità cognitive
funzionino come quelle sensoriali, perché il cervello è parsimonioso nel modo di condurre i suoi
affari: si suppone che un meccanismo che funziona bene per i collegamenti visivi non venga
abbandonato quando occorre stabilire i circuiti per la musica. “I collegamenti non si stabiliscono
casualmente”, dice Dale Purves della Duke University, ma sono favoriti dall’attività”.

IL LINGUAGGIO

Prima delle parole, nel mondo del neonato, ci sono i suoni. In inglese ci sono fenomeni come i ba e
i da acuti, gli ee strascinati e le ll e sibilanti sss. In giapponese ci sono altri fenomeni: i
rabbiosi hi e le rr ll fuse insieme. Quando un bambino sente ripetutamente un fonema, dalle sue
orecchie alcuni neuroni stimolano la formazione di collegamenti dedicati alla corteccia cerebrale
uditiva del suo cervello. Questa “mappa percettiva” spiega Patricia Kuhl della University o
Washington, riflette l’apparente distanza – di qui la somiglianza – fra i suoni. Così, nei bambini
di lingua inglese, i neuroni della corteccia cerebrale che rispondono al ra risiedono lontano da
quelli che rispondono al la. Ma per i giapponesi, per i quali questi suoni sono pressochè identici,
i neuroni che corrispondono alla ra sono praticamente intrecciati, come spaghetti, con quelli per la
la. Di conseguenza, i giapponesi avranno delle difficoltà nel distinguere i due suoni. I ricercatori
trovano le conferme di queste tendenze in molte lingue. All’età di sei mesi, riferisce Patricia
Kuhl, i bambini di famiglie di lingua inglese hanno una mappa uditiva diversa (come dimostrato da
misurazioni elettriche che identificano quali neuroni rispondono a suoni diversi) da quelli di
famiglie di lingua svedese. I bambini sono funzionalmente sordi ai suoni assenti nella loro
madrelingua . La mappa è completata al primo compleanno. “A 12 mesi”, dice la Kuhl, “i bambini hanno
perso la capacità di discriminare suoni che non sono significativi nella loro lingua, e il loro
balbettio ha acquistato il suono della loro lingua”.

Le scoperte della Kuhl aiutano a spiegare perché sia così difficile imparare una seconda lingua
“dopo” anziché “con” la lingua madre. “La mappa percettiva della prima lingua sacrifica
l’apprendimento di una seconda, essa dice. In altre parole, i circuiti sono già collegati per lo
spagnolo, e i rimanenti neuroni “non dedicati” hanno perso la loro capacità di formare nuovi
collegamenti di base, ad esempio per il greco. Un bambino a cui si insegna una seconda lingua dopo
dieci anni o più tardi, non potrà probabilmente mai parlarla come se fosse la sua lingua nativa. Il
lavoro della Kuhl spiega anche perché lingue che hanno la stessa origine come lo spagnolo e il
francese siano più facili da imparare che non quelle che non hanno nessuna relazione: molti dei
circuiti esistenti possono assolvere a due compiti.

Una volta stabilita questa circuitazione di base, un bambino è pronto a trasformare i suoni in
parole. Secondo la psichiatra Janellen Huttenlocher della University of Chicago, più parole un
bambino ascolta, più velocemente egli impara a parlare. Bambini ai quali le madri parlavano molto, a
venti mesi conoscevano 131 parole in più rispetto a bambini che avevano una madre più taciturna o
meno “vicina”; a 24 mesi il divario si era ampliato a 295 parole (presumibilmente lo stesso vale per
il padre, se è lui che cura il bambino). Non importa quali parole la madre usi – sono i monosillabi
che sembrano agire. Il suono delle parole, sembra, costruisce circuiti neurali che possono poi
assorbire più parole, esattamente come creare un file su di un computer consente poi all’utente di
riempirlo con il testo. “C’è un enorme vocabolario da acquisire”, dice la Huttenlocher, “esso può
essere acquisito soltanto attraverso una ripetuta esposizione alle parole”.

LA MUSICA

L’ottobre scorso alcuni ricercatori dell’Università di Costanza, in Germania, hanno dichiarato che
l’esposizione alla musica ricostituisce i circuiti neurali. Nei cervelli di nove esecutori di
strumenti a corda esaminati con la risonanza magnetica, la quantità di corteccia somato-sensoriale
dedicata al pollice e al mignolo della mano sinistra – le dita che arpeggiano – è risultata molto
più elevata di quella di persone che non suonavano. Quanto tempo i musicisti suonassero ogni giorno
non influenzava la mappa corticale. Ma l’età alla quale essi erano stati introdotti alla loro musa,
sì: più giovane è il ragazzo quando prende in mano lo strumento, più corteccia egli dedica a
suonarlo.

Come altri circuiti che si sono formati presto nella vita, quelli per la musica perdurano. Chugani
della Wayne State’s University suonò la chitarra da bambino, poi smise. Qualche anno fa egli ha
cominciato a prendere lezioni di pianoforte con sua figlia. Lei imparava facilmente, ma lui non
aveva la capacità di far fare alle dita quello che desiderava. Però, quando Chugani recentemente ha
ripreso la chitarra in mano, ha scoperto con suo grande piacere che “le canzone c’erano ancora”,
così come persiste la memoria dei muscoli per andare in bicicletta.

LA MATEMATICA E LA LOGICA

Presso la Irvine University della California, Gordon Shaw supponeva che tutte le forme di pensiero
fossero caratterizzate da modelli analoghi di eccitazione dei neuroni. “Se si ha a che fare con
bambini piccoli”, dice Shaw,” non si insegna loro matematica pura o il gioco degli scacchi. Ma essi
dimostrano interesse e possono avvicinarsi alla musica”. Così Shaw e Frances Rauscher hanno dato a
19 bambini dell’asilo lezioni di piano o di canto. Dopo otto mesi, i ricercatori hanno scoperto che
i bambini “avevano straordinariamente migliorato la loro capacità di ragionamento spaziale” rispetto
ai bambini che non avevano ricevuto lezioni di musica, come dimostrato dalla loro capacità di
orientarsi nei labirinti, di disegnare figure geometriche e di riprodurre composizioni di cubetti a
due colori. Il meccanismo dell'”effetto Mozart” resta oscuro, ma Shaw è convinto che, quando i
bambini esercitano i neuroni corticali ascoltando la musica classica, essi rinforzano anche i
circuiti usati per la matematica. La musica, dice il team della University of California, “stimola i
modelli interni del cervello e ne favorisce l’impiego in ragionamenti complessi”.

LE EMOZIONI

Le linee principali dei circuiti che controllano le emozioni sono installate prima della nascita.
Poi intervengono i genitori. Forse la più forte influenza è quella che lo psichiatra Daniel Stern
chiama accordo, cioè il fatto che i genitori “sappiano dare eco ai sentimenti interiori del
bambino”. Se il grido di gioia di un bambino alla vista di un pupazzo è accompagnato da un sorriso e
da un abbraccio, se la sua eccitazione alla vista di un aeroplano sopra la sua testa si rispecchia
nel genitore, i circuiti relativi a queste emozioni vengono rinforzati. Evidentemente, il cervello
usa gli stessi percorsi per generare un’emozione o per rispondere ad essa. Cosicchè, se un’emozione
è ricambiata, i segnali elettrici e chimici che l’hanno generata vengono potenziati. Ma se le
emozioni incontrano indifferenza o risposte contrarie – il bambino è orgoglioso di costruire un
grattacielo con le migliori pentole della mamma, ma la mamma è terribilmente annoiata – quei
circuiti si fanno confusi e non riescono a potenziarsi.

La chiave qui è la parola “regolarmente”: la disattenzione di una volta non segnerà il bambino per
la vita. E’ il modello che conta, con conseguenze anche pesantissime: in uno degli studi di Stern,
un bambino la cui madre non aveva mai ricambiato il suo entusiasmo diventò estremamente passivo,
incapace di sentire eccitazione o gioia.

L’esperienza può anche attivare i circuiti cerebrali che “inducono alla calma”, come Daniel Goleman
scrive nel suo best seller Emotional Intelligence. Un padre calma dolcemente il suo bambino che
piange, un altro lo mette nella culla; una madre abbraccia il suo bambino che, giocando, le ha
sbucciato il ginocchio, un’altra grida “sei uno sciocco!”. Le prime risposte sono in sintonia con il
disagio del bambino; le altre sono totalmente fuori sintonia. Fra i dieci e diciotto mesi, un
grappolo di celle nella corteccia prefrontale razionale sono impegnate ad agganciarsi alle regioni
emozionali. Il circuito sembra trasformarsi in un interruttore di controllo, capace di calmare
l’agitazione razionalizzando l’emozione. Forse l’abbraccio del genitore orienta questo circuito
rinforzando le connessioni neurali che lo formano, per cui il bambino impara a calmarsi da solo. E
questo avviene così precocemente che gli effetti dell’educazione possono essere scambiati per
caratteri innati.

Anche lo stress e le minacce continue attivano i circuiti emozionali. Questi circuiti sono centrati
nella amigdala, una piccola struttura a forma di mandorla situata in profondità nel cervello il cui
compito è quello di analizzare il contenuto emozionale di immagini visive e suoni. Secondo un
diagramma di collegamenti realizzato da Joseph LeDoux della New York University, gli impulsi degli
occhi e delle orecchie raggiungono l’amigdala prima di arrivare alla neocorteccia razionale del
pensiero. Se un’immagine visiva, un suono o una esperienza sono stati dolorosi prima – l’arrivo a
casa del padre ubriaco è stato seguito da percosse – l’amigdala inonda i circuiti di sostanze
neurochimiche prima ancora che il cervello sappia che cosa sta succedendo. Più questo percorso viene
utilizzato, più facilmente si attiva: il suo ricordo del padre può indurre paura. Dal momento che i
circuiti possono rimanere eccitati per giorni, il cervello resta in grande allerta. In questo stato,
dice il neuroscienziato Bruce Perry del Baylor College of Medicine, più circuiti presiedono a
sollecitazioni non verbali – espressioni facciali, suoni violenti – che avvertono di un danno
incombente. Di conseguenza, la corteccia rallenta lo sviluppo e ha problemi ad assimilare
informazioni complesse come il linguaggio.

continua…

Accademia della Musica ©
accademiadellamusica.it/studi.htm

Approfondimento sul sito www.sublimen.com

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