“Risvegliato” dopo 15 anni in stato vegetativo

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“Risvegliato” dopo 15 anni in stato vegetativo

28 settembre 2017

Ha fatto il giro del mondo la notizia di un paziente in stato vegetativo da 15 anni riportato allo
stato di minima coscienza – cioè di basilare consapevolezza di sé e dell’ambiente circostante – con
una stimolazione del nervo vago. Il risultato apre il dibattito tra neurologi sulle possibili
metodiche da applicare per modificare il decorso dei disordini della coscienza (red)

da lescienze.it

Ha destato molto scalpore nei giorni scorsi la notizia pubblicata su molti mezzi d’informazione del
recupero dello stato di minima coscienza in un paziente di 35 anni, che si trovava da 15 anni in
stato vegetativo. Come si legge su “Current Biology”, a riuscirci è stata un’équipe medica
dell’Institut des Sciences Cognitives Marc Jeannerod di Lione, in Francia, che ha impiantato nel
torace dell’uomo un neurostimolatore del nervo vago, secondo una metodica in uso per il trattamento
dell’epilessia e della depressione.

La scelta dei medici francesi non è stata casuale. Il nervo vago è uno dei più lunghi e ramificati
del corpo umano: si diparte dal midollo allungato e attraversa il torace e l’addome, innervando gran
parte della muscolatura liscia dell’organismo, e in particolare l’intestino e lo stomaco. Ma il dato
fondamentale è che alcuni studi suggeriscono che sia coinvolto nel mantenimento dello stato di
coscienza vigile.

Per capire la portata del risultato ottenuto a Lione, occorre un piccolo preambolo sui cosiddetti
disordini della coscienza.

Con questo termine si indica complessivamente un continuum di patologie, derivanti da lesioni
cerebrali di natura traumatica e non, tali da compromettere lo stato di vigilanza e di
consapevolezza. La mancanza di entrambe definisce lo stato di coma.

Se invece il soggetto non è consapevole di sé e dell’ambiente circostante, ma sono preservati il
normale ciclo sonno-veglia e i riflessi neurovegetativi e motori, al punto che possono essere
presenti movimenti oculari, sbadigli, e movimenti involontari in risposta a stimoli dolorosi, si
parla allora di stato vegetativo. Infine, se si evidenziano alcuni segni di consapevolezza di sé o
per l’ambiente, il soggetto è in stato di minima coscienza.

Immagini PET del cervello del paziente prima (a sinistra) e dopo (a destra) l’applicazione della
stimolazione del nervo vago (Credit: Corazzol et al.)
www.lescienze.it/images/2017/09/28/114327018-f6e6f04c-8998-4d7f-9bb7-f79546dad207.jpg

Nel caso del paziente francese, dopo un mese di stimolazione del vago, l’attenzione, i movimenti e
l’attività cerebrale del paziente sono migliorati. Sono comparsi timidi segni d’interazione col
mondo, come seguire con lo sguardo il movimento di un oggetto, o spaventarsi quando un medico si
avvicinava improvvisamente al suo viso. Dopo nove mesi, il suo livello di coscienza non ha mostrato
ulteriori segni di miglioramento, e il paziente non è ritornato allo stato vegetativo.

Le registrazioni del tracciato elettroencefalografico hanno confermato quei segni: il segnale delle
onde theta, importante per distinguere tra uno stato vegetativo e uno stato di minima coscienza, è
infatti aumentato in modo significativo nelle aree cerebrali coinvolte nel movimento, nella
sensazione e nella consapevolezza.

Il risultato ha riacceso il dibattito tra i neurologi sulle possibili metodiche per modificare il
decorso dei disordini della coscienza. “La plasticità cerebrale e la riparazione cerebrale sono
ancora possibili quando la speranza sembra essere svanita”, ha commentato Angela Sirigu, coautrice
dell’articolo. “Con la stimolazione del nervo vago è possibile migliorare la presenza al mondo dei
pazienti”.

Il risultato è stato replicato con un piccolo numero di soggetti nelle stesse condizioni, ma non si
può ancora pensare di tradurlo direttamente in interventi clinici generalizzati. Inoltre, alcuni
esperti sono scettici sul fatto che il risultato sia stato prodotto esclusivamente dall’impianto
dell’elettrodo.

Andrew Cole neurologo della Harvard Medical School di Boston esperto di stati di coscienza, per
esempio, ha dichiarato a “Science” che l’intervento chirurgico per l’impianto, le frequenti
osservazioni comportamentali e il movimento degli scanner utilizzati per l’imaging cerebrale
potrebbero aver contribuito al miglioramento del paziente. “Non dico che quanto annunciato non sia
vero, ma solo che è difficile da interpretare sulla base dei dati presentati”.

Nicholas Schiff della Weill Cornell Medicine in New York City è sulla stessa lunghezza d’onda,
perché un singolo paziente non basta a trarre conclusioni sulla terapia, ma è ottimista sulle
potenzialità del trattamento. “I ricercatori ora hanno bisogno di trattare molti pazienti con questa
metodica con diverse intensità e durata della stimolazione”, ha spiegato Schiff a “Science”. “Il
trattamento è incredibilmente costoso in termini di tempo e di denaro”, e sarebbe sicuramente un
problema dover convincere delle assicurazioni private o i responsabili dei sistemi sanitari
nazionali che un soggetto in stato vegetativo possa e debba essere riabilitato.

dx.doi.org/10.1016/j.cub.2017.07.060

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