Sapienza Antica 11

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Sapienza Antica 11

di Annie Besant

COMPENDIO DEGLI INSEGNAMENTI TEOSOFICI

DEDICATO
CON GRATITUDINE RIVERENZA ED AMORE
A
H. P. BLAVATSKY
CHE MI MOSTRÒ LA LUCE

Parte undecima

CAP. X

LA LEGGE DEL SACRIFICIO
Lo studio della Legge del Sacrificio segue naturalmente quello della
legge del Karma ed il comprendere la prima è, come fu osservato da un
Maestro, tanto necessario per il mondo quanto il comprendere l’altra.

Per un atto di sacrificio di Sé il Logos divenne manifesto onde
emanare l’universo: per mezzo del sacrificio l’universo vien
sostenuto, per mezzo del sacrificio l’uomo raggiunge la perfezione 1.
Quindi ogni religione che esce dall’Antica Sapienza ha come
insegnamento centrale il sacrificio, e nella legge del sacrificio
hanno pure radice alcune delle più profonde verità dell’occultismo.

Un tentativo di comprendere, anche solo vagamente, la natura del
sacrificio del Logos varrà ad impedirci di cadere nell’errore assai
comune che il sacrificio sia cosa essenzialmente penosa; invece la sua
stessa essenza è un’emissione volontaria e gioiosa della vita,
affinché altri possano parteciparne, e soltanto sorge il dolore quando
nella natura del sacrificatore vi è disaccordo fra la sua parte più
elevata, la cui gioia sta nel dare, e l’inferiore, la cui
soddisfazione sta nell’afferrare e ritenere. È questo disaccordo
solamente che introduce nel sacrificio l’elemento del dolore; ma nella
Perfezione suprema, nel Logos nessun disaccordo potrebbe nascere;
l’Uno è il perfetto accordo dell’Essere, accordo di infinite melodie
tutte armonizzate sopra un’unica nota, nella quale, come nota
fondamentale dell’Esistenza, sono fuse Vita, Sapienza e Beatitudine.

Il sacrificio del Logos consiste in ciò: che Egli circoscrive
volontariamente la propria vita infinita per potersi manifestare.
Simbolicamente si può dire che nell’infinito oceano di luce, il cui
centro è dovunque e la circonferenza in nessun luogo, sorge una sfera
di luce vivente, un Logos: la superficie di codesta sfera è costituita
dalla Sua volontà di limitare Se stesso affinché possa divenir
manifesto; è il velo 2 in cui Egli si racchiude affinché dentro di
esso possa prender forma un universo. Questo universo per il quale il
sacrificio è compiuto non è ancora in esistenza; il suo futuro essere
sta nel “pensiero” del solo Logos; a Lui deve la sua concezione e a
Lui dovrà la sua molteplice vita. Nell’“indiviso Brahman” non poteva
nascere

1 Gli Indù ricorderanno le parole con cui comincia il Brihadaranyaka
Upanishad, le quali dicono che l’alba è nel sacrificio; gli
Zoroastriani rammenteranno come Ahura-Mazdao venne fuori da un atto di
sacrificio: i Cristiani penseranno all’Agnello, simbolo del Logos,
immolato dall’origine del mondo.

2 Questo è il potere che ha il Logos di limitarsi, la sua Maya, il
principio limitatore per mezzo del quale tutte le forme sono portate
in esistenza. La sua vita appare come “Spirito”, la sua “Maya” come
Materia, e tanto l’uno quanto l’altra non sono mai separati durante la
manifestazione, la diversità se non per mezzo di questo sacrificio
volontario della Divinità, la quale prende per Se stessa una forma
allo scopo di emanare miriadi di forme, dotate ognuna di una scintilla
della Sua vita e per conseguenza col potere di evolvere la Sua
immagine. “Il sacrificio primo che causa la nascita degli esseri si
chiama azione (karma)” 1; e questo passaggio dell’esistenza in sé
dalla beatitudine del perfetto riposo all’attività è stato sempre
riconosciuto come il sacrificio del Logos. Quel sacrificio continua
per tutta la durata dell’universo poiché la vita del Logos è l’unico
sostegno di ogni vita separata, ed Egli limita la sua vita in ognuna
delle miriadi di forme che produce, sopportando tutte le restrizioni e
le limitazioni implicate in ognuna di esse. L’infinito Signore
potrebbe a ogni momento uscire fuori da qualsiasi delle forme medesime
riempiendo l’universo della Sua gloria; ma solo con una sublime
pazienza e con una lenta e graduale espansione ogni forma può essere
innalzata fino a divenire un centro autonomo di potere illimitato
simile a Lui. È per ciò che Egli si racchiude nelle forme sopportando
tutte le imperfezioni finché la perfezione sia raggiunta, finché la
Sua creatura sia simile a Lui e una con Lui, ma con un suo proprio
filo di memoria. In tal maniera questa emissione della Sua vita nelle
forme è parte del sacrificio originale, ed ha in sé la beatitudine
dell’eterno Padre che invia le sue creature nel mondo sotto forme di
vite separate, affinché ognuna possa evolvere un’identità che non
perirà giammai e dare la sua propria nota in unione a tutte le altre
per elevare il canto eterno di beatitudine, d’intelligenza e di vita.
La natura essenziale del sacrificio ha queste caratteristiche,
qualunque siano gli altri elementi che possano venire a mischiarsi con
l’idea centrale: è l’emissione volontaria di vita allo scopo di
renderne partecipi anche altri, di dar vita ad altri e sorreggerli
fino a quando non siano diventati autonomi; e questa è solo una delle
espressioni della gioia divina. Vi è sempre gioia nell’esercizio di
un’attività che è l’espressione del potere di chi agisce: l’uccello
gioisce e freme nell’estasi del proprio canto; il pittore gioisce
nelle creazioni del suo genio, nel dar forma alle sue idee. L’attività
essenziale della vita divina deve esser riposta nel dare, perché non
vi ha nulla di più alto di lei da cui possa ricever qualche cosa, e se
in alcun modo essa deve essere attiva, e la vita manifestata è
movimento attivo, deve espandersi al di fuori. Il dare è dunque la
caratteristica dello spirito, poiché lo spirito è vita divina attiva
in ogni forma.

Ma d’altro lato l’attività essenziale della materia sta nel ricevere:
col ricevere impulsi di vita si organizza in forme, le quali
ricevendoli si sostengono, e si disgregano quando essi si ritirano.
Tutta la sua attività è di questa natura ricettiva, e solo ricevendo
può durare come forma. È perciò che la materia non fa che afferrare e
cercare di ritenere per sé; la persistenza della forma dipende da
questo potere ritentivo, e perciò essa tenderà sempre a trarre in se
stessa tutto quanto può, e sarà riluttante a cederne ogni più piccola
parte. La sua gioia starà nell’afferrare e nel ritenere; per essa dare
varrà quanto morire.

È molto facile vedere come, da questo punto di vista, nacque l’idea
che il sacrificio fosse sofferenza. La vita divina da una parte
trovava delizia nell’esercitare la sua attività di dare, anche quando
racchiusa nella forma, non si curava se col dare la forma periva, ben
sapendo che questa non è che la sua espressione transitoria, il mezzo
del suo separato sviluppo; dall’altra parte la forma, la quale sentiva
staccarsi da sé le forze vitali, si ribellava angosciosamente e
cercava di esercitare la sua attività nel ritenere, resistendo così a
quel distacco.
Le energie vitali, che la forma reclamava come sue, venivano diminuite
dal sacrificio, o anche tolte completamente facendo perire la forma.
Nel mondo inferiore della forma era questo il solo aspetto conoscibile
di sacrificio e la forma sentendosi trascinata al macello, si
ribellava per la paura e la disperazione. Quale meraviglia allora che
gli uomini, resi ciechi dalla forma, identificassero il sacrificio con
la forma agonizzante invece che con la libera vita che donava se
stessa, esclamando con gioia: “Ecco io vengo a fare la tua volontà,
mio Dio, e ne sono contenta!” Quale meraviglia anzi che gli uomini,
coscienti di una natura superiore e di una natura inferiore, ed
identificando spesso la loro autocoscienza più con questa che con
quella, sentissero la lotta della natura inferiore, la forma, come la
lotta loro propria, e fossero persuasi che essi accettavano il dolore
per sottomissione ad una volontà più alta e considerassero quindi il
sacrificio come una devota e rassegnata accettazione del dolore?

Finché l’uomo non si identifica con la vita invece che con la forma,
non è possibile eliminare dal sacrificio l’elemento del dolore. In
un’entità perfettamente armonizzata il dolore non può esistere, perché
la forma è allora il veicolo perfetto della vita, che prende o dà con
pronta condiscendenza. Col cessare della lotta cessa pure il dolore,
poiché questo deriva dal disaccordo, dall’attrito, dai movimenti
antagonistici; e dove l’intera natura agisce in perfetta armonia, non
si riscontrano le condizioni che danno origine al dolore.

Così essendo la legge del sacrificio la legge di evoluzione della vita
nell’universo, noi troviamo che ogni passo ascendente si fa per mezzo
del sacrificio; la vita esce da una forma per rinascere in un’altra
più elevata, mentre quella che prima la conteneva perisce. Coloro che
guardano soltanto alla distruzione delle forme, considerano la Natura
come un grande carnaio; mentre quelli che vedono l’anima sprigionarsi
da una forma per entrare in una nuova e più elevata, odono sempre
l’inno gioioso della nascita, inno che sale dalla vita evolvente.

La Monade nel regno minerale evolve con lo spezzarsi delle sue forme
per la produzione e il sostentamento delle piante, I minerali vengono
disintegrati affinché dai loro materiali possano essere costituite
delle forme vegetali: la pianta prende dai minerali i suoi costituenti
nutritivi, li decompone e li incorpora nella sua propria sostanza. Le
forme minerali periscono perché quelle vegetali possano crescere, e
questa legge del sacrificio impressa sul regno minerale è la legge di
evoluzione della vita e della forma. La vita procede e la Monade
evolve per produrre il regno vegetale, essendo il perire delle forme
inferiori la condizione per la comparsa ed il sostentamento delle
superiori.

Il processo si ripete nel regno vegetale, le cui forme vengono a loro
volta sacrificate affinché le forme animali possano esser prodotte e
possano crescere; ovunque le erbe, i grani, gli alberi periscono per
nutrire i corpi animali; i loro tessuti sono disintegrati, perché i
materiali che li compongono possano essere assimilati dall’animale e
costituirne il corpo. E nuovamente la legge del sacrificio è impressa
sul mondo, questa volta nel regno vegetale: la sua vita evolve mentre
le sue forme periscono; la Monade evolve fino a produrre il regno
animale, e il regno vegetale vien sacrificato alla costruzione ed alla
nutrizione delle forme animali.

Fino a questo punto l’idea di dolore si è a mala pena connessa con
quella di sacrificio, poiché, come abbiamo veduto nel corso del nostro
studio, i corpi astrali delle piante non sono abbastanza organizzati
per dare origine ad una sensazione acuta di piacere o di dolore. Ma
considerando la legge del sacrificio nella sua azione nel regno
animale, non possiamo fare a meno di riconoscere il dolore che va
congiunto allo spezzarsi delle forme. È vero che la quantità di dolore
sofferto da un animale fatto preda di un altro è “nello stato
naturale” ben poca; pure una certa sofferenza non manca. È anche vero
che l’uomo, nella parte da lui presa nell’aiutare l’evoluzione degli
animali, ha molto aggravato la quantità di dolore ed ha rinforzato
piuttosto che indebolito gli istinti predatori degli animali
carnivori; tuttavia non fu egli che instillò quegli istinti, benché ne
abbia approfittato per ottenere i suoi scopi: e una incalcolabile
quantità di animali, nella cui evoluzione l’uomo non ha avuto
direttamente parte alcuna, si divorano a vicenda, le forme essendo
sacrificate al mantenimento di altre forme, come nei regni minerale e
vegetale.

La lotta per l’esistenza cominciò molto tempo prima che l’uomo
apparisse sulla scena del mondo, ed accelerò l’evoluzione tanto della
vita, quanto della forma, mentre le sofferenze che accompagnano la
distruzione delle forme cominciarono il loro lungo compito di
imprimere sulla Monade in via di evoluzione la transitorietà di tutte
le forme e la differenza che passa tra le forme che periscono e la
vita che persiste.
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La natura inferiore dell’uomo fu evoluta sotto la stessa legge di
sacrificio che governava i regni inferiori. Ma con l’emanazione della
Vita divina la quale diede la Monade umana, avvenne un cambiamento nel
modo con cui la legge del sacrificio agiva quale legge vitale.
Nell’uomo doveva essere sviluppata la volontà, l’energia autonoma e
semovente, e perciò la coercizione della legge che spingeva i regni
inferiori lungo la via dell’evoluzione, non poteva in questo caso
essere impiegata senza paralizzare lo sviluppo di quel nuovo ed
essenziale potere. A nessun minerale, a nessuna pianta, a nessun
animale fu mai domandato di accettare la legge del sacrificio quale
legge di vita volontariamente scelta; fu imposta loro dall’esterno, e
fu essa che ne forzò lo sviluppo per mezzo di una necessità alla quale
era loro impossibile sottrarsi. Ma l’uomo doveva avere la libertà di
scelta necessaria allo sviluppo di un’intelligenza discernitiva e
autocosciente; quindi si presentò il problema: “Come può questa
creatura essere lasciata libera di scegliere e d’imparare tuttavia a
scegliere la legge del sacrificio, mentre è ancora un organismo
sensitivo che rifugge dal dolore, che è inevitabile nello spezzarsi di
una forma senziente?”.

Senza dubbio eoni di esperienze, analizzate da una creatura che va
divenendo sempre più intelligente, avrebbero alla fine portato l’uomo
a scoprire che la legge del sacrificio è la legge fondamentale della
vita; ma in questa, come in molte altre cose, egli non fu abbandonato
solo ai suoi propri sforzi. Dei Maestri divini gli furono al fianco
nella sua infanzia, ed Essi proclamarono autorevolmente la legge del
sacrificio, incorporandola in forma elementarissima nelle religioni
con le quali educarono l’intelligenza nascente dell’uomo. Sarebbe
stato inutile pretendere d’un tratto da quelle anime bambine che
cedessero senza ricompensa quelli che sembravano loro gli oggetti
maggiormente desiderabili, gli oggetti dal cui possesso dipendeva la
loro vita nella forma. Bisognava guidare quelle anime lungo una via
che le avesse a poco a poco portate verso le altezze del sacrificio
volontario. A questo fine innanzi tutto venne insegnato loro che esse
non erano delle unità isolate, ma parti di un più grande insieme, e
che le loro vite erano legate ad altre vite così al di sopra come al
di sotto delle loro. Le loro vite fisiche erano alimentate da vite
inferiori, dalla terra, dalle piante, che esse consumavano; così
facendo contraevano un debito che erano tenute a pagare. Vivendo del
sacrificio delle vite di altri, dovevano a loro volta sacrificare
qualche cosa che sostenesse altre vite, erano cioè in obbligo di
nutrire come venivano nutrite: prendendo i frutti prodotti
dall’attività delle entità astrali che guidano la Natura fisica,
dovevano compensare le forze consumate con offerte proporzionate.

Di qui sono sorti tutti i sacrifici fatti a queste forze, come le
chiama la scienza, a queste intelligenze che guidano l’ordine fisico,
come le religioni hanno sempre insegnato. Il fuoco, col disintegrare
rapidamente la materia fisica densa, restituiva prontamente agli eteri
le particelle eteriche delle offerte sacrificali arse; così pure le
particelle astrali erano facilmente rese libere per essere assimilate
dalle entità astrali che avevano da fare con la fertilità della terra
e col crescere delle piante. In tal modo si teneva in movimento la
ruota della produzione e l’uomo imparava che contraeva costantemente
dei debiti con la Natura, debiti che dovevano essere non meno
regolarmente pagati.

Il senso di obbligo fu così instillato ed alimentato nella mente di
lui, finché nel suo pensiero si impresse il dovere che aveva verso la
madre Natura che lo nutriva. È vero che quel senso di obbligo si
connetteva strettamente con l’idea che il pagamento del debito fosse
necessario al suo proprio benessere, e che il desiderio di continuare
a prosperare lo spingeva a quel pagamento. L’uomo non era allora che
un’anima bambina, che stava imparando le sue prime lezioni, e questo
insegnamento della dipendenza reciproca delle vite, fondata sul
reciproco sacrificio, era di capitale importanza per il suo sviluppo.
Egli non poteva ancora sentire la divina gioia del dare; bisognava
vincere innanzi tutto la riluttanza che la forma provava nel cedere
qualunque cosa servisse a nutrirla, ed il sacrificio si identificò con
questa cessione di qualche cosa apprezzata, cessione provocata da un
senso di obbligo e dal desiderio di continuare a prosperare.

Con la lezione successiva la ricompensa del sacrificio fu trasferita
in una regione al di là del mondo fisico. Prima per mezzo di un
sacrificio di beni materiali si dovette assicurare un benessere
materiale; in seguito il sacrificio di beni materiali doveva portare
dei godimenti in cielo, oltre la morte. La ricompensa del sacrificante
era di un genere più elevato, ed egli imparava che gli era possibile
assicurarsi il relativamente permanente per mezzo del sacrificio di
ciò che è relativamente transitorio, lezione questa di grande
importanza guidando alla cognizione discernitiva. L’attaccamento della
forma per gli oggetti fisici veniva sostituito da un attaccamento per
le gioie celesti. In tutte le religioni exoteriche troviamo che a
questo processo educativo si attennero i Sapienti, troppo saggi per
esigere da anime bambine la virtù dell’eroismo senza ricompensa e
paghi, con sublime pazienza, di attirarle a poco a poco su una via
assai scabrosa e piena di spine per la natura inferiore. Gradatamente
gli uomini furono indotti a soggiogare il corpo, a vincerne la
pigrizia con la pratica giornaliera e regolare di riti religiosi,
spesso gravosi per natura, ed a regolarne le attività avviandole in
canali utili; essi furono educati a conquistare la forma e a tenerla
soggetta alla vita e ad abituare il corpo a dedicarsi ad opere di
bontà e di carità, in obbedienza alle domande della mente, quand’anche
questa fosse stimolata soprattutto dal desiderio di godere una
ricompensa in cielo. Fra gli Indù, i Persiani, i Cinesi possiamo
vedere come si insegnasse agli uomini a riconoscere i loro molteplici
obblighi, a rendere i dovuti sacrifici di obbedienza e di riverenza
agli antenati, ai genitori, agli anziani, ad essere caritatevoli con
cortesia, a mostrarsi gentili con tutti.

Lentamente gli uomini furono aiutati ad evolvere l’eroismo ed il
sacrificio fino ad un alto grado, come lo provano i martiri i quali
con gioia abbandonavano il corpo alla tortura ed alla morte piuttosto
che rinnegare la loro fede, o essere spergiuri al loro credo. Essi
miravano invero ad una “corona di gloria” nel cielo, quale ricompensa
al sacrificio della forma fisica; ma era già molto che avessero
dominato l’attaccamento a quella forma fisica e che per essi il mondo
invisibile fosse così reale da superare per importanza quello
visibile.

Un nuovo passo venne fatto quando il senso del dovere fu stabilito
definitivamente, quando il sacrificio dell’inferiore al superiore fu
considerato “giusto” all’infuori di ogni questione di ricompensa da
riceversi in un altro mondo, quando si riconobbe l’obbligo che
ciascuna parte ha verso il tutto e la necessità che ogni forma,
esistente per mezzo dei servigi di altre forme, serva a sua volta
senza pretendere di fissare una rimunerazione. Allora l’uomo cominciò
a percepire la legge del sacrificio come la legge della vita e ad
associarsi volontariamente ad essa; cominciò pure ad imparare a
disgiungersi in pensiero dalla forma in cui dimorava e ad
identificarsi con la vita in evoluzione. Questo lo portò gradatamente
a sentire una certa indifferenza per tutte le attività della forma, a
meno che queste consistessero in “doveri da compiere” ed a
considerarle tutte come semplici canali per le attività vitali che
erano dovute al mondo e non come attività da lui esercitate per
qualsiasi desiderio dei loro risultati. Egli raggiunse così il punto
già notato in cui cessò la produzione di un karma che lo attirava
verso i tre mondi e continuò a vivere perché doveva vivere e non
perché la vita gli avesse da portare qualche oggetto desiderato.

Il pieno riconoscimento della legge del sacrificio solleva l’uomo al
di sopra del piano mentale (dove il dovere si riconosce come dovere,
come “ciò che va fatto perché si deve fare”), lo solleva a quel più
alto piano di Buddhi nel quale ciascun sé si sente uno con tutti gli
altri sé, e dove tutte le attività sono estrinsecate ad uso di tutti e
non per il beneficio di un sé separato. Solo in quel piano la legge
del sacrificio vien sentita come un felice privilegio, invece di
essere soltanto riconosciuta intellettualmente come vera e giusta.
Nel piano buddhico l’uomo vede chiaramente che la vita è una, che essa
scorre perpetuamente come la libera effusione dell’amore del Logos, e
che quella vita la quale si mantiene separata è cosa veramente
meschina e ingrata. Là il cuore si solleva verso il Logos in un unico
e potente impeto di amore e di adorazione, e si offre col più giocondo
abbandono per divenire un canale della Sua vita e del Suo amore per il
mondo. Essere apportatore della Sua luce, messaggero della Sua
compassione, lavoratore nel Suo regno… ecco la sola vita che appaia
degna di essere vissuta; affrettare l’evoluzione umana, servire la
Buona Legge, sollevare parte del gravoso fardello del mondo… ecco
ciò che appare la vera gioia del Logos medesimo.
Da questo piano solamente l’uomo può agire come uno dei Salvatori del
mondo, perché in esso egli è uno con i sé di tutti. Identificato con
l’umanità nel punto in cui questa è una, la sua forza, il suo amore,
la sua vita possono discendere in ogni e qualunque sé separato. Egli è
diventato una forza spirituale, e l’energia spirituale utile del
sistema del mondo viene aumentata dall’affluirvi della sua vita. Le
forze che era solito impiegare nei piani fisico, astrale e mentale
alla ricerca di cose per il suo sé separato, sono ora tutte raccolte
in un unico atto di sacrificio, e trasmutate da questo in energia
spirituale si riversano sul mondo come vita spirituale.

Questa trasmutazione si opera per mezzo del movente che determina il
piano in cui l’energia viene esplicata. Se il movente dell’uomo è
l’acquisto di oggetti fisici, l’energia sviluppata agisce solo nel
piano fisico; se desidera degli oggetti astrali, sviluppa dell’energia
nel piano astrale; se cerca dei godimenti mentali, la sua energia
funziona nel piano mentale; ma se si sacrifica ad essere un canale del
Logos, rende libera dell’energia nel piano spirituale, la quale lavora
dappertutto con la potenza e la delicatezza di una forza spirituale,
Per un tal uomo azione ed inazione sono la stessa cosa; poiché egli fa
tutto non facendo nulla, e non fa nulla pur facendo qualche cosa. Alto
o basso, grande o piccolo, per lui sono uguali; egli occupa qualunque
posto che abbia bisogno di essere occupato, e riconosce il Logos in
ogni luogo ed in ogni azione. Egli può entrare in qualsiasi forma, può
seguire qualsiasi linea di lavoro, non sa più che cosa sia scelta o
differenza; col sacrificio la sua vita è divenuta una con la vita del
Logos; egli vede Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio. Qual
differenza possono allora presentare a lui il luogo e la forma? Egli
non si identifica più con la forma, ma è Vita autocosciente. “Non
avendo nulla, egli possiede ogni cosa”; non domandando nulla, tutte le
cose affluiscono a lui. La sua vita è beatitudine, poiché egli è uno
col suo Signore, il quale è Beatitudine; e facendo uso della forma e
per servire senza sentirsi attaccato “ha posto fine al dolore”.

Coloro che riescono a percepire alcunché delle meravigliose
possibilità che si schiudono dinanzi a chi si associa volontariamente
alla legge del sacrificio, vorranno cominciare tale associazione
volontaria molto tempo prima che sia loro possibile elevarsi alle
altezze qui debolmente descritte. A somiglianza di altre profonde
verità spirituali, essa è eminentemente pratica nella sua applicazione
alla vita giornaliera, e nessuno che ne senta la bellezza, esiterà a
cominciare a lavorare con essa. Allorché si deciderà a cominciare la
pratica del sacrificio, l’uomo si abituerà ad aprire la sua giornata,
prima di por mano al lavoro quotidiano, con un atto di sacrificio, con
l’offerta di se stesso a Colui al quale dona la sua vita; il suo primo
pensiero, destandosi, sarà questa dedizione di tutte le sue forze, al
suo Signore. Indi ogni pensiero, ogni parola, ogni azione della sua
giornata saranno fatti non come un sacrificio per i risultati, e
neppure come un dovere, ma come il miglior modo nel quale si può per
il momento servire il Signore. Tutto ciò che accade sarà accolto quale
espressione della Sua volontà: gioia, dolori, ansietà, successi,
insuccessi, tutto sarà a Lui ben accetto come quello che gli delinea
la sua via di servizio; riceverà ogni cosa serenamente, quale si
presenta, offrendola come sacrificio; perderà ogni cosa con la stessa
serenità, persuaso che quella perdita dimostra che il suo Signore non
ha più bisogno della cosa. Adoprerà con gioia tutte le sue facoltà per
servire; e quando gli verranno a mancare, egli ne accetterà la
mancanza con lieta equanimità, pensando che non può darle perché non
sono più di alcuna utilità.

Anche le sofferenze che derivano da cause passate non ancora esaurite,
possono essere mutate in un sacrificio volontario facendo loro una
grata accoglienza; divenendo padrone di quelle sofferenze col volerle,
l’uomo può offrirle come dono e trasmutarle così in una forza
spirituale. Ogni vita umana presenta innumerevoli opportunità di
praticare la legge del sacrificio e diviene una forza se quelle
opportunità si sanno afferrare ed utilizzare. Senza alcuna espansione
della coscienza di veglia, l’uomo può così diventare un lavoratore nei
piani spirituali, mettendovi in libertà un’energia che si riversa poi
sui mondi inferiori. La dedizione di sé fatta quaggiù nella coscienza
inferiore, imprigionata come essa è nel corpo, suscita delle
vibrazioni corrispondenti di vita nell’aspetto buddhico della Monade
che è il suo vero Sé, ed affretta il tempo in cui quella Monade
diventerà l’Ego spirituale il quale agisce di moto proprio e governa
tutti i suoi veicoli, servendosi dell’uno o dell’altro a seconda del
lavoro da compiere. In nessun modo è possibile progredire così
rapidamente e chiamare con tanta sollecitudine alla manifestazione i
poteri latenti della Monade, come con la comprensione e la pratica
della legge del sacrificio; perciò essa fu chiamata da una Maestro:
“La legge di evoluzione per l’uomo”.

Questa legge ha invero altri aspetti più profondi e più mistici di
quelli accennati in queste pagine; ma essi si riveleranno da soli,
senza parole, al cuore paziente ed amoroso la cui vita è tutta
un’offerta di sacrificio. Vi sono cose che si odono solo nella calma,
vi sono insegnamenti che possono esser palesati soltanto dalla “voce
del Silenzio” Fra questi stanno le più profonde verità che hanno
radice nella legge del sacrificio.

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