Rivelata la struttura del legame tra oppioidi e cervello

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Rivelata la struttura del legame tra oppioidi e cervello

Determinata per la prima volta la struttura atomica tridimensionale di due tra i più importanti
recettori per gli oppioidi, i cosiddetti recettori “mu” e “kappa”, coinvolti rispettivamente nella
mediazione delle sensazioni di piacere e dolore e nella regolazione dell’umore e delle esperienze
psicotiche. La scoperta apre le porte alla progettazione di farmaci più sicuri ed efficaci per il
trattamento del dolore, delle dipendenze e di diversi disturbi psichiatrici

(red)

Per la prima volta è stata determinata la struttura atomica tridimensionale di due recettori umani
per gli oppioidi, molecole presenti sulla superficie delle cellule cerebrali che si legano agli
oppioidi e sono coinvolte in modo essenziale negli stati di piacere, dolore, dipendenza,
depressione, psicosi e altre ancora. Le nuove dettagliate informazioni sulla struttura atomica di
questi recettori – pubblicate in due articoli apparsi su “Nature” – su cui agiscono innumerevoli
sostanze, dall’eroina agli anestetici ospedalieri, apre la strada alla progettazione di farmaci
oppioidi più sicuri ed efficaci.

Fra i molteplici sottotipi di recettori degli oppioidi presenti nel cervello umano – che concorrono
tutti insieme in una sinfonia di attività non ancora pienamente compresa – si distinguono per
importanza i recettori mu, delta, kappa e nocicettina/orfanina FQ.

Il gruppo di ricerca della Stanford University diretto da Brian Kobilka, che firma il primo
articolo, ha determinato la struttura dei recettori “mu”, che mediano le sensazioni di piacere e
dolore, e sono i principali bersagli sia dei neurotrasmettitori della categoria delle endorfine sia
dell’eroina, della morfina e di buona parte degli altri farmaci oppioidi.

In un secondo articolo, ricercatori dello Scripps Research Institute, dell’University of North
Carolina e della Virginia Commonwealth University descrivono invece i recettori “kappa”, che si
legano ai neurotrasmettitori conosciuti come dinorfine, e quando vengono attivati possono deprimere
l’umore e produrre esperienze dissociative e psichedeliche. La Salvia divinorum, originariamente
coltivata dalle società mesoamericane per l’uso nel corso di cerimonie religiose e ora ampiamente
utilizzata come allucinogeno, ha un principio attivo, la salvinorina A, che si lega con alta
affinità e in modo selettivo proprio ai recettori kappa degli oppioidi.

“Il sito attivo di questo recettore è molto più grande e più profondo di qualsiasi altro che abbiamo
studiato, e questo potrebbe spiegare perché a esso si legano tanti tipi differenti di ligandi”,
spiega Raymond Stevens, principale autore dello studio. “Non sappiamo perché si siano evoluti i
recettori kappa, ma sappiamo che esistono da tantissimo tempo, tanto che li possiedono anche le
rane”, ha detto Bryan Roth, che ha collaborato alla ricerca.

Se si riuscisse a smorzarne gli effetti psichedelici e di depressione dell’umore, le sostanze
agoniste, ossia attivatrici, dei recettori kappa per gli oppioidi potrebbero essere molto utili in
campo clinico, dato che in studi su animali hanno dimostrato di alleviare il dolore senza indurre
dipendenza, anzi contribuendo ad attenuare gli effetti di dipendenza da altre droghe. Inoltre
riducono i sintomi del colon irritabile. I composti antagonisti dei recettori kappa, quelli cioè che
ne bloccano l’attività, hanno invece potenzialità terapeutiche nel trattamento di depressione,
ansia, e altre condizioni psichiatriche.

Infine, gli effetti psichedelici associati all’attivazione del recettore kappa potrebbero essere
utili negli studi sulla percezione e sulla coscienza. “Questo è un recettore molto importante per il
modo in cui si vede la realtà”, ha osservato Roth. “Con la pubblicazione della struttura del
recettore, scienziati e aziende farmaceutiche saranno quindi in grado di utilizzare i dati per
migliorare i composti che hanno come bersaglio i recettori kappa e progettarne di completamente
nuovi.”

www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature10954.html

www.nature.com/nature/journal/vaop/ncurrent/full/nature10939.html

da lescienze.it

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