Ritiro del silenzio: quali benefici?

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Ritiro del silenzio: quali benefici?

Ci sono decine di articoli sui benefici di un ritiro di 10 giorni in silenzio. Potremmo passare ore
e ore a parlare dei ritiri spirituali e dei loro benefici, la maggior parte dei quali sono personali
e individuali, non tutti condivisibili. Si tratta di esperienze profonde e spesso ineffabili che in
qualche modo sono difficili da trasmettere a livello orale o scritto, proprio perché appartengono
alla dimensione privata.

Dopo un ritiro spirituale, in genere si ha voglia di raccontare la propria esperienza e di
condividerla con gli altri. Tuttavia, non tutti sono pronti e preparati a coglierne il significato.
Se qualcuno si interroga sui benefici di un ritiro di 10 giorni in silenzio, sicuramente il primo
commento che farà è “10 giorni senza parlare con nessuno e senza usare il telefono? Potrei
impazzire!”.

Che cos’è un ritiro?

Un ritiro è sostanzialmente un allontanamento dai consueti impegni della vita. Detto in questi
termini, è riduttivo. Approfondiamo meglio il concetto.

Nella vita di tutti i giorni ci ritroviamo coinvolti in situazioni che scatenano la nostra ira, ci
imbattiamo in persone che ci fanno arrabbiare o dobbiamo affrontare eventi che ci rattristano. In
altre parole, siamo costantemente esposti a cose o fatti che ci creano malessere. Inoltre, siamo
vittime dell’attaccamento che, a volerlo estremizzare, risulta essere una dipendenza.

Un ritiro, dunque, consiste nell’allontanarsi temporaneamente da ciò che provoca malessere per
imparare a stare con se stessi, in questo caso attraverso l’aiuto di un maestro qualificato che
stabilisce delle regole da seguire.

I primi giorni del ritiro

I primi momenti di un ritiro sono sempre diversi, soprattutto quando si vuole diventare un maestro
di meditazione, il che comporta sicuramente un grande senso di responsabilità.

Quando si comincia un ritiro, pur essendoci altri partecipanti, ognuno è da solo con la sua mente.
Non c’è telefono, non c’è computer, non c’è internet. Nessun contatto con il mondo esterno.

Nella vita di tutti i giorni cerchiamo di sfuggire ai nostri pensieri più fastidiosi. Non vogliamo
pensare a quello che ci causa dolore e per questo usiamo il telefono o svolgiamo qualsiasi attività
come fonti di distrazione. Durante un ritiro, invece, si è soli di fronte al pericolo, ognuno con la
sua mente e i suoi pensieri.

Meditazione

Durante i ritiri previsti dai corsi per diventare istruttori di meditazione tibetana, si medita 5 o
6 volte al giorno, in aggiunta ai momenti di meditazione individuale. I corsi prevedono anche
momenti di insegnamento, per cui le parole del maestro sono l’unico stimolo uditivo per qualche ora
al giorno. Per il resto, solo silenzio.

Quando si medita, i pensieri iniziano a invadere la mente. Quelli che sembravano superati e quelli
più recenti, attuali. Alcuni rimangono fissi nella mente come un pugnale sul fianco. Bisogna sedersi
a gambe incrociate, respirare profondamente e lasciar passare il pensiero. Lo si osserva senza
giudicarlo. Tuttavia, quando termina la meditazione, esso torna.

Pensieri

I pensieri che sembrano sotto controllo iniziano a emergere come la lava di un vulcano. In genere,
quando emergono pensieri fastidiosi, li nascondiamo ricorrendo a internet o ad altre attività.

Durante un ritiro, i pensieri non si limitano a emergere superficialmente, a poco a poco ci rendiamo
conto delle loro reali dimensioni: enormi! Sono come l’iceberg con cui si è scontrato il Titanic,
mandando a fondo la nostra salute emotiva, la nostra anima, la nostra autostima. Ed ecco che
cominciamo ad affrontare i nostri demoni.

In un ritiro ogni pensiero fastidioso sembra diventare un drago terrificante. Dobbiamo capire che è
frutto della nostra mente e mantenere la calma.

Non illudiamoci che sia tutto idilliaco durante un ritiro: i partecipanti possono essere presi da
attacchi di ansia, tremori, sudorazione, voglia di piangere, palpitazioni, iperventilazione, ecc.
Non stiamo dicendo questo per spaventarvi, ma perché è importante sapere tutto quello che accade
quando finalmente decidiamo di affrontare la nostra mente e ciò che teniamo nascosto a noi stessi. A
quel punto, non sappiamo da dove cominciare.

In un certo senso, l’ansia potrebbe spiegarsi come sindrome di astinenza dalla vita quotidiana.
Siamo abituati a una determinata routine, a fare tante cose in momenti diversi, ma un centro di
ritiro ha orari prestabiliti. Non si può accedere alla tecnologia, non ci si può alzare nel cuore
della notte e mangiare qualcosa. Sono cambiamenti da accettare per adottare un orario e un
comportamento diversi e questo può comportare un certo grado di malessere. Trattandosi di un ritiro
in silenzio, non si può nemmeno parlare. È tutto diverso.

Quali sono i benefici di un ritiro di 10 giorni in silenzio?

In genere, i primi giorni di un ritiro hanno delle ripercussioni negative sullo stato d’animo della
persona che lo sta affrontando, anche in base alla sua storia di vita, alle sue competenze e al suo
grado di coinvolgimento nella pratica meditativa.

L’aspetto più curioso è che si iniziano a notare i benefici di un ritiro solo quando si riprende la
vita di tutti i giorni. Si prova una sensazione di tranquillità, serenità. Anche dopo qualche giorno
negativo dal punto di vista emotivo, tutto torna alla normalità. La mente è più rilassata, non c’è
bisogno di parlare e non servono stimoli esterni per essere felici. Ognuno basta a se stesso.

Quando usciamo dal centro di ritiro, siamo invasi dai rumori dell’ambiente: macchine, persone che
parlano o urlano, chiasso. Iniziamo ad acquisire consapevolezza dell’eccessivo rumore che ci avvolge
e che ci provoca uno stato di stress quasi inconsapevole. Chi vive da solo non lo nota, ma chi abita
con altre persone si rende conto del rumore che lo circonda: la televisione accesa, il rumore della
tastiera del computer, il telefono che suona. Tutti osservano qualcosa, a volume eccessivo, che in
realtà non apporta nulla.

“Il nostro corpo e la nostra mente hanno la capacità di guarire e di prendersi cura di sé se
permettiamo loro di riposare.”
Thich Nhat Hanh

Quando cominciamo a relazionarci di nuovo con l’ambiente e le persone, ci accorgiamo che la maggior
parte delle conversazioni sono puramente sociali, ovvero servono a riempire vuoti, non apportano
nulla e non ci arricchiscono. Questo non significa che sia una cosa negativa, più che altro serve da
spunto di riflessione. Parliamo un po’ del lavoro, degli amici e dello sport, ma siamo migliorati
come persone? Dopo 10 giorni dedicati allo sviluppo interiore, ci rendiamo conto della quantità di
informazioni superflue che usiamo tanto per parlare.

Impariamo ad apprezzare le cose semplici, quello che dà davvero valore alle nostre vite. Quando
andiamo al centro commerciale, vediamo solo opulenza, consumismo e materialismo. Apriamo gli occhi e
capiamo che fin da piccoli ci hanno spinto a cercare la felicità solo all’esterno, ma in realtà è
dentro di noi, solo che non ci insegnano a coltivarla.

La caverna, la valle e il cimitero

Il ritorno alla vita quotidiana è importante, in quanto molti corrono il rischio di parlare solo del
loro sviluppo interiore, ma l’ideale è trovare un equilibrio. Non bisogna mettere da parte la
famiglia e gli amici, ma nemmeno la pratica meditativa.

Lama Rinchen Gyaltsen, maestro di meditazione, parlava di tre fasi del cammino spirituale: la fase
della caverna, la fase della valle e la fase del cimitero.

La prima fase consiste nel ritirarsi da tutto quello che ha un’influenza negativa e crea dipendenza
o attaccamento. È una sorta di allenamento mentale. Quando si cresce, si è pronti a scendere nella
valle e ad affrontare la vita quotidiana per vedere a che punto è lo sviluppo interiore.

Infine, arriva la fase del cimitero. Anticamente nei cimiteri indiani era possibile osservare i
corpi putrefatti. Se si era in grado di meditare in un cimitero, significava che il livello di
evoluzione raggiunto era davvero alto.

Fortunatamente, non abbiamo bisogno di andare al cimitero per meditare o comunque nei cimiteri di
oggi i corpi dei defunti non sono in bella vista. Possiamo limitarci ad affrontare la fase della
caverna e la fase della valle.

Molte persone, quando terminano il ritiro, si illudono che tutto sia tranquillo come nella
“caverna”, ma è molto difficile e sicuramente poco realista. Giorno dopo giorno veniamo bombardati
da centinaia di stimoli e dobbiamo affrontare diverse situazioni e contrattempi. Non è salutare
lasciarsi trasportare dalla voragine malsana ed estremamente materialista della fase della valle.
L’ideale è imparare a interagire con l’ambiente mantenendo una certa calma, senza mettere da parte
le pratiche personali.

Consigli per fare un ritiro del silenzio

Conviene iniziare con un ritiro breve, di 2 o 3 giorni, e soprattutto guidato. In seguito è
possibile prolungarlo, ma per cominciare ed evitare l’ansia vanno bene pochi giorni.

In secondo luogo, è importante informarsi sul centro nel quale ci si recherà per fare il ritiro,
quindi cercare referenze, consultare il sito internet, conoscere i maestri e parlare con chi ha già
affrontato un’esperienza simile. Queste informazioni sono una sorta di garanzia.

Un altro aspetto importante è sapere che non tutti i ritiri sono uguali. Molti si basano su pratiche
meditative, ma non esigono il silenzio, anche se, forse in maniera inconsapevole, chi partecipa al
ritiro tende a parlare meno. Durante i primi giorni di un ritiro del silenzio si può provare ansia e
malessere. È una fase normale. Se non si riesce a sopportarlo, meglio consultare il maestro per
avere indicazioni su come affrontare al meglio la situazione. Non bisogna avere paura e spaventarsi.

Alcune considerazioni sui benefici di un ritiro del silenzio

Molte persone sono convinte che non faranno mai un ritiro del silenzio, ma ci sentiamo di
consigliare quest’esperienza, anche solo per un fine settimana. In genere spendiamo molti soldi in
capricci e cose materiali, dedichiamo tanto tempo in attività vuote e inutili, perciò che c’è di
male nell’investire denaro e tempo nel proprio sviluppo interiore?

“Tigri, leoni, elefanti, orsi, serpenti, tutti i nemici, tutti i guardiani degli inferni, spiriti
maligni e demoni si possono controllare controllando la mente. Se si sottomette la mente, si
sottomette ogni cosa.”
Shantideva

– anonimo –

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