di Annie Besant
COMPENDIO DEGLI INSEGNAMENTI TEOSOFICI
DEDICATO
CON GRATITUDINE RIVERENZA ED AMORE
A
H. P. BLAVATSKY
CHE MI MOSTRÒ LA LUCE
Parte settima
CAP. VI
I PIANI BUDDHICO E NIRVANICO
Abbiamo visto che l’uomo è un’entità intelligente e autocosciente, il
Pensatore, rivestito di corpi che appartengono ai piani inferiore,
astrale e fisico; dobbiamo ora studiare lo Spirito che è il suo più
intimo Sé, la sorgente d’onde egli procede.
Questo Spirito Divino, un raggio del LOGOS, partecipando della Sua
essenza ha la triplice natura del Logos stesso, e l’evoluzione
dell’uomo come uomo consiste nella manifestazione graduale di questi
tre aspetti, nel loro sviluppo dalla potenzialità all’attività; l’uomo
ripete così in miniatura l’evoluzione dell’universo. Perciò egli vien
chiamato il microcosmo in rapporto all’Universo che è il macrocosmo; è
anche detto lo specchio dell’universo, l’immagine o il riflesso di Dio
1, d’onde l’antico assioma: “come in alto, così in basso”. Ed è in
questa Divinità involuta nell’uomo che sta la garanzia del suo trionfo
finale; questo è il potere motore nascosto che rende l’evoluzione
possibile ed inevitabile ad un tempo, la forza motrice che lentamente
sorpassa ogni ostacolo ed ogni difficoltà. Era. questa Presenza che
Matthew Arnold intuì vagamente quando scrisse del “Potere che non è
noi stessi, ma che tende verso la giustizia”. Soltanto le sue parole
“non è noi stessi” sono errate, perché quel Potere è il vero Sé
interiore di tutti, certamente non i nostri Ego separati, ma il nostro
Sé 2.
Questo Sé è l’Uno, perciò viene chiamato Monade 3, ed è indispensabile
tener presente che questa Monade è la vita alitata dal Logos, che
continua in sé, in germe, ossia allo stato latente, tutti i poteri e
gli attributi divini. Tali poteri sono portati in manifestazione dagli
urti che derivano dal contatto con gli oggetti dell’universo nel quale
la Monade si trova proiettata; l’attrito prodotto da questi oggetti
suscita dei fremiti di risposta nella vita soggetta ai loro
eccitamenti, ed una dopo l’altra le energie della vita passano dallo
stato latente allo stato attivo. La Monade umana, come viene chiamata
per meglio distinguerla, essendo la perfetta immagine di Dio,
presenta, come fu già detto, i tre aspetti della Divinità, i quali nel
ciclo umano si sviluppano uno dopo l’altro. Questi aspetti sono i tre
grandi attributi della Vita Divina quale si manifesta nell’Universo:
esistenza, beatitudine, intelligenza 4, attributi che i tre
1 “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”. Genesi, I, 26.
2 Atmâ, il riflesso di Paramâtma.
3 La parola Monade serve a designare sia la Monade dello
Spirito-Materia, Atmâ; sia la Monade della forma, Atmâ-Buddhi; sia la
Monade umana, Atmâ-Buddhi-Manas. In ogni caso è un’unità ed agisce
come unità, sia che presenti, uno, due o tre aspetti.
4 Satchitânanda è spesso usato nei libri sacri indù come nome astratto
di Brahman, mentre la Trimûrti è la manifestazione concreta di quei
tre aspetti. Nell’uomo questi tre aspetti si sviluppano in ordine
inverso, ossia: intelligenza, beatitudine, esistenza, implicando
quest’ultima la manifestazione dei poteri divini.
Nell’evoluzione dell’uomo da noi finora studiata, abbiamo seguito lo
sviluppo del terzo aspetto della Divinità nascosta: lo sviluppo della
coscienza come intelligenza. Manas, il Pensatore, l’Anima umana, è
l’immagine della Mente Universale, del Terzo Logos, e tutto il suo
lungo pellegrinaggio nei tre piani inferiori è dedicato all’evoluzione
di questo terzo aspetto, del lato intellettuale della natura divina
nell’uomo. Durante questa parte del processo evolutivo le altre
energie divine possono essere da noi considerate come adombranti
l’uomo, come le sorgenti nascoste della sua vita, piuttosto che in
atto di sviluppare attivamente le loro forze in lui. Esse agiscono
dentro se stesse, immanifeste. Pure il lavoro preparatorio per la loro
manifestazione va lentamente progredendo; per mezzo dell’energia
sempre crescente delle vibrazioni dell’intelligenza, esse si svegliano
da quella vita immanifesta che diciamo vita potenziale, e l’aspetto di
beatitudine comincia ad emettere le sue prime vibrazioni, le prime
deboli pulsazioni della sua vita manifestata. L’aspetto di beatitudine
è detto nella terminologia teosofica Buddhi (nome derivato dalla
parola sanscrita che significa sapienza), ed appartiene al quarto
piano del nostro Universo, o piano buddhico, nel quale la dualità
persiste, ma la separazione è scomparsa. Non vi sono parole atte a
spiegare una simile idea, poiché le parole appartengono ai piani
inferiori dove dualità e separazione vanno congiunte; pure è possibile
avvicinarvisi almeno in parte. È una stato in cui ciascuno sente di
essere se stesso con una chiarezza ed un’intensità vivida
irraggiungibili nei piani inferiori, ma nel quale ognuno sente al
tempo stesso di includere dentro di sé tutti gli altri, di essere uno
con tutti, inseparato ed inseparabile 1. La migliore analogia sulla
terra è quella della condizione di due persone unite da un amore puro
ed intenso, il quale fa sì che pensino, sentano, agiscano, vivano come
una persona sola, senza riconoscere barriere, differenze, distinzioni
di mio e di tuo 2. Ed è appunto una debole eco di quel piano che
spinge gli uomini a cercare la felicità nell’unione con l’oggetto
desiderato, qualunque esso sia. Completo isolamento è completa
miseria: essere spogliato di ogni cosa, trovarsi sospeso nel vuoto
dello spazio, in piena solitudine, senza aver nulla intorno a sé,
isolato da tutti, rinchiuso nel proprio Ego separato, tutto ciò è tale
un orrore che l’immaginazione non può concepirne uno più grande.
L’antitesi a questo è l’unione, e l’unione perfetta è perfetta
felicità.
A misura che l’aspetto di beatitudine del Sé comincia ad emettere le
sue vibrazioni, queste, come accade per i piani inferiori, si attirano
intorno la materia del piano sul quale agiscono, e così si va formando
gradatamente il corpo buddhico o corpo di beatitudine, come è
appropriatamente denominato 1. L’unico modo in cui l’uomo può
contribuire alla costruzione di questa forma gloriosa è quello di
coltivare un amore puro, altruistico, benefico, universale, un amore
che “non crea le cose sue proprie”, vale a dire che non è parziale,
che nulla chiede in cambio. Questa spontanea effusione di un amore che
tutto dona e nulla chiede è la caratteristica più spiccata degli
attributi divini. Amore puro diede origine all’universo, amore puro lo
sostiene, amore puro lo spinge verso la perfezione, verso la felicità.
E tutte le volte che l’uomo dà amore a chi ne ha bisogno, senza far
distinzioni, senza secondi fini, per la pura, spontanea gioia del
dare, egli va sviluppando l’aspetto di beatitudine della Divinità che
è in lui, va preparandosi quel corpo di bellezza e di letizia
ineffabile nel quale il Pensatore, liberandosi dai limiti della
separatività, salirà a ritrovare se stesso e pure a sentirsi uno con
tutto ciò che vive. È questa “la casa non fabbricata per opera di
mani, eterna nei cieli” di cui scrisse S. Paolo, il grande Iniziato
Cristiano, il quale esaltava la carità, l’amore puro, al disopra di
tutte le altre virtù, perché per questo mezzo soltanto l’uomo può
andare edificando sulla terra quella gloriosa dimora. Per una ragione
consimile il Buddhista chiama la separazione “la grande eresia”, e
l’unione è la méta dell’Indù; la liberazione consiste nello sfuggire
alle limitazioni che ci imprigionano, e l’egoismo è il male radicale,
la cui distruzione corrisponde alla distruzione di ogni dolore.
Il quinto piano, il Nirvànico, è quello che corrisponde al più alto
aspetto umano del Dio in noi, aspetto che dai Teosofi è chiamato Àtmà,
o il Sé. È il piano dell’esistenza pura, dei poteri divini
manifestantisi in tutta la loro pienezza nel nostro quintuplice
universo; ciò che sta più oltre nel sesto e nel settimo piano, giace
nascosto nell’inimmaginabile luce di Dio. Questa coscienza àtmica o
nirvànica, propria della vita nel quinto piano, è la coscienza
raggiunta da quegli Esseri elevatissimi, il fior fiore dell’umanità,
che hanno già completato il ciclo dell’evoluzione umana e che sono
chiamati Maestri 2. Essi hanno risolto in loro stessi il problema di
unire l’essenza dell’individualità con la non separazione e vivono,
Intelligenze immortali, perfetti in sapienza, in beatitudine, in
potere.
Quando la Monade umana viene emessa dal Logos, è come se dall’oceano
radioso di Àtmâ un sottil filo di luce venisse separato dal resto per
mezzo di un velo di materia buddhica, e come se da quel filo pendesse
una scintilla che va a chiudersi in un involucro ovoidale di materia
appartenente ai livelli senza forma del piano mentale. “La scintilla è
attaccata alla fiamma con un sottilissimo filo di Fohat” 1. A misura
che l’evoluzione procede, questo uovo luminoso diviene sempre più
grande e opalescente ed il tenue filo si trasforma in un canale che di
continuo si allarga e attraverso il quale la vita àtmica discende con
sempre crescente abbondanza. Da ultimo i tre si fondono insieme: la
terza col secondo ed ambedue col primo, come fiamma che si fonde con
fiamma, per modo che ogni separazione è scomparsa.
L’evoluzione sui piani quarto e quinto appartiene ad un futuro periodo
della nostra razza, ma coloro che scelgono l’arduo sentiero di un più
sollecito progresso possono seguirla fin da ora, come in seguito
spiegheremo 2. Percorrendo quel sentiero il corpo di beatitudine si
sviluppa rapidamente, e l’uomo comincia a godere la coscienza di
quella eccelsa regione e conosce la felicità derivante dalla scomparsa
dei limiti della separazione, e la sapienza che, trascesi i limiti
dell’intelletto, affluisce da ogni parte. L’anima si sarà allora
liberata dai vincoli che la legavano ai tre mondi inferiori, e
pregusterà la dolcezza di quella libertà che godrà poi perfetta nel
piano nirvanico.
La coscienza nirvanica è l’antitesi dell’annichilazione; è esistenza
innalzata ad una vividezza e ad un’intensità inconcepibili da coloro
che conoscono solamente la vita dei sensi e della mente, la quale sta
alla vita nirvanica come il fioco barlume di un lumicino sta allo
splendore del sole meridiano. Considerare perciò che il Nirvana sia
annichilazione perché i limiti della coscienza terrena sono scomparsi,
sarebbe come se chi conoscesse soltanto i lumicini da notte dicesse
che non può esistere luce senza un lucignolo immerso in un grasso. Il
Nirvana è. Coloro che ne godono e ne vivono la gloriosa vita ne fecero
testimonianza nel passato, nelle Sacre Scritture del mondo. Ne fanno
ancora oggi testimonianza uomini della nostra razza che hanno salito
l’eccelsa scala della perfezione umana e che rimangono tuttavia in
rapporto con la terra, affinché i fratelli in cammino possano
ascendere sicuri fino all’altissima cima. In Nirvana dimorano i
possenti Esseri che compirono la loro evoluzione umana in universi
passati e che, riemergendo insieme col LOGOS, quando si
esecutori perfetti della Sua volontà. I Signori di tutte le gerarchie
degli Dei e degli agenti inferiori che abbiamo visto lavorare nei
piani più bassi, dimorano pure in quella gloriosa regione, poiché il
Nirvàna è il cuore dell’universo, è il cuore dal quale procedono tutte
le infinite correnti di vita. Dal Nirvàna procede il Grande Alito, la
vita universale, e in Esso tutto fa ritorno, quando l’universo è
giunto al suo termine; in Nirvàna è la Visione Beatifica ardentemente
desiderata dai mistici, la Gloria svelata, Méta Suprema.
* * *
La Fratellanza dell’Umanità, o meglio la Fratellanza di tutte le cose,
ha la sua base sicura nei piani spirituali, l’àtmico ed il buddhico,
poiché qui soltanto esiste l’unità, qui soltanto si trova una simpatia
perfetta. L’intelletto è il principio separativo nell’uomo, quello che
distingue l’ “Io” dal “non Io”, che è conscio di sé e vede tutte le
altre cose come esterne a sé ed estranee. Esso è il principio della
lotta, è il principio che afferma se stesso, e dal piano
dell’intelletto in giù il mondo presenta una scena di conflitto, tanto
più amara quanto maggiore è la proporzione in cui l’intelletto vi
prende parte. Anche la natura passionale tende spontaneamente alla
lotta, ma solo quando, stimolata dal desiderio, trova fra sé e
l’oggetto desiderato un ostacolo qualsiasi; essa diviene sempre più
aggressiva a misura che la mente ne ispira l’attività, poiché allora
cerca di provvedere alla soddisfazione dei desideri futuri e di
appropriarsi una parte sempre più grande dei beni della Natura. Ma
l’intelletto è quello che tende spontaneamente alla lotta, perché è
nella sua stessa natura di affermare sé come differente dagli altri;
ed in ciò si trova la radice della separatività e la sorgente
inesauribile di ogni scissione fra gli uomini.
Quando però il piano buddhico è raggiunto, l’unità è percepita d’un
tratto come se da un raggio separato e divergente da tutti gli altri
raggi noi entrassimo nel sole stesso, dal quale tutti i raggi
irradiano ugualmente. Un essere che stesse nel sole, suffuso della sua
luce ed irradiandone a sua volta, non sentirebbe alcuna differenza fra
raggio e raggio, ma emetterebbe con la stessa rapidità e facilità la
sua luce lungo l’uno o l’altro di essi. Così pure è dell’uomo non
appena ha raggiunto coscientemente il piano buddhico: egli sente la
fratellanza di cui gli altri parlano come di un ideale, e si dona
tutto a chi ha bisogno di assistenza, dando nell’esatta misura
richiesta aiuto mentale, morale, astrale o fisico. Egli vede tutti gli
esseri come se stesso, e sente che tutto ciò che ha è tanto loro
quanto suo; anzi, in molti casi, più loro che suo, perché più grande è
il loro bisogno, più deboli sono le loro forze. È così che nella
famiglia i fratelli maggiori sopportano i pesi gravi, risparmiando ai
bambini le sofferenze e le privazioni; poiché per chi sente lo spirito
di fratellanza la debolezza dà diritto all’aiuto e all’amorevole
protezione, ma non un’opportunità per opprimere.
I Grandi Fondatori delle religioni, i quali non solo avevano raggiunto
il livello buddhico, ma erano saliti anche più in alto, hanno avuto
tutti la stessa caratteristica di una compassione e di una tenerezza
inesauribili, che prodigarono agli uomini aiutandoli nelle loro
miserie fisiche e morali, dando ad ognuno secondo il suo bisogno. La
coscienza di questa intima unità, il riconoscimento dell’Unico Sé che
dimora ugualmente in tutti, è la sola base sicura della Fratellanza;
ogni altra base diversa da questa non regge.
Tale riconoscimento è inoltre accompagnato dalla conoscenza che lo
stadio di evoluzione raggiunto dai differenti esseri umani e non umani
dipende principalmente da ciò che possiamo chiamare la loro età;
alcuni cominciarono il loro viaggio assai più tardi degli altri, e
benché i poteri siano in ognuno gli stessi, alcuni hanno sviluppato
una quantità ben maggiore di questi poteri, semplicemente perché hanno
avuto a disposizione per questo processo maggior tempo dei loro
fratelli più giovani.
Biasimare e disprezzare le anime bambine o tuttora in germe che ci
circondano, perché non si sono ancora sviluppate fino al punto che noi
stessi occupiamo, varrebbe quanto biasimare e disprezzare il seme
perché non è ancora fiore, la gemma perché non è ancora frutto, il
bambino perché non è ancora uomo. Noi non biasimiamo noi stessi perché
non siamo ancora simili a Dei; col tempo noi pure giungeremo dove sono
ora i nostri Fratelli maggiori. Perché dunque disprezzare le anime più
giovani che non sono ancora come siamo noi? La parola stessa
Fratellanza comporta identità di sangue e disuguaglianza di sviluppo e
rappresenta perciò esattamente il legame che esiste tra tutte le
creature dell’universo, identità di vita essenziale e differenze negli
stadi raggiunti nella manifestazione di quella vita.
Noi siamo uno nella nostra origine, uno nel metodo di evoluzione, uno
nella méta, e le differenze di età e di statura non danno che
l’opportunità di render più stretti e più teneri i nodi che ci legano.
Tutto ciò che un uomo farebbe per un fratello carnale, più caro a lui
di se stesso, egli lo deve ad ognuno che condivide seco la Vita una.
Gli uomini vengono esclusi dai cuori dei loro fratelli per differenze
di razza, di classe, di paese; l’uomo che l’amore ha reso saggio si
solleva al disopra di tutte queste meschine differenze e li vede tutti
attingere la vita all’unica fonte, far tutti parte della sua famiglia.
Il riconoscimento intellettuale di questa Fratellanza e lo sforzo di
viverla praticamente sono uno stimolo così potente per la natura
superiore dell’uomo, che ne fu fatto l’unico scopo obbligatorio della
Società Teosofica, l’unico “articolo di fede” che tutti coloro che
vogliono divenirne membri devono accettare. Vivere la Fratellanza,
anche in piccole proporzioni, apre il cuore e purifica la visione;
viverla perfettamente è sradicare ogni traccia di separatività, e far
sì che la pura luce del Sé irradii su di noi quale fiamma attraverso
un limpido cristallo.
Né si dimentichi mai che questa Fratellanza è, sia che gli uomini
l’ignorino o la neghino. L’ignoranza umana non può cambiare le leggi
della Natura, né deviarne d’un capello l’immutabile, irresistibile
progredire. Le sue leggi schiacciano coloro che vi si oppongono ed
infrangono tutto ciò che non è in armonia con esse. Non può perciò
prosperare quella nazione che oltraggia la Fratellanza, né quella
civiltà che è fondata sulla sua antitesi. Non siamo noi che dobbiamo
crearla; essa esiste. A noi spetta di accordare le nostre vite in
armonia con essa, se non vogliamo perire, noi e le nostre opere.
A taluni può sembrar strano che il piano buddhico, per essi cosa vaga
e irreale, debba tanto influire su tutti i piani sottostanti e che le
sue forze debbano sempre spezzare nei mondi inferiori ciò che non può
armonizzare con esse. Pure così avviene, poiché questo universo è
un’espressione di forze spirituali e sono esse le energie che guidano,
modellano e pervadono ogni cosa e che lentamente e sicuramente
sottomettono a sé ogni cosa. Ne viene che questa Fratellanza, la quale
è un’unità spirituale, è molto più reale di qualsiasi organizzazione
esteriore; è una vita, non una forma; una vita che “saggiamente e
dolcemente regola tutte le cose”. Può assumere innumerevoli forme,
adatte ai tempi, ma la vita è una; beati coloro che ne vedono la
presenza e si fanno canali della sua forza vivificatrice.
* * *
Lo studioso ha ora dinanzi a sé i componenti della costituzione umana
e le regioni alle quali essi rispettivamente appartengono; un breve
riassunto quindi lo aiuterà a formarsi un’idea chiara di questo
complicato insieme.
La Monade Umana è Atmà-Buddhi-Manas, o (come talvolta si traducono
questi termini) Spirito, Anima Spirituale e Anima. Il fatto stesso che
essi altro non sono che aspetti del Sé, rende possibile l’esistenza
immortale dell’uomo, e quantunque codesti tre aspetti si manifestino
separatamente e successivamente, pure la loro unità sostanziale dà
all’Anima la possibilità di fondersi nell’Anima Spirituale, donandole
la preziosa essenza dell’individualità, ed a questa Anima Spirituale
individuata la possibilità di fondersi nello Spirito, colorandolo (se
è lecita l’espressione) con le tinte dovute all’individualità, mentre
ne lascia inalterata l’unità essenziale con tutti gli altri raggi del
LOGOS e col LOGOS stesso.
Questi tre aspetti formano il settimo, il sesto e il quinto principio
dell’uomo ed i materiali che li limitano o li racchiudono, cioè che
rendono possibile la loro manifestazione e attività, sono tratti
rispettivamente dal quinto (nirvânico), dal quarto (buddhico) e dal
terzo (mentale) piano del nostro universo. Il quinto principio prende
inoltre un corpo più basso nel piano mentale, per poter venire in
contatto coi mondi fenomenici, e s’intreccia così col quarto
principio, la natura dei desideri o Kàma, appartenente al secondo
piano (astrale). Discendendo al primo piano, il fisico, abbiamo i
princìpi terzo, secondo e primo: la vita specializzata, o Pràna; il
doppio eterico, che ne è il veicolo; il corpo denso che si mette in
contatto con i materiali più grossolani del mondo fisico.
Accennammo già che talvolta Pràna non è considerato come principio;
che i due corpi astrale e mentale intrecciati sono considerati come
uno solo, col nome di Kàma-Manas; che il puro intelletto è detto Manas
Superiore e la mente, considerata a parte dal desiderio, vien chiamata
Manas Inferiore. Il concetto più conveniente che sia possibile
formarsi dell’uomo è forse quello che meglio rappresenta i fatti
dell’unica vita permanente e delle varie forme in cui questa lavora e
che ne condizionano le energie producendo la varietà delle
manifestazioni. Noi vediamo quindi il Sé come l’unica Vita, la
sorgente di ogni energia, e le forme come i corpi buddhico, causale,
mentale, astrale, e fisico (eterico e denso)
Riunendo i due modi di vedere la stessa rosa, possiamo stendere il
seguente prospetto:
PRINCIPI VITA FORME
Corpo buddhico
Manas Superiore — Corpo causale
{Anima Umana }
Manas Inferiore — Corpo mentale
Kâma. Anima Animale — Corpo astrale
Linga Sharira 2 — Doppio eterico
Sthûla Sharira — Corpo fisico denso
(come noti originalmente)
Atma. Spirito Atma
Buddhi. Anima Spirituale —
1 Quelli fra i nostri lettori che sono più familiari con la
classificazione Vedânta, potranno trovare utile il seguente prospetto
comparativo:
corpo buddhico Anandamayakosha
corpo causale Vignyânamayakosha
corpo mentale Manomayakosha
corpo astrale
corpo fisico eterico Prânamayakosha
denso Annamayakosha
È facile vedere che la differenza è solo una questione di nomi e che i
“princìpi” sesto, quinto, quarto e terzo sono semplicemente Atmà in
azione nei corpi buddhico, causale, mentale ed astrale, mentre i
“princìpi” secondo e primo non sono altro che i due corpi inferiori.
Questo improvviso mutamento di terminologia può generare della
confusione nella mente dello studioso; ma siccome H. P. Blavatsky, la
nostra venerata maestra, si dimostrò assai poco soddisfatta della
nomenclatura allora in uso che a lei sembrava confusa e ingannevole, e
volle che io ed altri cercassimo di migliorarla, noi credemmo bene
adottare i nomi su riferiti come quelli che ci parvero semplici,
efficaci e rispondenti ai fatti.
I vari corpi sottili dell’uomo, che ora abbiamo studiato, formano nel
loro insieme ciò che usualmente si chiama “l’aura” dell’essere umano.
Quest’aura ha l’aspetto di una nube luminosa ovoidale nel cui mezzo
sta il corpo fisico denso, e la sua apparenza ha spesso indotto a
parlarne come se essa non fosse altro che una nube. Ciò che si chiama
di solito col nome di aura, consiste puramente di quelle parti dei
corpi sottili che si estendono oltre la periferia del corpo fisico
denso; ogni corpo è completo per se stesso e compenetra quelli che
sono più grossolani; è più o meno grande a seconda del suo sviluppo, e
tutta quella porzione di esso che oltrepassa la superficie del corpo
fisico denso vien chiamata aura. L’aura è quindi costituita dalle
parti esterne del doppio eterico, del corpo astrale, del corpo
mentale, del corpo causale e, in rari casi, del corpo buddhico
illuminato dallo splendore àtmico. Talvolta l’aura è fosca,
grossolana, oscura; talvolta è magnifica per grandezza, per
luminosità, per colori; ciò dipende interamente dal grado di
evoluzione che l’uomo ha raggiunto, dallo sviluppo dei suoi diversi
corpi, dall’elevatezza del suo carattere morale e mentale. Passioni,
desideri e pensieri mutevoli sono tutti scritti nell’aura in forme, in
colori, in luce, così che colui che ha occhi per un simile scritto,
può leggervi entro. Il carattere è impresso nell’Aura con tutti i suoi
passeggeri cambiamenti e non è perciò possibile l’inganno, come accade
con la maschera che noi chiamiamo corpo fisico. L’accrescersi
dell’aura in grandezza e in bellezza è il segno infallibile del
progresso dell’uomo e rivela lo sviluppo e la purificazione del
Pensatore e dei suoi veicoli.
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