Sapienza Antica 6

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Sapienza Antica 6

di Annie Besant

COMPENDIO DEGLI INSEGNAMENTI TEOSOFICI

DEDICATO
CON GRATITUDINE RIVERENZA ED AMORE
A
H. P. BLAVATSKY
CHE MI MOSTRÒ LA LUCE

Parte sesta

CAP. V

DEVACHAN
Devachan è il termine teosofico che corrisponde a cielo, e tradotto
letteralmente significa la Terra risplendente, la Terra degli Dei 1. È
una parte specialmente riservata del piano mentale, dalla quale sono
esclusi il dolore ed il male per opera delle grandi Intelligenze
spirituali che presiedono all’evoluzione umana; in essa hanno dimora
gli esseri umani che si sono spogliati dei corpi fisico e astrale e
che hanno terminato il loro soggiorno in Karmaloca. La vita devacianica
consta di due periodi, il primo dei quali viene passato nelle quattro
suddivisioni inferiori del piano mentale, dove il Pensatore, ancora
rivestito e limitato dal corpo mentale, è occupato ad assimilare i
materiali raccolti durante l’ultima vita terrena; il secondo è passato
nel mondo senza forma, dove il Pensatore, abbandonato anche il corpo
mentale, vive della sua propria vita, liberamente e nella piena misura
della coscienza di sé e della cognizione che ha conquistato.

La durata totale del soggiorno in Devachan dipende dalla somma dei
materiali per la vita devacianica che l’anima ha portato con sé dalla
sua vita fisica. La raccolta dei frutti utili a consumarsi ed
assimilarsi in Devachan consiste di tutte le emozioni e di tutti i
pensieri puri, generati durante la vita terrena, di tutte le
aspirazioni e di tutti gli sforzi intellettuali e morali, di tutti i
ricordi di lavori e di disegni utili al servizio dell’umanità, di ogni
cosa cioè che possa essere elaborata in facoltà mentali e morali, e
che giova perciò all’evoluzione dell’anima.
Nulla va perduto, per quanto sia stato debole e fugace; ma le passioni
egoistiche animali non trovano luogo in Devachan, perché ivi mancano i
materiali che ne permettono l’espressione. Né tutto il male
dell’ultima vita, per quanto abbia potuto prevalere in larga misura
sul bene, impedisce all’anima di raccogliere in cielo tutta quella
scarsa mésse alla quale può aver diritto; anche il più depravato fra
gli uomini, se ebbe sulla terra qualche debole aspirazione al bene,
qualche slancio di tenerezza o di pietà, deve fruire di un periodo di
vita devacianica, sia pur molto breve, ove il germe del bene possa
dispiegare i suoi teneri germogli, ove la favilla del bene possa
suscitare una debole fiamma.

Nei tempi passati, quando gli uomini avevano i cuori rivolti
principalmente al cielo e subordinavano tutti gli atti della vita allo
scopo di goderne le beatitudini, la durata del Devachan era
lunghissima, tanto da raggiungere talvolta molte migliaia d’anni;
oggidì che le menti degli uomini si trovano molto più legate alla
terra e così pochi pensieri relativamente volgono verso la vita
superiore, i loro periodi devacianici sono accorciati in proporzione.
Similmente il tempo trascorso nelle regioni superiori ed inferiori del
piano mentale 1 è proporzionato in maniera rispettiva alla somma di
pensieri generati separatamente nel corpo causale e in quello mentale;
tutti i pensieri appartenenti al sé personale, all’ultima vita terrena
con le sue ambizioni, i suoi amori, le sue speranze, i suoi timori,
fruiscono in quella parte del Devachan nella quale esistono le forme,
mentre tutti i pensieri propri della mentalità superiore,
dell’astrazione e del pensiero impersonale, sono elaborati nella
regione celeste senza forma. La maggior parte delle anime si affaccia
solamente a quest’alta regione per uscirne tosto; alcune vi passano
una larga porzione della loro esistenza devacianica; poche vi restano
pressoché tutto il tempo della loro dimora nel cielo.

Prima di entrare in particolari, cerchiamo di afferrare alcune delle
idee principali che governano la vita devacianica, poiché questa vita
è tanto diversa dalla fisica e così singolare, che qualsiasi
descrizione può con molta facilità darne un concetto errato. L’uomo
capisce così poco della sua vita mentale, anche di quella che vive nel
corpo fisico, che quando gli si descrive la vita mentale fuori del
corpo, smarrisce ogni senso di realtà e si sente come trasportato in
un mondo di sogni.

La prima cosa che bisogna ben comprendere è che la vita mentale è
molto più intensa, più vivida e più vicina alla realtà che non la vita
dei sensi. Ciò che noi vediamo, tocchiamo, udiamo, gustiamo e
maneggiamo quaggiù, paragonato a tutto quello con cui veniamo a
contatto nel Devachan, è due volte più lontano dalla realtà; neppure
là noi vediamo le cose quali sono, ma quaggiù le vediamo ravvolte con
due veli d’illusione di più. Il senso della realtà che noi abbiamo
sulla terra è una completa illusione: nulla sappiamo, sia delle cose,
sia delle persone, quali sono: tutto ciò che sappiamo di esse sono le
impressioni che producono sui nostri sensi e le conclusioni spesso
erronee, che la nostra ragione deduce dall’insieme di codeste
impressioni.

Mettete una accanto all’altra le opinioni che di un uomo hanno suo
padre, il suo più intimo amico, la fanciulla che l’adora, un suo
rivale negli affari, un suo nemico mortale e una conoscenza casuale, e
vedrete quanto disparate sono fra loro: ciascuno può dare solo le
impressioni ricevute dalla propria mente e, purtroppo, esse sono assai
lontane da quello che l’uomo realmente è, quando sia visto con gli
occhi che penetrano tutti i veli e che lo contemplano tutto intero. Di
ognuno dei nostri amici conosciamo le impressioni che essi fanno
1 Tecnicamente chiamate Devachan Arûpa e Devachan Rûpa, esistenti sui
livelli arûpa e rupa del piano mentale.
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su noi, e queste sono strettamente limitate dalla nostra capacità
ricettiva; per esempio, un fanciullo può avere per padre un grande
uomo di Stato di alti propositi e di obbiettivi grandiosi, ma, per
quel fanciullo colui che guida i destini di una nazione è
semplicemente il suo più allegro compagno di giuoco ed il più
affascinante narratore di storielle. Noi viviamo in mezzo ad
illusioni, ma abbiamo un sentimento di realtà, e questo ci accontenta.
Anche nel Devachan, sebbene due volte più vicini alla realtà, saremo
pure circondati da illusioni, ed anche là proveremo un consimile
sentimento di realtà del quale saremo soddisfatti.

Quantunque nei cicli inferiori il contatto sia più reale e più
immediato, pure non si sfugge interamente alle illusioni terrene per
quanto sminuite; poiché non bisogna mai dimenticare che quei cieli
sono parte di un grande ordine di evoluzione, e finché l’uomo non ha
trovato il Sé reale, la sua stessa irrealtà lo rende soggetto alle
illusioni. Quello però che produce il senso di realtà della vita
terrena e quello di irrealtà quando si studia il Devachan, sta in ciò:
che alla vita terrena guardiamo dall’interno, sotto il pieno dominio
delle sue illusioni, mentre contempliamo la vita del Devachan dal di
fuori, liberi per il momento dal suo velo di mayâ. In Devachan il
processo è invertito, ed i suoi abitanti sentono che la loro è la vita
reale e considerano la vita della terra come tutta piena di malintesi
e di illusioni le più potenti. Nell’insieme essi sono più vicini alla
verità che non i critici i quali dalla terra giudicano del mondo
celeste.

Il Pensatore poi, rivestito soltanto del corpo mentale e nel libero
esercizio dei suoi poteri, manifesta la natura creatrice di codesti
poteri in una maniera e in una misura che ci è ben difficile intendere
quaggiù. Sulla terra il pittore, lo scultore, il musicista fanno sogni
di squisita bellezza, creando le loro visioni per mezzo delle facoltà
della mente; ma quando cercano di tradurle nei rozzi materiali
terreni, si accorgono quanto questi siano insufficienti per quelle
creazioni mentali. Il marmo è troppo resistente per una forma
perfetta, i colori troppo sporchi per dar tinte squisite.

In cielo ogni pensiero assume subito una forma, perché la materia rada
e sottile di quel mondo è sostanza mentale, è il mezzo nel quale la
mente lavora normalmente quando è libera da passioni e si plasma sotto
ogni impulso mentale. Così è che ogni uomo crea, nello stretto senso
della parola, il suo proprio cielo di cui la bellezza è accresciuta in
maniera indefinita dalla ricchezza e dall’energia della sua mente
medesima. A misura che l’anima sviluppa le sue facoltà, il suo cielo
si fa più etereo e delizioso: nel cielo tutte le limitazioni sono
creazioni individuali, e il cielo si allarga e diventa profondo, man
mano che l’anima diventa più grande e più profonda. Fintanto che
l’anima è debole ed egoista, piccola e male sviluppata, il suo cielo
riflette queste sue meschine qualità, che sono pur sempre quanto di
meglio si ritrova in essa.

Man mano che l’uomo si sviluppa, le sue vite devacianiche si fanno più
piene, più ricche e sempre più reali; le anime elevate vengono in
contatto sempre più stretto fra loro, godendo di rapporti più larghi e
profondi.
Ad una vita terrena mentalmente e moralmente vuota, debole, insipida,
meschina, corrisponde una vita vuota, debole, insipida e meschina in
Devachan, dove sopravvivono soltanto il mentale e il morale. Noi non
possiamo avere più di quello che siamo, e la nostra messe è in
proporzione di quello che abbiamo seminato. “Non v’illudete; Iddio non
può essere ingannato, perché ciò che l’uomo semina [né più, né meno] raccoglie”. La nostra indolenza e la nostra avidità raccoglierebbero
volentieri dove non abbiamo seminato, ma in questo universo di leggi,
la Buona Legge, misericordiosamente giusta, dà a ciascuno la
ricompensa esatta spettante al suo lavoro.

Le impressioni o immagini mentali che ci facciamo dei nostri amici
quaggiù, ci seguiranno nel Devachan: ogni anima si vedrà attorno
quelli che amò in vita; tutte le immagini delle persone dilette che
vivono scolpite nel cuore diventano altrettante compagne viventi nel
cielo. E ciò senza variazione alcuna: quei nostri diletti saranno per
noi là quello che per noi erano qui sulla terra, e non altrimenti. Le
sembianze esterne di un amico, quali ci apparvero per mezzo dei sensi,
vengono da noi modellate in Devachan a causa della facoltà creatrice
della mente nella materia mentale; ciò che qui era una immagine
mentale, è là (ed invero lo è anche qui, sebbene a nostra insaputa)
una forma oggettiva visibile di vivente materia mentale che dimora
nell’ambito della nostra atmosfera mentale: solo ciò che qui è vago e
scolorito, là diventa fortemente vivido e animato.

E la vera comunione, quella da anima ad anima? È intima, vicina, cara
più di quanto noi possiamo avere sulla terra, perché, come abbiamo
visto, nel piano mentale non vi sono barriere che dividono un’anima da
un’altra; la realtà della comunione delle anime in cielo è esattamente
proporzionata alla realtà della vita dell’anima in noi; l’immagine
mentale che ci facciamo di un amico è nostra creazione; la sua forma è
quale la conoscemmo e l’amammo sulla terra; e l’anima sua respira e
passa attraverso quella forma fino a noi, precisamente nella misura in
cui l’anima sua e la nostra sono capaci di mettersi in vibrazione
simpatica.

Non possiamo, tuttavia, avere contatto con quelli che conoscemmo sulla
terra se fummo uniti con essi solo da legami fisici o astrali, ovvero
se vi fu disaccordo di vita interiore; perciò nel nostro Devachan non
possono entrare nemici, poiché solo un accordo simpatico delle menti e
dei cuori può mettere insieme gli uomini nel cielo. Distacco di cuore
e di mente significa separazione nella vita celeste, perché tutto
quello che è al di sotto del cuore e della mente non può trovare
espressione lassù.
Con quelli che sono molto più avanti di noi nell’evoluzione noi
veniamo in contatto esattamente sino a quel punto in cui cessa la
nostra facoltà di rispondere loro; una grandissima parte del loro
essere si estenderà al di là della nostra portata, ma tutto quanto di
essi noi possiamo toccare, è nostro. Inoltre questi grandi, sotto
certe condizioni che studieremo tra breve, possono darci, e ci danno
di fatto, aiuto nella vita celeste così da poterci avvicinare sempre
più a loro per averne ognora benefici maggiori. Non vi è quindi nel
Devachan separazione di spazio e di tempo, ma vi è separazione per
assenza di simpatia e per mancanza di accordo fra i cuori e le menti.

In cielo dunque noi ci troviamo con tutti coloro che amiamo e
ammiriamo e comunichiamo con essi nei limiti della nostra capacità, o,
se siamo più avanzati di essi, della loro. Li incontriamo nelle forme
che amammo sulla terra, col perfetto ricordo delle nostre relazioni
terrene, perché il cielo è veramente la fioritura di tutti i germogli
terreni ed i miseri e deboli amori di quaggiù vi si espandono in
bellezza ed in potenza. E poiché la comunione tra le anime è diretta,
non sono possibili malintesi di parole o di pensiero: ognuno vede i
pensieri creati dai suoi cari, o per lo meno li vede nella misura
della propria capacità.

Il Devachan, il mondo celeste, è un mondo di beatitudine, di gioia
indicibile. Ma è molto più di ciò, molto più di un luogo di riposo per
gli affaticati. Nel Devachan tutto quanto vi ha di prezioso nelle
esperienze mentali e morali raccolte dal Pensatore durante la vita
terrena, è gradatamente meditato ed elaborato fino a trasmutarsi in
facoltà mentali e morali definite, in poteri che esso porterà seco
nella prossima incarnazione. La memoria reale del passato non viene
intessuta nel corpo mentale, perché questo a suo tempo si
disintegrerà; il Pensatore stesso ne è il ricettacolo, come quello che
attraverso quel corpo mentale ha vissuto e che dura per sempre. Ma
questi fatti di esperienze passate vengono elaborati in capacità
mentali, in modo che, se un uomo ha studiato profondamente un
soggetto, gli effetti di codesto studio consisteranno nella creazione
di una facoltà speciale per afferrare e padroneggiare quel soggetto
quando gli si presenterà in un’altra incarnazione; egli rinascerà con
un’attitudine speciale per quella linea di studio e sarà in grado di
riprenderla con grande facilità.
In questa maniera ogni cosa sulla quale si riflette sulla terra è
utilizzata in Devachan; ogni aspirazione è trasformata in potere; ogni
sforzo frustrato diventa facoltà e abilità; lotte e sconfitte
ricompaiono come materiali per costruirne strumenti di vittoria;
dolori ed errori risplendono come metalli preziosi adatti ad esser
cambiati in volizioni sapienti e ben dirette. Disegni di beneficenza
che non si poterono compiere in passato per mancanza di potere e di
abilità, sono elaborati e, per così dire, messi in atto a grado a
grado in Devachan, dove il potere e l’abilità occorrenti sono
sviluppati come facoltà di cui la mente farà uso in una vita futura
sulla terra quando lo studioso abile e zelante rinascerà un genio,
quando il devoto rinascerà un santo. In Devachan dunque la vita non è
puro sogno, esso non è un sito di ozi senza scopo: il luogo in cui la
mente ed il cuore, liberi dagli ostacoli di una materia grossolana e
da cure piccine, si sviluppano fornendosi di nuove armi per le aspre
battaglie terrene e dove viene assicurato il progresso avvenire.

Quando il Pensatore ha consumato nel corpo mentale tutti i frutti
della vita terrena che ad esso appartengono, lascia anche questo
corpo, e libero da ogni gravame dimora nella sua vera casa. Tutte le
facoltà mentali che si esprimono nei livelli inferiori, sono ritirate
nell’interno del corpo causale, insieme coi germi della vita
passionale che furono attratti entro il corpo mentale, quando lasciò
l’involucro astrale a disintegrarsi in Karmaloca, e diventano
temporaneamente latenti entro il corpo causale, quali forze che
rimangono nascoste per mancanza di materiali in cui manifestarsi

Il corpo mentale, l’ultima delle vesti temporanee dell’uomo vero, si
disintegra, e i suoi materiali ritornano alla materia generale del
piano mentale dal quale furono presi quando il Pensatore discese sulla
terra nell’ultima sua incarnazione. In tal maniera sopravvive il solo
corpo causale, il ricettacolo, l’arca di tutto ciò che è stato
assimilato dall’ultima vita. Il Pensatore ha finito un giro del suo
lungo pellegrinaggio e dimora per un certo tempo nella sua patria.

Le sue condizioni di coscienza dipendono interamente dal grado di
evoluzione raggiunto. Nei primi stadi del suo sviluppo, dopo aver
perduto i suoi veicoli nei piani inferiori, egli semplicemente dormirà
di un sonno incosciente: la vita pulserà debolmente dentro di lui
assimilando quei pochi frutti dell’esistenza terrena che possono
entrare a far parte della sua sostanza; ma non avrà coscienza del suo
ambiente. Però man mano che progredisce nell’evoluzione, questo
periodo della sua vita diventa sempre più importante ed ha una
proporzione sempre più grande nella sua esistenza devacianica. Egli
diventa autocosciente, e di conseguenza cosciente dell’ambiente (del
non-sé), e la sua memoria spiega dinanzi a lui il panorama della sua
vita, panorama che si estende indietro nelle età passate. Vede così le
cause che hanno prodotto i loro effetti nelle esperienze dell’ultima
sua vita e studia le cause che in tale esistenza ha messo in
movimento: assimila ed intesse nel corpo causale tutto quanto vi fu

Lo studioso può trovare qui un utile suggerimento circa il problema
della continuità della coscienza dopo che l’universo ha compiuto il
suo ciclo. Ponga Ishvara al posto del Pensatore, e consideri le
facoltà che sono i frutti di una vita, come le vite umane che sono i
frutti di un Universo. Egli potrà così formarsi un’idea di ciò che è
necessario alla coscienza durante l’intervallo tra gli universi di più
nobile e di più elevato in quella vita, e sviluppa e coordina con la
sua attività interna quei materiali nel suo corpo causale. Viene in
contatto diretto con anime grandi, siano queste in quel momento
incarnate o meno, e gode nel comunicare con esse imparando dalla loro
più matura sapienza e dalla loro più lunga esperienza.

Ogni vita devacianica successiva è più ricca e più profonda; con
l’espandersi della sua capacità di ricevere, la cognizione affluisce
in lui con maggiore pienezza; impara sempre più a comprendere i modi
di procedere della legge e le condizioni del progresso evolutivo, e
così ritorna alla vita terrena ogni volta provvisto di maggior sapere,
di più efficaci poteri, di una visione più chiara dello scopo della
vita e della via da percorrere per raggiungerlo.

Per ogni Pensatore, per quanto non progredito, quando è sul punto di
far ritorno alla vita dei mondi inferiori vi è un momento di chiara
visione. Per un istante egli vede il suo passato e le cause ivi
generate e che si esplicheranno nel futuro, mentre gli si rivelano
anche le linee generali della prossima incarnazione. Poi le nubi della
materia inferiore si addensano su di lui e la visione si oscura; il
ciclo di un’altra esistenza incomincia col risvegliarsi dei poteri
della mente inferiore, i quali con le loro vibrazioni si attirano
intorno dei materiali del piano mentale inferiore per formare il nuovo
corpo mentale occorrente in questo primo capitolo della storia della
nuova vita. Ma questa parte del nostro soggetto sarà svolta nei suoi
particolari quando tratteremo della Reincarnazione.
Lasciammo l’anima addormentata 1 dopo aver abbandonato gli ultimi
avanzi del suo corpo astrale e pronta a passare dal Karmaloca al
Devachan, dal purgatorio al cielo. Essa si sveglia a un senso di gioia
indicibile, di beatitudine sconfinata, di pace che sorpassa ogni
intendimento: le melodie più soavi le risuonano intorno, le tinte più
delicate rallegrano il suo occhio che si apre; tutto l’ambiente si
direbbe musica e colore, tutto l’essere è suffuso di luce e di
armonia. Poi in mezzo a quella luce d’oro appaiono le sembianze degli
esseri amati sulla terra, etereizzate, per così dire, nella bellezza
che esprime le loro più nobili e più gentili emozioni, non sfigurate
dagli affanni e dalle passioni dei mondi inferiori. Chi può dire la
beatitudine di quel risveglio, la gloria di quel primo albeggiare del
mondo celeste?
Ora studieremo nei particolari le condizioni delle sette suddivisioni
del Devachan, ricordandoci che nelle quattro inferiori noi ci troviamo
in un mondo di forme in cui, tra l’altro, ogni pensiero si presenta
subito come una forma. Questo mondo di forme appartiene alla
personalità, e ogni anima è per conseguenza circondata da tanta parte
della sua vita passata, quanta ne è entrata nella sua mente e può
essere espressa in materia mentale pura.

La prima regione, ossia l’inferiore, è il cielo delle anime
progredite, di cui la più elevata emozione sulla terra fu quella di un
amore ristretto, sincero e talvolta disinteressato per la famiglia e
per gli amici; oppure di quelle anime che possono aver sentito
un’affettuosa ammirazione per qualcuno da esse incontrato sulla terra
e che era più puro e più buono di loro, od anche provarono qualche
desiderio di condurre un’esistenza più elevata ed ebbero qualche
aspirazione passeggera per un maggiore sviluppo mentale e morale. In
questi casi non è molto il materiale col quale possono essere
elaborate delle facoltà, e vite simili non portano che a lievissimi
progressi; gli affetti di famiglia si rafforzeranno e un poco si
allargheranno, di modo che quelle anime rinasceranno con una natura
emozionale alquanto arricchita e con una maggior tendenza a
riconoscere e a rispondere a un ideale più alto. Frattanto esse godono
tutta la felicità che possono ricevere; la loro coppa è ben piccola,
ma è piena fino all’orlo di beatitudine ed esse godono tutto quanto
sono capaci di immaginare come cielo. La purezza e l’armonia della
regione celeste agiscono sulle poco evolute facoltà loro stimolandole
all’attività, e da quel momento cominciano i movimenti interni che
devono precedere ogni manifestazione di sviluppo.
Nella seconda divisione della vita celeste si trovano persone di ogni
fede religiosa, che ebbero sulla terra una devozione amorosa per Dio
sotto ogni forma e sotto ogni nome. La forma vagheggiata potrà essere
stata ristretta, ma i loro cuori aspirarono all’alto e qui trovano
l’oggetto della loro venerazione: l’idea della divinità che si erano
fatta nella loro mente sulla terra, se la vedranno dinanzi in cielo
nella gloria raggiante della materia devacianica, più bella, più
sublime di quanto non abbiano mai ardito sognarla.
Il Divino Uno limita Se stesso per adattarsi alle limitazioni
intellettuali del suo adoratore; e sotto qualsiasi forma questi
l’abbia adorato, in quella stessa forma Egli si rivela ai suoi occhi
anelanti e versa su di lui di rimando la dolcezza del suo amore.
Codeste anime sono immerse in estasi religiosa, adorando l’Uno sotto
la forma vagheggiata dalla loro pietà sulla terra, perdute in devoti
rapimenti e in comunione con l’Oggetto della loro venerazione. Nessuna
di queste anime si sente straniera nelle regioni celesti, perché la
Divinità si vela nella forma familiare; sotto l’influsso benefico di
una tale comunione esse crescono in purezza e devozione, in modo da
ritornare sulla terra con tali qualità assai più forti. Né tutta la
loro vita celeste trascorre in questa estasi devota, perché ogni altra
dote di mente o di cuore da esse posseduta ha infinite opportunità di
maturarsi.

Salendo alla terza regione giungiamo a quegli esseri nobili e zelanti
che sulla terra furono servi devoti dell’umanità e largamente
dimostrarono l’amore verso Dio lavorando a vantaggio dei loro simili.
Essi raccolgono qui la ricompensa delle buone azioni compiute, con
l’accrescimento dei loro benefici poteri e della sapienza
nell’adoperarli. Progetti di una più ampia beneficenza si svolgono nel
pensiero del filantropo, che, simile a un architetto, disegna
l’edificio futuro che costruirà in una prossima vita sulla terra; egli
matura i piani che allora porrà in azione e, come un Dio creatore,
concepisce anticipatamente un mondo di benevolenza, che si manifesterà
nella materia densa quando ne sarà giunto il tempo opportuno. Codeste
anime appariranno quali grandi filantropi dei secoli venturi, che si
incarneranno sulla terra con doti innate di amore disinteressato e di
potenza realizzatrice.

Il cielo che presenta il carattere più vario di tutti è forse il
quarto, perché qui si esercitano i poteri delle anime più avanzate,
per quanto questi possono essere espressi nel mondo delle forme. In
questa regione si incontrano i sovrani dell’arte e della letteratura,
che vi esercitano tutti i loro poteri di forma, di colore e di
armonia, così da rinascere sulla terra con poteri sempre maggiori. La
musica più nobile, quella che rapisce al di là di ogni descrizione,
emana dai più potenti sovrani dell’armonia che la terra ha conosciuto:
Beethoven, per esempio, non più sordo, espande tutta la sua anima
sovrana in accordi di bellezza incomparabile, rendendo più melodioso
perfino il mondo celeste con le sublimi armonie che trae da più alte
sfere e che fa echeggiare per i cieli. Qui insieme con i maestri della
pittura e della scultura che imparano nuove tinte di colore e nuove
linee di bellezza mai sognata, incontriamo pure quelli che non
riuscirono nelle loro grandi aspirazioni e che stanno trasmutando i
desideri in poteri, i sogni in facoltà, poteri e facoltà di cui
saranno in possesso in un’altra vita.
Gli studiosi della Natura in questo quarto cielo stanno apprendendo i
segreti che essa nasconde: innanzi ai loro occhi si svolgono sistemi
di mondi con tutti i loro occulti meccanismi tanto complessi e tanto
delicati da non potersi immaginare. Essi ritorneranno sulla terra come
autori di grandi scoperte, con infallibili intuizioni delle vie
misteriose della Natura. In questo ciclo risiedono anche alcuni
studiosi di dottrine più profonde, gli allievi riverenti e zelanti che
cercarono i Maestri della Razza, che desiderarono di trovarne uno, e
pazientemente immedesimarono gli insegnamenti di qualcuno dei grandi
Maestri che istruirono l’umanità. Codesti allievi realizzano qui le
loro aspirazioni. Coloro di cui fecero ricerca, apparentemente invano,
sono ora i loro istruttori; le loro anime assorbono avidamente la
sapienza celeste, ed accelerano il loro sviluppo e il loro progresso
tenendosi ai piedi dei loro Maestri. Essi torneranno sulla terra come
maestri e apportatori di luce, nascendo col suggello innato dell’alto
ufficio cui sono stati chiamati.

Più di uno studioso di quaggiù, benché affatto ignaro di queste
sottili funzioni, si sta preparando un posto in questo quarto ciclo
quando si china con vera devozione sugli scritti di qualche genio,
sugli insegnamenti di qualche anima avanzata. Egli va formando un
legame fra sé e il maestro che venera ed ama, e nel mondo celeste si
affermerà un tal vincolo ponendo in comunicazione le anime che ha
unite. Nello stesso modo che il sole penetra coi suoi raggi in molte
stanze diverse e ogni stanza riceve tanti raggi quanti ne può
contenere, così nel mondo celeste le anime grandi risplendono in
migliaia di immagini mentali create dai loro discepoli riempiendole di
vita e della loro stessa essenza, per modo che ogni studioso ha il suo
maestro che lo istruisce senza che ad altri venga a mancare quello
stesso aiuto.
In tal modo gli uomini dimorano in questi mondi celesti della forma
per periodi di tempo lunghi in proporzione del materiale raccolto
sulla terra, e durante codesta loro permanenza tutto quanto di buono
hanno radunato nell’ ultima vita personale trova la sua piena
realizzazione, la sua piena elaborazione fino nei più minuti
particolari. Quando poi, come abbiamo veduto, ogni cosa è esaurita,
quando l’ultima goccia della coppa della gioia è stata vuotata e
consumata l’ultima briciola del banchetto celeste, tutto quello che è
stato trasformato in facoltà e che è di valore permanente vien
ritirato nel corpo causale, e il Pensatore abbandona alla
disgregazione quel corpo mentale che gli ha servito di strumento nei
livelli inferiori di Devachan. Libero da quel corpo, egli si trova
allora nel suo proprio mondo per assimilare quella parte del suo
raccolto, che può trovare materiale conveniente in quell’alta regione.

Un grandissimo numero di anime giunge solo per un momento a toccare il
livello più basso del mondo senza forma, rifugiandovisi brevemente
dopo che tutti i veicoli inferiori sono stati abbandonati. Ma esse
sono in uno stato così embrionale da non avere nessun potere attivo
che possa funzionarvi indipendentemente, e perciò diventano del tutto
incoscienti non appena il corpo mentale si disgrega. Poi, per un
momento, tali anime ridiventano coscienti, un lampo di memoria
illumina il loro passato ed esse ne vedono le cause feconde; un lampo
premonitore illumina pure il loro futuro, permettendo loro di scorgere
gli effetti che da quelle cause emaneranno nella prossima vita. E
questo è quanto moltissimi possono per ora sperimentare del mondo
senza forma; perché anche qui, come sempre, la messe è proporzionata
alla semina; e come potrebbe chi non ha seminato nulla per quell’alta
regione aspettarsi di raccogliervi qualche frutto?

Molte anime però durante la vita terrena, pensando profondamente e
vivendo nobilmente, hanno gettato molti semi, il cui frutto appartiene
alla quinta regione del Devachan, il più basso dei tre cieli che
compongono il mondo senza forma. Grande è ora la loro ricompensa per
aver saputo così varcare i limiti della carne e delle passioni, ed
esse cominciano a sperimentare la vita reale dell’uomo, l’esistenza
sublime dell’anima stessa, libera da vesti che appartengono ai mondi
inferiori. Esse apprendono le verità con la visione diretta e vedono
le cause fondamentali delle quali tutti gli oggetti concreti sono i
risultati; studiano le unità nascoste delle cose, la cui presenza è
occultata nei mondi inferiori dalla varietà di particolari senza
importanza. In tal maniera esse acquisiscono una profonda cognizione
della legge e imparano a riconoscerne gli immutabili processi sotto i
risultati in apparenza più incongrui, intessendo così nel corpo
imperituro convinzioni ferme, incrollabili, che si riveleranno nella
vita terrena come profonde certezze intuitive dell’anima, al di sopra
e al di là di ogni ragionamento. È pure in questa regione che l’uomo
studia il suo passato ed accuratamente discerne le cause che ha messo
in movimento; egli ne nota l’azione reciproca e le risultanti che ne
derivano, e vede in parte quali saranno i loro effetti nelle esistenze
che l’avvenire gli riserva.

Nel sesto cielo dimorano anime più avanzate, le quali durante la vita
terrena sentirono ben poca attrazione per le sue apparenze
transitorie, e dedicarono tutte le loro energie alla vita superiore
intellettuale e morale. Per esse nessun velo si stende sul passato, e
la memoria è perfetta e ininterrotta: il loro studio è diretto ad
infondere nella prossima vita energie atte a neutralizzare molte delle
forze ostacolanti e a rinvigorire quelle che tendono al bene. Questa
memoria limpida le abilita a formare delle determinazioni forti e
precise circa le azioni che devono essere compiute e quelle che devono
essere evitate, determinazioni che esse saranno in grado di imprimere
sui veicoli inferiori nella prossima incarnazione, rendendo certe
specie di male impossibili, perché contrarie a ciò che si sente essere
la propria natura più intima, e rendendo inevitabili certe specie di
bene, domande irresistibili di una voce che non potrà restare
inascoltata. Codeste anime nascono al mondo con qualità nobili ed
elevate, che rendono impossibile una vita volgare e imprimono fin
dalla culla sul bambino l’impronta del pioniere dell’umanità.

L’uomo che è salito fino al sesto cielo vede svolgersi dinnanzi gli
immensi tesori della Mente Divina in attività creatrice, e può
studiare gli archetipi di tutte le forme che devono gradatamente
evolvere nei mondi inferiori; colà può immergersi nell’immensurabile
oceano della Sapienza divina e sciogliere i problemi che si connettono
con l’elaborazione di quegli archetipi, il bene parziale che appare
come male alla visione limitata degli uomini imprigionati nella carne.
In questa visione più ampia i fenomeni assumono le debite proporzioni
relative, ed egli vede la giustificazione dei processi divini che non
sono più per lui, come in passato “oggetto di ricerca”, per quanto si
riferiscono all’evoluzione dei mondi inferiori. I quesiti sui quali
ponderò sulla terra ed a cui l’ardore del suo intelletto non poté
trovare una risposta, sono
qui risolti con l’acuta visione interna che, penetrando oltre i veli
fenomenici, vede gli anelli di congiunzione che rendono completa la
catena.

E ancora è qui che l’anima si trova alla presenza immediata delle
anime più grandi che si sono evolute nella nostra umanità e gioisce di
una piena comunicazione con esse, e libera dai legami che
costituiscono “il passato” della terra, gode “l’eterno presente” di
una vita ininterrotta e senza fine. Coloro che noi chiamiamo quaggiù
“i grandi morti” sono ivi i gloriosi viventi, e l’anima gode la
suprema delizia della loro presenza, divenendo sempre più simile ad
essi a misura che sintonizza la sua natura con la loro potente
armonia.
Più alto, più splendente ancora irraggia il settimo cielo dove i
Maestri e gli Iniziati hanno la loro dimora intellettuale. A
nessun’anima è dato vivere lassù se non è prima passata sulla terra
attraverso l’atrio angusto dell’Iniziazione, la porta stretta che
“conduce alla vita” che non ha fine1. Codesta regione è la sorgente
dalla quale i più forti impulsi intellettuali e morali scendono sulla
terra, da cui emanano le correnti vivificatrici delle energie più
alte. La vita intellettuale del mondo ha colà le sue radici, di là il
genio riceve le sue ispirazioni più pure. Per le anime che vi dimorano
è di poca importanza se, per il momento, sono o non sono connesse coi
veicoli inferiori: esse godono sempre della loro eccelsa autocoscienza
e della comunione con chi è loro intorno; quanto poi all’infondere,
quando sono “incarnate”, nei loro veicoli inferiori quel tanto di
questa coscienza che essi possono contenere, è cosa lasciata alla loro
scelta potendo esse dare e ritirare a volontà. Le loro volizioni sono
sempre più guidate dalla volontà dei Grandi Esseri, la cui volontà è
una con la volontà del Logos, che cerca sempre il bene dei mondi.
Infatti, nel settimo cielo vanno eliminandosi le ultime vestigia della
separatività 2 in tutti coloro che non hanno ancora raggiunta
l’emancipazione finale, in tutti quelli cioè che non sono ancora
Maestri, e a misura che quelle vestigia scompaiono, la volontà si va
mettendo sempre più in armonia con la volontà che guida i mondi.

Tale è la descrizione dei “sette cieli”, nell’uno o nell’altro dei
quali l’uomo passa al momento dovuto dopo quel “cambiamento che gli
uomini chiamano morte”. Perché la morte non è che un cambiamento il
quale dà all’anima una liberazione parziale, sollevandola dalla più
pesante delle sue catene. Essa è solo una nascita a una vita più
ampia, un ritorno dell’anima alla sua vera dimora dopo un breve esilio
terreno, un passaggio da una prigione alla libertà. La morte è la più
grande delle illusioni terrene: non vi è morte, ma solo cambiamento
nelle condizioni di vita. La vita è continua e non è, né può essere
interrotta; “non nata, eterna, antica, costante”, essa non perisce col
perire dei corpi che la rivestono. Immaginare che l’anima muoia quando
il corpo cede, vale quanto credere che il cielo debba cadere quando si
rompe una pentola 1.

* * *

Il piano fisico, l’astrale e il mentale sono “i tre mondi” attraverso
i quali si compie il pellegrinaggio umano ripetendosi continuamente.
In essi gira la ruota della vita umana, che porta le anime per turno
in ognuno di codesti tre mondi; ruota a cui le anime stesse sono
legate durante tutto il tempo della loro evoluzione. Noi ora siamo in
grado di poter delineare un periodo completo della vita dell’anima
(l’insieme di tali periodi ne costituisce la vita), e siamo altresì in
grado di distinguere chiaramente la differenza che passa fra
personalità e individualità.

Quando la permanenza di un’anima nelle regioni senza forma del
Devachan è finita, comincia per essa un nuovo periodo vitale con
l’emissione di energie, risultanti dai periodi di vita precedenti, che
agiscono nel mondo delle forme del piano mentale. Tali energie,
esteriorizzandosi, si attirano attorno dai quattro livelli mentali
inferiori quei materiali che sono adatti alla loro espressione, ed in
questa guisa vien formato il nuovo corpo mentale per l’imminente
incarnazione. Le vibrazioni di queste energie mentali eccitano le
energie appartenenti alla natura dei desideri, le quali cominciano a
vibrare; queste risvegliandosi, attraggono dalla materia del mondo
astrale i materiali convenienti alla loro espressione, che formano
così il corpo astrale per la nuova nascita. In tal maniera il
Pensatore si riveste dei suoi abiti mentale ed astrale, che sono
l’esatta espressione delle facoltà sviluppate nei passati periodi
della sua vita. Egli è portato, da forze che saranno spiegate più
innanzi 2, in quella famiglia che lo deve provvedere di un involucro
fisico adeguato, col quale si connette mediante il suo corpo astrale.
Durante la vita prenatale il corpo mentale viene involuto nei veicoli
inferiori, e questa involuzione si fa sempre più stretta nei primi
anni della fanciullezza finché al settimo anno il contatto dei corpi
col Pensatore stesso è completo nei limiti permessi dallo stadio di
evoluzione raggiunto. Se è sufficientemente avanzato, inizia allora a
dominare debolmente questi veicoli, e ciò che noi chiamiamo coscienza
è la sua voce ammonitrice. In ogni caso egli raccoglie esperienza
tramite i veicoli, e durante tutta la vita terrena la accumula nel
veicolo appropriato, cioè nel corpo corrispondente al piano al quale
l’esperienza appartiene.

Al chiudersi della vita terrena il corpo fisico è perduto e con esso
sparisce la facoltà di mettersi in contatto col mondo fisico, ed il
Pensatore si trova perciò ad avere le sue energie confinate ai piani
astrale e mentale. A suo tempo il corpo astrale perisce e le sue
facoltà vengono ritirate e raccolte dal Pensatore in se stesso sotto
forma di energie latenti: i poteri della sua vita restano limitati al
piano mentale. A sua volta terminato il proprio lavoro di
assimilazione, anche il corpo mentale si disintegra e le sue energie
passano allo stato latente nel Pensatore; quest’ultimo ritira
completamente la sua vita nel mondo devacianico senza forma, nel mondo
che è la sua casa natia. Di qui, dopo che tutte le esperienze del suo
periodo di vita nei tre mondi si sono trasmutate nel suo intimo in
facoltà e in poteri per servire in usi futuri, egli ricomincia il suo
pellegrinaggio, iniziando il ciclo di un altro periodo di vita con
poteri e cognizioni accresciuti.

La personalità consta di veicoli transitori attraverso i quali il
Pensatore estrinseca le sue energie nei mondi fisico, astrale e
mentale inferiore, e di tutte le attività connesse con questi mondi.
Tali attività sono legate insieme per mezzo degli anelli di memoria
originati dalle impressioni lasciate sui tre corpi inferiori; e l’“Io”
personale sorge dalla identificazione che il Pensatore fa di se stesso
coi suoi veicoli. Negli stadi più bassi dell’evoluzione questo “Io”
sta nei veicoli fisico e passionale nei quali si palesa la più grande
attività; più tardi l’“Io” è nel corpo mentale, che allora predomina.

La personalità, con le sue passioni, coi suoi sentimenti e desideri
transitori, forma così un essere quasi indipendente, quantunque tragga
tutte le sue energie dal Pensatore che essa ricopre; e poiché le sue
qualità, appartenendo ai mondi inferiori sono spesso in diretto
antagonismo cogli interessi permanenti di “Colui che dimora nel
corpo”, si stabilisce un conflitto nel quale la vittoria tende
talvolta al piacere temporaneo, tal’altra al guadagno permanente. La
vita di una personalità ha principio quando il Pensatore forma il suo
nuovo corpo mentale e dura fino a quando questo corpo si disintegra al
termine della sua vita nel mondo delle forme del Devachan.

L’individualità consta del Pensatore stesso, l’albero immortale che
mette fuori tutte queste personalità come altrettante foglie che
durano nella primavera, l’estate e l’autunno della vita umana. Tutto
quello che le foglie prendono ed assimilano, arricchisce la linfa che
scorre per i loro vasi, ed in autunno vien ritirato dentro il tronco
quando le foglie secche cadono e periscono. Il Pensatore solo vive per
sempre: egli è l’uomo per il quale “l’ora non suona giammai”, l’eterno
giovane che, secondo la Bhagavad Gita si veste e si spoglia dei suoi
corpi come l’uomo indossa abiti nuovi e getta via i vecchi. Ogni
personalità è una parte nuova per l’Attore immortale il quale
ripetutamente calca la scena della vita; solo ogni carattere che egli
assume nel dramma dell’esistenza è figlio dei precedenti e padre di
quelli avvenire, in modo che questo dramma è una storia continua, la
storia dell’Attore che sostiene le parti successive.

La vita del Pensatore nei primi stadi dell’evoluzione umana è
confinata ai tre mondi che abbiamo studiato; ma verrà un tempo in cui
l’umanità porrà il piede in regioni più alte e la reincarnazione sarà
cosa del passato. Tuttavia finché girerà la ruota della nascita e
della morte e l’uomo vi è legato da desideri che appartengono ai tre
mondi, la sua vita si svolge in queste tre regioni.

Ed ora volgiamoci ai regni che stanno ancora più oltre, benché ben
poco se ne possa dire che sia utile o intelligibile. Ma anche il poco
che ci è dato di dire è necessario per completare il riassunto della
Sapienza antica.

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