di Annie Besant
COMPENDIO DEGLI INSEGNAMENTI TEOSOFICI
DEDICATO
CON GRATITUDINE RIVERENZA ED AMORE
A
H. P. BLAVATSKY
CHE MI MOSTRÒ LA LUCE
Parte ottava
CAP. VII
LA REINCARNAZIONE
Siamo ora in grado di studiare una delle dottrine cardinali della
Sapienza antica, quella della reincarnazione. Ne avremo un’idea più
chiara e più conforme all’ordine naturale delle cose, se dapprima la
studieremo come principio universale e passeremo poi ad esaminare il
caso speciale della reincarnazione dell’anima umana. Nello studio
della reincarnazione questo caso speciale generalmente è tolto dal suo
posto nell’ordine naturale e considerato, a suo grande detrimento,
come un frammento isolato. Ma poiché ogni evoluzione consiste di una
vita che evolve passando di forma in forma ed accumulando in sé le
esperienze fatte per mezzo delle forme, la reincarnazione dell’anima
non è l’introduzione di un nuovo principio nell’evoluzione, ma
piuttosto l’adattamento del principio universale alle condizioni rese
necessarie dalla individuazione della vita che si evolve di continuo.
Lafcadio Hearn 1 ha presentato bene questo punto nel suo esame
dell’influenza che l’idea della preesistenza ha avuto sul pensiero
scientifico occidentale. Egli scrive
“Con l’accettazione della dottrina dell’evoluzione caddero le vecchie
forme di pensiero; nuove idee sorsero per ogni dove a rimpiazzare
dogmi antiquati; e noi abbiamo ora lo spettacolo di un generale
movimento intellettuale in una direzione stranamente parallela a
quella della filosofia orientale. La rapidità senza precedenti e le
molteplici forme del progresso scientifico durante gli ultimi
cinquanta anni non potevano mancare di provocare un risveglio
intellettuale, ugualmente senza precedenti, fra i non scienziati. Che
gli organismi più elevati e complessi si siano sviluppati dai più
bassi e più semplici; che un’unica base fisica di vita sia la sostanza
di tutto il mondo vivente; che nessuna linea di separazione si possa
tracciare fra l’animale e il vegetale; che la differenza tra vita e
non vita sia solo una differenza di grado e non di specie; che la
materia non sia meno incomprensibile della mente, mentre entrambe non
sono che manifestazioni diverse di un’unica e medesima realtà
sconosciuta: tutti questi sono già divenuti luoghi comuni della nuova
filosofia.
“Sin da quando l’evoluzione fisica venne ammessa anche dalla teologia,
fu facile prevedere che l’evoluzione psichica non avrebbe tardato
indefinitamente ad essere riconosciuta, poiché le barriere, erette
dagli antichi dogmi per impedire agli uomini di
1 Nella scelta delle espressioni che usa in una parte della sua
esposizione delle idee buddiste su questa dottrina, l’Hearn non è
stato felice (pur avendone afferrato esattamente, a mio parere,
l’intimo senso) e l’uso che egli fa della parola “Ego” può indurre in
errore quel lettore del suo interessantissimo capitolo su questo
soggetto, che non abbia ben netta nella mente la distinzione tra l’ego
illusorio e quello reale.
.
Consideriamo ora la Monade della forma Atmâ-Buddhi. In essa, vita
emanata dal Logos, stanno nascosti tutti i poteri divini, ma questi,
come abbiamo visto, sono latenti e non manifesti ed attivi. Essi
devono essere svegliati gradatamente da urti esterni, poiché è nella
natura stessa della vita di vibrare in risposta alle vibrazioni che
agiscono su di lei. E poiché nella Monade esistono tutte le
possibilità di vibrazione, così qualunque di esse la tocchi
dall’esterno ne risveglierà il potere vibratorio corrispondente; in
tal modo tutte le sue forze passeranno successivamente dallo stato
latente a quello attivo
In questo sta il segreto dell’evoluzione; l’ambiente agisce sulla
forma della creatura vivente (si rammenti che tutte le cose vivono) e
questa azione, trasmessa per mezzo della forma avviluppante la vita,
la Monade in quella, suscita delle vibrazioni di risposta, le quali si
dirigono verso l’esterno attraverso la forma, mettendone a loro volta
in vibrazione le particelle e riordinandole in una forma
corrispondente o adatta all’urto iniziale. In ciò consiste il fatto
dell’azione e reazione fra l’organismo e l’ambiente, riconosciuto da
tutti i biologi e considerato da taluni come una spiegazione meccanica
sufficiente dell’evoluzione. Tuttavia le loro pazienti ed accurate
osservazioni di queste azioni e reazioni non spiegano perché
l’organismo reagisce così agli stimoli, e per risolvere l’enigma
dell’evoluzione bisogna ricorrere alla Sapienza Antica, la quale
addita il Sé che sta nel cuore di tutte le forme come la molla
nascosta di ogni movimento della natura.
Avendo ben afferrata questa idea fondamentale di una vita la quale
contiene in sé la possibilità di rispondere ad ogni vibrazione che può
giungerle dall’universo esterno, ed in cui le risposte reali vengono
gradatamente stimolate dall’azione delle forze esterne, occorre
comprendere una seconda idea fondamentale, quella della continuità
della vita e delle forme. Le forme trasmettono le loro particolarità
ad altre forme che da esse procedono e che sono parte della loro
stessa sostanza, ma staccate da esse per vivere un’esistenza
indipendente. La continuità fisica è assicurata per mezzo della
fissiparità, della gemmazione, dell’emissione digermi, o dello
sviluppo dell’embrione nell’utero materno, ogni nuova forma derivando
da una forma precedente e riproducendone le caratteristiche 1. La
scienza raggruppa questi fatti sotto il nome di legge
dell’ereditarietà e le sue osservazioni sono degne di attenzione ed
illuminano i processi della Natura nel mondo fenomenico, ma non
bisogna dimenticare che tutto ciò si applica solo alla costruzione del
corpo fisico, nel quale entrano i materiali forniti dai genitori.
Al lavorio più nascosto della Natura, a quel lavorio della vita senza
il quale nessuna forma potrebbe esistere, non si è prestata
attenzione, perché non suscettibile di osservazione fisica; e questa
lacuna non può essere colmata che dagli insegnamenti della Sapienza
Antica, dati da Coloro che da tempo remotissimo si servono di poteri
superfisici di osservazione, insegnamenti che possono essere a grado a
grado verificati da chiunque studi pazientemente alla Loro scuola.
La continuità della vita esiste, come esiste la continuità della
forma, ed è la vita continuativa (con una quantità sempre maggiore
delle sue energie latenti rese attive dagli stimoli ricevuti
attraverso le forme successive) che riassume in sé le esperienze
ottenute col rinchiudersi nella forma; poiché, quando la forma
perisce, la vita serba il ricordo di quelle esperienze
nell’accrescimento delle energie da essa eccitate, ed è pronta ad
entrare nelle nuove forme derivate dalle vecchie, portando con sé
tutto il cumulo dei suoi acquisti. Durante la sua permanenza nella
forma precedente, la vita agì attraverso la forma, adattandola a
esprimere ogni energia novellamente risvegliata. La forma trasmette
questi adattamenti, intessuti nella sua sostanza, alla parte separata
di sé che noi chiamiamo la sua progenie, la quale, essendo anch’essa
sua sostanza, ne deve avere necessariamente le caratteristiche
particolari; la vita entra con tutti i suoi poteri resi attivi in
quella progenie e le imprime ancora altre modificazioni, e così di
seguito.
La scienza moderna va provando con sempre crescente chiarezza che
l’ereditarietà ha una parte sempre più decrescente nell’evoluzione
delle creature più elevate, che le qualità mentali e morali non sono
trasmesse dai genitori ai figli, e che quanto più alte sono tali
qualità tanto più manifesto è questo fatto: il figlio di un genio è
spesse volte uno sciocco, da genitori comuni nasce talvolta un genio.
Vi deve essere dunque un substrato durevole nel quale restano inerenti
le qualità morali e mentali al fine di poter evolvere; altrimenti la
Natura ci mostrerebbe, in questa parte importantissima del suo lavoro,
una produzione senza ordine e senza causa, invece di una continuità
ordinata. Su questo la scienza è muta, ma la Sapienza Antica ci
insegna che questo substrato durevole è la Monade la quale è il
ricettacolo di tutti i risultati, la riserva in cui sono accumulate,
quali poteri sempre più attivi, tutte le esperienze.
Una volta ben compresi questi due princìpi (della Monade dotata di
potenzialità che diventano poteri e della continuità della vita e
della forma) possiamo studiarne l’azione nei particolari e troveremo
come essi risolvano molti dei più imbarazzanti problemi della scienza
moderna, come anche quelli che più stanno a cuore al filantropo e al
saggio.
Cominciamo dal considerare la Monade allorché viene per la prima volta
assoggettata agli urti provenienti dai livelli senza forma del piano
mentale, ciò che costituisce il vero principio dell’evoluzione della
forma. I suoi primi deboli fremiti di risposta le attirano attorno un
poco della materia di quel piano, ed abbiamo così l’evoluzione
graduale del primo regno animale, già menzionato 1. I grandi tipi
fondamentali della Monade sono in numero di sette, immaginati talvolta
come i sette colori dello spettro solare derivati dai tre primari 2.
Ognuno di questi tipi ha caratteristiche sue proprie che persistono
per tutto il ciclo eonico della sua evoluzione, influenzando tutta le
serie di cose viventi da esso animate. Da questo momento comincia il
processo di suddivisione in ognuno di questi tipi, processo che si
svolgerà ripetendosi continuamente finché non sarà raggiunta
l’individuazione.
Le correnti messe in moto dall’emissione delle nascenti energie della
Monade a noi basterà seguire una sola delle linee di evoluzione,
perché in principio le altre sono simili ad essa), hanno solo una
breve vita formale; pure l’esperienza acquisita per questo mezzo,
qualunque essa sia, è rappresentata da un aumento di vita responsiva
nella Monade, che ne è sorgente e causa. Ora, siccome questa vita
responsiva consiste di vibrazioni che spesso sono discordanti fra di
loro, accade che nella Monade insorge una tendenza alla separazione;
per cui le forze vibranti armonicamente si raggruppano come per agire
di concerto, riuscendo con ciò alla formazione di varie sotto-Monadi
(ci si permetta per un momento questo termine) simili fra loro nelle
caratteristiche principali, ma differenti nei particolari, come
sfumature di uno stesso colore. Queste diventano, per gli urti
provenienti dai livelli inferiori del piano mentale, le Monadi del
secondo regno elementale, appartenenti alla regione delle forme di
quel piano; il processo continua, e la Monade aumenta il proprio
potere di risposta. Ogni Monade è la vita animatrice di innumerevoli
forme, attraverso le quali essa riceve delle vibrazioni e
costantemente vivifica delle nuove forme di mano in mano che le
precedenti si disintegrano; anche il processo di suddivisione si
ripete continuamente per la causa prima accennata.
Ogni Monade si incarna così in forme di cui diventa l’anima e accumula
in sé, quali poteri attivi, tutti i risultati ottenuti per mezzo di
esse. Possiamo con ragione considerare queste Monadi come le anime di
gruppi di forme, le quali forme, a misura che l’evoluzione procede,
mostrano sempre maggiori attributi, che non sono altro che i poteri
dell’anima monadica del gruppo manifestati attraverso le forme in cui
è incarnata.
Le innumerevoli sotto-Monadi di questo secondo regno elementale
raggiungono ben presto un grado di evoluzione che permette loro di
rispondere alle vibrazioni della materia astrale, e cominciano ad
agire nel piano astrale, divenendo le Monadi del terzo regno
elementale e ripetendo in questo mondo più denso tutti i processi già
compiuti nel piano mentale. Esse divengono sempre più numerose come
anime monadiche di gruppi, presentando nei particolari una sempre
crescente diversità, mentre il numero delle forme animate da ognuna
diminuisce a misura che le caratteristiche specializzate si affermano
più distinte. Frattanto il torrente di vita che emana continuamente
dal LOGOS provvede nuove Monadi della forma sui livelli più alti così
che l’evoluzione procede ininterrotta, e mentre le Monadi più evolute
si incarnano nei mondi inferiori, il loro posto viene occupato dalle
Monadi emerse di recente nei mondi superiori.
Per mezzo di questo processo sempre ripetuto di reincarnazione delle
Monadi o anime monadiche di gruppi nel mondo astrale, l’evoluzione di
esse procede sino al momento in cui sono pronte a rispondere agli urti
provenienti dalla materia fisica. Se si ricorda che gli atomi ultimi
di ciascun piano hanno la superficie avviluppante composta dalla
materia più densa del piano immediatamente superiore, sarà facile
comprendere come le Monadi diventino responsive agli urti provenienti
dai successivi piani. Quando, nel primo regno elementale, la Monade si
abituò a vibrare in risposta agli urti della materia di quel piano,
essa non tardò a rispondere alle vibrazioni provenienti attraverso le
forme più dense di quella materia dalla materia del piano
immediatamente inferiore. Così in quei suoi involucri di materia, che
erano le forme composte dei materiali più densi del piano mentale, la
Monade divenne sensibile alle vibrazioni della materia atomica
astrale; e similmente allorché si trova incarnata in forme composte
della materia astrale più densa essa diventa capace di rispondere alle
spinte dell’etere fisico atomico, la cui superficie avviluppante
consiste dei più densi materiali astrali.
A questo punto si può ritenere che la Monade abbia raggiunto il piano
fisico, e qui comincia o, per meglio dire, tutte queste anime
monadiche di gruppo cominciano ad incarnarsi in forme vaporose, i
doppi eterici dei futuri minerali densi del mondo fisico. Entro queste
forme vaporose gli spiriti della natura costruiscono i materiali
fisici più densi, e così si vanno formando minerali di ogni genere,
che sono i più rigidi veicoli nei quali si racchiude la vita in
evoluzione, e attraverso i quali può manifestarsi solo una minima
parte dei suoi poteri. Ogni anima monadica di gruppo ha la sua propria
espressione minerale nelle forme minerali in cui si incarna e la cui
specializzazione ha ora raggiunto un grado considerevole. Queste anime
monadiche di gruppo sono alle volte chiamate nella loro totalità la
Monade minerale, ossia la Monade incarnantesi nel regno minerale.
Da questo momento in poi le energie risvegliate della Monade
rappresentano nell’evoluzione una parte meno passiva. Non appena
eccitate a funzionare, esse cercano di esprimersi attivamente sino ad
un certo punto e di esercitare un’azione distintamente modellatrice
sulle forme nelle quali sono imprigionate. Quando diventano troppo
attive per i loro involucri minerali, si manifestano gli inizi delle
forme più plastiche del regno vegetale; gli spiriti della natura
aiutano tale evoluzione in tutti i regni fisici. Già nel regno
minerale si era mostrata una definita organizzazione di forme con
l’apparire di certe linee 1 lungo le quali lo sviluppo procede; questa
tendenza governa d’ora in poi ogni costruzione di forme, ed è la causa
della squisita simmetria degli oggetti naturali familiare ad ogni
osservatore.
Le anime monadiche di gruppo sottostanno nel regno vegetale a
divisioni e suddivisioni con rapidità crescente in conseguenza della
ancor più grande varietà di urti ai quali sono soggette; l’evoluzione
delle famiglie, dei generi e delle specie è dovuta appunto a queste
suddivisioni invisibili. Quando un genere con la sua anima monadica
generica di gruppo è soggetto a condizioni molto mutevoli, cioè quando
le forme che sono connesse a quel genere ricevono urti assai vari,
viene stimolata nella Monade una nuova tendenza a suddividersi e varie
specie si evolvono ognuna con la sua anima monadica specifica di
gruppo. Quando la natura è lasciata a se stessa il processo è lento,
benché gli spiriti della natura cooperino molto alla differenziazione
delle specie; ma quando l’uomo si è evoluto ed incomincia i suoi
sistemi artificiali di coltura, favorendo l’azione di alcune forze e
ostacolandone altre, allora questa differenziazione può effettuarsi
con notevole rapidità, e le differenze specifiche si manifestano
prontamente.
Finché non si è prodotta una divisione reale nell’anima monadica del
gruppo, la soggezione delle forme ad influenze consimili può
nuovamente sradicare la tendenza alla separatività; ma quando la
divisione è compiuta, le specie nuove sono definitive e stabili e sono
pronte a procreare una progenie loro propria.
In alcuni vegetali a lunga vita comincia a spuntare l’elemento della
personalità, poiché la stabilità dell’organismo rende possibile la
presenza di questo precursore dell’individualità. In un albero che
viva dozzine e dozzine di anni, ricorrenze di condizioni simili
causanti impressioni simili, come le stagioni che si ripetono ogni
anno, i movimenti interni consecutivi da esse provocati, il salire
della linfa, lo spuntar delle foglie, il tocco del vento, dei raggi
solari, della pioggia (tutte queste influenze esterne con la loro
progressione ritmica), provocano nell’anima monadica di gruppo
vibrazioni di risposta. E poiché la consecutività si imprime con la
ripetizione continua, la ricorrenza di una delle influenze fa nascere
una vaga aspettativa per quella che abitualmente le succede. La natura
non evolve d’un tratto alcuna qualità, e queste sono le prime e vaghe
immagini di ciò che sarà più tardi memoria e previsione.Nel regno
vegetale appaiono pure i primi albori della sensazione, che nei suoi
membri più elevati si sviluppa sino a quella che gli psicologi
occidentali chiamerebbero sensazione di “massa” del piacere e del
dolore 1. Non bisogna dimenticare che la Monade ha attirato intorno a
sé dei materiali dei piani attraverso ai quali è discesa, e quindi è
atta a percepire gli urti da essi provenienti, dei quali sono per
primi sentiti quelli che hanno maggior forza e che dipendono dalle
forme più dense di materia. La radiazione solare ed il freddo
cagionato dalla sua assenza finiscono per imprimersi nella coscienza
monadica, il cui involucro astrale indotto a deboli vibrazioni dà
luogo a quella specie di vaga sensazione di massa alla quale più sopra
accennammo; la pioggia e la siccità, agendo sulla costituzione
meccanica della forma e sul suo potere di trasmettere vibrazioni alla
Monade che la anima, sono un’altra delle “coppie di opposti”, l’azione
delle quali risveglia la nozione di differenza, fonte di ogni
sensazione e, più tardi, di ogni pensiero. Per tal modo, con le
ripetute loro incarnazioni nelle piante, le anime monadiche di gruppo
evolvono nel regno vegetale fino al punto in cui quelle che ne animano
i membri più elevati sono pronte per un nuovo passo.
Questo passo le porta nel mondo animale, nel quale vanno lentamente
sviluppando una vera e distinta personalità nei loro veicoli astrale e
fisico. L’animale, libero di muoversi, si assoggetta ad una varietà di
condizioni assai più grande di quella che non possa sperimentare la
pianta che è radicata in un dato luogo; e questa varietà, come sempre,
promuove la differenziazione. Però l’anima monadica di gruppo, che
anima un certo numero di animali selvatici della stessa specie o
sottospecie, pur ricevendo una grande varietà di impressioni, non si
differenzia che assai lentamente, perché per la maggior parte quelle
impressioni si ripetono di continuo e sono condivise da tutti i membri
del gruppo.
1 La sensazione di “massa” è quella che è diffusa in tutto l’organismo
e non viene percepita in una parte del corpo piuttosto che in
un’altra. Essa è l’antitesi della sensazione “acuta”.
111
Questi stimoli esterni aiutano lo sviluppo dei corpi astrale e fisico
e per mezzo dì essi l’anima monadica raccoglie molta esperienza.
Quando la forma di un membro del gruppo perisce, l’esperienza fatta
per suo mezzo è accumulata nell’anima monadica del gruppo e le imprime
per così dire, un certo colorito; la vita dell’anima monadica, che per
tal fatto si è leggermente accresciuta, espandendosi in tutte le forme
che compongono il suo gruppo divide fra esse tutta l’esperienza della
forma perita; ed in questo modo le esperienze continuamente ripetute,
immagazzinate nell’anima monadica, appaiono nelle nuove forme, come
istinti, come “esperienze ereditarie accumulate”. Appunto perché una
innumerevole quantità d’uccelli è caduta preda degli sparvieri, gli
uccelletti appena usciti dall’uovo rabbrividiscono all’avvicinarsi di
uno dei loro nemici ereditari; infatti la vita che è in essi incarnata
conosce il pericolo, e l’istinto innato è l’espressione di questa
cognizione. In tal modo si formano i meravigliosi istinti che
salvaguardano gli animali da innumerevoli pericoli abituali, mentre un
pericolo nuovo li trova impreparati e li disorienta.
Quando gli animali vengono sotto l’influenza dell’uomo, l’anima
monadica di gruppo evolve con maggiore rapidità e, per cause simili a
quelle che affrettano la differenziazione nelle piante coltivate, la
suddivisione della vita che in essi si incarna opera con maggiore
prontezza. La personalità si sviluppa e si afferma sempre più; negli
stadi primitivi si può quasi dire che essa è composta, ed infatti
tutto un branco di animali selvatici agirà come se fosse mosso da una
sola personalità, tanto le forme sono completamente dominate
dall’anima comune, la quale a sua volta è affetta dagli impulsi del
mondo esterno. Gli animali domestici dei tipi superiori, quali
l’elefante, il cavallo, il gatto, il cane mostrano invece una
personalità più individuata; due cani, ad esempio, sotto l’impulso
delle stesse circostanze possono agire in maniera assai differente.
L’anima monadica di gruppo si incarna in un numero sempre minore di
forme a misura che si avvicina al punto in cui sarà raggiunta la
completa individuazione. Il corpo dei desideri, o veicolo kamico, si
sviluppa considerevolmente e persiste per qualche tempo dopo la morte
del corpo fisico, conducendo un’esistenza indipendente in Kamaloca. Da
ultimo, il numero di forme animate da un’anima monadica di gruppo si
riduce all’unità e quell’anima allora vivifica una successione di
forme singole, condizione questa che differisce dalla reincarnazione
umana solo per l’assenza del Manas con i suoi corpi causale e mentale.
La materia mentale portata seco dall’anima monadica di gruppo comincia
ad essere suscettibile agli stimoli provenienti dal piano mentale e
l’animale è allora pronto a ricevere la terza grande emanazione della
vita del Logos; il tabernacolo è pronto a ricevere la Monade umana.
La Monade umana è, come abbiamo visto, triplice nella sua natura, ed i
suoi tre aspetti sono rispettivamente denominati lo spirito, l’anima
spirituale e l’anima umana, ovvero Atmâ, Buddhi e Manas. Certamente
nel corso degli immensi periodi dell’evoluzione, la Monade della forma
avrebbe potuto nel suo cammino ascendente sviluppare il Manas per
mezzo di un’evoluzione progressiva; ma tale non fu la via seguita
dalla natura tanto per la razza umana nel passato, come per gli
animali nel presente. Quando la casa fu pronta, l’abitante venne; dai
più alti piani dell’essere la vita atmica discese, velandosi in Buddhi
come un filo d’oro; con l’apparire del suo terzo aspetto, Manas, sui
livelli superiori senza forma del piano mentale, la mente germinale
entro la forma fu fecondata e dall’unione nacque il corpo causale
embrionale. Questa è l’individuazione dello spirito, l’inclusione di
esso nella forma, e codesto spirito racchiuso nel corpo causale è
l’anima, l’individuo, l’uomo reale. La sua nascita nel tempo come
individuo è perciò definita, benché la sua essenza sia eterna, innata
e immortale.
Inoltre, questa emanazione vitale raggiunge le forme in evoluzione non
direttamente, bensì per mezzo di intermediari. Quando la razza umana
fu al punto voluto di ricettività, certi grandi Esseri, chiamati Figli
della Mente 1, proiettarono negli uomini la scintilla monadica di
AtmàBuddhi-Manas, richiesta per la formazione dell’anima embrionale.
Una parte di questi Grandi si incarnarono di fatto in forme umane per
divenire le guide ed i maestri dell’umanità bambina. Questi Figli
della Mente avevano completato la loro evoluzione intellettuale in
altri universi, e vennero al nostro più giovane mondo, la Terra, con
lo scopo di aiutare la razza umana nella sua evoluzione. Essi sono in
verità i padri spirituali della grande massa dell’umanità nostra.
Altre intelligenze di grado assai inferiore, uomini che avevano
evoluto in cicli precedenti su un altro mondo, si incarnarono fra i
discendenti della razza che aveva ricevute le sue anime bambine nel
modo ora descritto; con l’evolvere di questa razza i tabernacoli umani
migliorarono, e miriadi di anime che aspettavano l’opportunità di
incarnarsi per poter continuare la loro evoluzione, nacquero fra i
suoi figli. Anche di queste anime parzialmente evolute si fa cenno
nelle antiche memorie col nome di Figli della Mente, perché
possedevano una mentalità, quantunque relativamente poco sviluppata;
anime bambine possiamo denominarle per distinguerle dalle anime
embrionali della grande massa dell’umanità, e da quelle mature dei
grandi Maestri. Queste anime bambine, a causa della loro intelligenza
più sviluppata, formarono nell’antico mondo il tipo più progredito, la
classe più elevata per mentalità e perciò dotata di quel potere di
acquisir conoscenza che diede loro il dominio sulle masse degli uomini
meno sviluppati dell’antichità.
Così ebbero origine nel nostro mondo le enormi differenze di capacità
mentale e morale che dividono le razze più sviluppate dalle meno
evolute e che, anche nei limiti ristretti di una sola razza, separano
il tipo elevato del pensatore filosofo dai tipi animaleschi degli
individui più depravati. Queste non sono tuttavia che differenze nel
grado di evoluzione e nell’età delle anime, ed sono sempre esistite in
tutta la storia del genere umano sul nostro globo. Si risalga fin dove
è possibile nei ricordi storici e sempre si troverà l’intelligenza più
elevata a lato della più profonda ignoranza, e gli annali occulti che
ci porteranno ancor più lontano nei tempi, ci racconteranno una ugual
storia dei primi millenni dell’umanità. Ma questo non dovrebbe farci
perdere coraggio, perché non si tratta che nella lotta per la vita
alcuni siano stati immeritatamente favoriti, altri ingiustamente
aggravati.
L’anima più sublime ebbe la sua infanzia e la sua adolescenza, ma in
mondi precedenti, dove si trovavano delle anime a lei tanto superiori,
quanto altre le sono ora inferiori; l’anima più arretrata d’oggidì
salirà un giorno all’altezza a cui si trovano presentemente i più
grandi fra noi, ed altre anime non ancora nate occuperanno il suo
posto d’oggi nella scala dell’evoluzione. Le cose ci sembrano
ingiuste, perché noi togliamo il nostro mondo dal posto che gli spetta
nell’evoluzione e vogliamo tenerlo nell’isolamento, senza predecessori
né successori. È la nostra ignoranza che vede un’ingiustizia: le vie
della Natura sono uguali per tutti, ed a tutti i suoi figli essa dà
infanzia, adolescenza e virilità. Non è sua colpa se la nostra follia
chiede che tutte le anime occupino allo stesso tempo l’identico posto
nell’evoluzione, e grida all’ingiustizia se la sua domanda non è
esaudita!
Comprenderemo meglio l’evoluzione dell’anima se la riprendiamo al
punto in cui l’abbiamo lasciata, quando cioè l’uomo-animale fu pronto
per ricevere, e ricevette l’anima embrionale. Onde evitare un
possibile malinteso, sarà bene dire che da quel momento in poi non vi
sono due Monadi nell’uomo, l’una che ha costruito il tabernacolo
umano, l’altra che è discesa in quel tabernacolo ed il cui aspetto
inferiore è l’anima umana. Un paragone di H. P. Blavatsky ci aiuterà:
come due distinti raggi di sole possono passare per un foro di
un’imposta e unendosi insieme formare un raggio solo, così pure è di
questi due raggi del Sole supremo, del divino Signore del nostro
universo. Il secondo raggio, entrando nel tabernacolo umano, si fuse
col primo, solo aggiungendogli energia e fulgori nuovi, e la Monade
umana, come un’unità, iniziò allora l’immane compito di svolgere
nell’uomo i più alti poteri di quella Vita divina da cui provenne.
114
L’anima embrionale, il Pensatore, ebbe in principio per suo corpo
mentale embrionale l’involucro di sostanza mentale che la Monade della
forma aveva portato seco, ma che non aveva ancora organizzato in modo
da poter comunque funzionare. Esso non era che il germe di un corpo
mentale, attaccato ad un semplice germe di corpo causale, e per
moltissime vite la forte natura dei desideri ebbe ragione dell’anima,
trascinandola sulla via delle sue passioni e dei suoi appetiti e
sollevandole contro tutta la sua sfrenata animalità. Per quanto questa
vita primitiva dell’anima possa a tutta prima sembrare ripulsiva
considerata dal livello più elevato che noi abbiamo ora raggiunto,
pure fu necessaria perché il seme della mente potesse germinare. La
nozione di differenza, la percezione cioè che una cosa è diversa da
un’altra, è un preliminare essenziale per poter pensare; e perché
questa percezione si risvegliasse nell’anima che non sapeva ancora
pensare, molti e violenti contrasti dovevano colpirla e imprimervi
profondamente le loro differenze sotto forma di scosse ripetute di
sfrenato piacere, di scosse ripetute di accasciante dolore. Il mondo
esterno attraverso la natura dei desideri martellò duramente l’anima,
finché le percezioni cominciarono lentamente a formarsi e, dopo
innumerevoli ripetizioni, ad essere registrate. I piccoli guadagni
fatti in ogni vita vennero accumulati dal Pensatore, e così ebbe
principio un lento progresso.
Lento progresso, invero, poiché quasi nullo era il vero pensare, e per
conseguenza ben poco si faceva per organizzare il corpo mentale. Fino
a quando non furono molte le percezioni registrate in esso sotto forma
di immagini mentali, non si ebbe il materiale che potesse servire di
base ad un’azione mentale iniziata dall’interno; tale azione poté
cominciare solo quando due o più di quelle immagini mentali furono
poste a confronto e ne venne tratta una induzione per quanto si voglia
elementare. Fu questa induzione l’inizio del ragionamento, il germe di
tutti i sistemi di logica che l’intelletto umano ha poi sviluppato od
assimilato. Tali induzioni furono da principio fatte tutte a profitto
della natura dei desideri, onde accrescere il piacere o diminuire il
dolore; ma nondimeno ognuna di esse aumentava l’attività del corpo
mentale e ne stimolava un più sollecito funzionamento.
Si comprenderà facilmente come in quel periodo della sua infanzia,
l’uomo non avesse la nozione del bene e del male: bene e male non
esistevano per lui. Bene è ciò che è d’accordo con la volontà divina,
che aiuta il progresso dell’anima, che tende a fortificare la natura
superiore dell’uomo e a disciplinare e soggiogare quella inferiore;
male è ciò che ritarda l’evoluzione, che trattiene l’anima negli stadi
inferiori allorché ha già imparato le lezioni che essi possono
insegnarle, è ciò che tende a dare alla natura inferiore la supremazia
sulla superiore e ad assimilare l’uomo a quel bruto che egli dovrebbe
trascendere, invece che a quel Dio in cui dovrebbe svilupparsi.
115
Prima di poter conoscere il bene, l’uomo dovette imparare l’esistenza
di una legge, ed a questo egli non pervenne se non col seguire tutto
ciò che l’attraeva nel mondo esterno e con l’impossessarsi di ogni
oggetto desiderabile, imparando poi dall’esperienza, dolce o amara, se
il godimento era o non era in armonia con la legge. Prendiamo un
esempio ovvio qual’è quello del mangiare un cibo piacevole e vediamo
come l’uomo ancora bambino poté impararvi la presenza di una legge
naturale. La prima volta che mangiò di quel cibo la sua fame si calmò,
il suo gusto fu soddisfatto; e da quella esperienza risultò soltanto
un piacere, perché l’azione fu in accordo con la legge. In un’altra
occasione, desiderando accrescere il godimento, egli mangiò
eccessivamente e conseguentemente soffrì, perché aveva trasgredito la
legge; esperienza sconcertante per quell’intelligenza infantile sul
come il piacevole possa diventare doloroso con l’eccesso. Più e più
volte è trascinato dal desiderio all’eccesso e sempre ne sperimenta le
penose conseguenze; alla fine impara la moderazione, ossia impara a
conformare in quel caso speciale i suoi atti corporei alla legge
fisica; poiché si persuade che vi sono delle condizioni alle quali
deve sottostare e che non può dominare, e che solo osservandole può
assicurarsi la felicità fisica.
Esperienze consimili affluiscono a lui per mezzo di tutti gli organi
del suo corpo con infallibile regolarità; i suoi desideri impetuosi
gli portano piacere o dolore esattamente a seconda che si trovino
d’accordo o in opposizione alle leggi di Natura; ed aumentando così,
la sua esperienza comincia a guidare i suoi passi, a dirigere la sua
scelta. Non si deve però credere che l’individuo debba ad ogni nuova
vita ricominciare da capo le sue esperienze, perché ogni volta egli
porta con sé delle facoltà mentali alquanto aumentate e le va
accrescendo ad ogni nuova incarnazione.
Ho detto che lo sviluppo dell’anima in quei primi tempi procedeva
molto lento poiché non vi era che il primo albore di un’azione
mentale, e che, quando con la morte lasciava il corpo fisico, l’uomo
faceva una lunga dimora in Kamaloka, cui succedeva un breve periodo di
sonno devacianico nel quale avveniva l’assimilazione incosciente delle
minute esperienze mentali non ancora sufficientemente sviluppate per
l’attiva vita celeste che lo attende in un lontano futuro. Pure, il
corpo causale duraturo era già presente per essere il ricettacolo
delle sue qualità e riportarle nella sua prossima vita sulla terra,
per essere sempre più sviluppate. La parte rappresentata dall’anima
monadica di gruppo negli stadi primitivi di evoluzione, è sostenuta
nell’uomo dal corpo causale, che a causa della sua persistenza rende
possibile l’evoluzione in tutti i casi; senza di esso il cumulo delle
esperienze mentali e morali quali facoltà sarebbe tanto impossibile,
quanto lo sarebbe senza la continuità del plasma fisico il cumulo
delle esperienze fisiche che si presentano quali caratteristiche di
famiglia e di razza.
La concezione di anime senza un passato dietro di loro, che vengono
d’un tratto in esistenza dal nulla, con qualità mentali e morali ben
distinte, è nel campo morale così mostruosa, come lo sarebbe nel campo
fisico quella di bambini che apparissero improvvisamente dal nulla,
nati da nessuno, ma che presentassero però tipi ben marcati di
famiglia e di razza. Né l’uomo, né il suo veicolo fisico sono
incausati, oppure causati dal potere creatore diretto del Logos; in
questo, come in tanti altri casi, le cose invisibili si vedono
chiaramente per loro analogia con le visibili, essendo queste, in
verità, null’altro che le immagini, i riflessi delle cose che non si
vedono. Senza una continuità nel plasma fisico non vi sarebbe alcun
mezzo per l’evoluzione di particolarità fisiche; senza la continuità
dell’intelligenza non vi sarebbe alcun mezzo per l’evoluzione di
qualità morali e mentali; in ambedue i casi, senza una continuità,
l’evoluzione sarebbe arrestata al suo primo stadio ed il mondo sarebbe
un caos di infiniti ed isolati inizi, invece di essere un cosmo in
continuo divenire.
Non dobbiamo dimenticare che in quei tempi primitivi l’ambiente che
circonda l’individuo è causa occasionale di molte varietà nel tipo e
nella natura del progresso individuale. È vero che tutte le anime
devono alla fine sviluppare tutti i loro poteri, ma l’ordine in cui
questi poteri si sviluppano dipende dalle circostanze fra le quali
l’anima si trova posta. Il clima, la fertilità o la sterilità del
suolo, la vita sui monti o al piano, nelle foreste, entro terra o
sulle rive del mare, tutte queste cose ed altre innumerevoli
risveglieranno all’attività un genere piuttosto che un altro delle
incipienti energie mentali. Una vita di privazioni estreme, di lotta
incessante con la natura, svilupperà dei poteri molto differenti da
quelli evoluti fra la lussureggiante abbondanza di un’isola tropicale.
Ambedue i generi di poteri sono necessari, poiché l’anima deve
conquistare tutte le regioni della natura; ma la diversità di ambiente
produrrà delle differenze notevolissime anche fra anime della stessa
età, così che una potrà apparire più progredita di un’altra, a seconda
che l’osservatore tenga in maggior conto i poteri dell’anima più
“pratici” o i più “contemplativi”, le attive energie esteriori o le
calme facoltà meditative interiori. L’anima perfetta le possiede
tutte; ma l’anima in formazione deve sviluppare successivamente ciò
che costituisce una nuova causa dell’immensa varietà che si riscontra
fra gli esseri umani.
E qui sarà bene ricordare che l’evoluzione umana è individuale. In un
gruppo formato da una singola anima monadica, gli stessi istinti si
ritroveranno in tutti i membri, poiché il ricettacolo delle esperienze
è quell’anima monadica di gruppo ed essa immette la sua vita in tutte
le forme che da lei dipendono. Ma ogni uomo ha un veicolo fisico a sé
e uno solo alla volta, e il ricettacolo di tutte le esperienze è il
corpo causale, il quale immette la sua vita nel suo unico veicolo
fisico, e non può aver azione su altri veicoli fisici, non avendo
rapporto di
connessione con nessun altro. Da qui segue che le differenze fra un
uomo e l’altro riescono assai più grandi di quelle che siano mai
esistite fra animali strettamente affini; ciò fa sì che anche le
qualità non si possano studiare negli uomini in massa, bensì solo
nell’individuo che perdura. La mancanza di facoltà adatte per un tale
studio rende la scienza incapace di spiegare perché alcuni uomini
torreggiano sui loro simili, veri giganti intellettuali e morali, e la
mette nell’impossibilità di descrivere l’evoluzione intellettuale di
un Shankaracharya o di un Pitagora, l’evoluzione morale di un Buddha o
di un Cristo.
Consideriamo ora i fattori della reincarnazione, perché una loro
chiara comprensione è necessaria per spiegare alcune difficoltà (quale
ad esempio la pretesa perdita della memoria) sentite da chi non è
familiare con questa idea. Vedemmo che l’uomo nel suo passaggio per la
morte fisica, il Kamaloka e il Devachan perde, uno dopo l’altro, i
vari suoi corpi: il fisico, l’astrale e il mentale. Questi corpi si
disintegrano tutti e le loro particelle si mescolano di nuovo coi
materiali dei rispettivi piani. Il nesso fra l’uomo e il suo veicolo
fisico viene interamente spezzato; ma i corpi astrale e mentale
trasmettono all’uomo vero, al Pensatore, i germi delle facoltà e delle
qualità risultanti dalle attività della vita terrena, germi che
vengono ritirati entro il corpo causale, e che sono i semi dei suoi
corpi astrale e mentale futuri. A questo punto dunque non resta che
l’uomo vero, il lavoratore che ha portato a casa il suo raccolto e che
di esso vive finché non l’abbia tutto elaborata in se stesso. Quando
appare l’alba di una nuova vita, egli deve uscire di nuovo a compiere
la sua giornata di lavoro.
La nuova esistenza comincia col ravvivarsi dei germi mentali, i quali
attirano attorno a sé i materiali dei livelli mentali inferiori,
finché da essi non si sia sviluppato un corpo mentale che rappresenti
esattamente lo stadio intellettuale raggiunto dall’uomo, e che ne
esprime sotto forma di organi tutte le sue facoltà; le esperienze del
passato non esistono come immagini mentali in questo nuovo corpo,
perché come tali scomparvero col perire del vecchio corpo mentale, e
di loro non resta che l’essenza, i loro effetti sulle facoltà. Le
esperienze furono il cibo della mente, i materiali che questa trasmutò
in poteri, e quali poteri esse riappaiono nel nuovo corpo, ne
determinano i componenti e ne formano gli organi.
Allorché l’uomo, il Pensatore, si è così rivestito di un nuovo corpo
per la sua prossima vita sui livelli mentali inferiori, gli si
procura, vivificando i germi astrali, un corpo astrale per la sua vita
sul piano astrale. Questo corpo, a sua volta, rappresenta esattamente
la sua natura passionale, riproducendo così fedelmente le qualità
sviluppate in passato, come il seme riproduce la pianta madre. L’uomo
è in tal modo pronto e completamente equipaggiato per la sua prossima
incarnazione; e la memoria degli eventi del suo passato sussiste solo
nel corpo causale, nella sua forma duratura, l’unico corpo che passi
da una vita all’altra.
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Frattanto, fuori di lui, si lavora a preparargli un corpo fisico
adatto ad esprimere le sue qualità. Nelle vite precedenti egli strinse
dei legami, contrasse dei debiti verso altri esseri umani, e una parte
di quei legami e di quei debiti concorreranno a determinare il luogo e
la famiglia dove andrà a nascere 1. Egli fu in passato sorgente di
felicità o di infelicità per altri, e sarà questo un fattore nello
stabilire le condizioni della sua vita imminente. La sua natura
passionale è ben disciplinata oppure è sregolata e violenta; anche di
questo si terrà conto per l’eredità fisica del nuovo corpo. Egli
coltivò certe facoltà mentali, come per esempio quelle artistiche;
questo pure sarà tenuto presente, poiché anche l’eredità fisica è un
fattore importante nei casi in cui si richieda una speciale
delicatezza di organizzazione nervosa e grande squisitezza di sensi.
Lo stesso si dica di tutte le innumerevoli varietà di casi.
Potendo l’uomo avere, anzi avendo certamente in sé, molte
caratteristiche che non si accordano tra di loro, non è possibile
formare per lui un corpo nel quale tutte quante trovino la loro
espressione, e perciò sarà necessario fare la scelta di quei suoi
poteri che si prestano ad essere espressi simultaneamente. Tutto ciò è
compiuto da alcune potenti Intelligenze spirituali2, chiamate spesso i
Signori del Karma perché la loro funzione consiste nel sovrintendere
alla risoluzione delle cause continuamente generate dai pensieri, dai
desideri e dalle azioni. Essi tengono nelle loro mani le fila del
destino che ogni uomo ha intessuto, e guidano colui che è sulla via di
reincarnarsi verso l’ambiente determinato dal suo passato, scelto
inconsciamente da lui stesso nella sua vita precedente.
Stabilite in tal modo razza, nazione, famiglia, quei grandi Esseri
danno ciò che si potrebbe chiamare il modello del corpo fisico, adatto
ad esprimere le qualità dell’individuo e ad esplicare le cause da lui
generate. Il nuovo doppio eterico, copia di quel modello, è costruito
nell’utero materno mediante il lavoro di un elementale, il cui potere
motore è il pensiero dei Signori del Karma. Il corpo fisico denso è
costruito dentro il doppio eterico molecola per molecola, seguendone
esattamente la forma, e, per ciò che riguarda i materiali provvisti,
l’eredità fisica ha qui pieni poteri. Inoltre i pensieri e le passioni
delle persone circostanti, e specialmente del padre e della madre che
sono sempre presenti, influenzano nel suo lavoro l’elementale
costruttore, per cui avviene che gli individui, coi quali l’uomo che
sta incarnandosi aveva formato dei legami nel passato, agiscono sulle
condizioni fisiche che si stanno preparando per la sua nuova vita
terrena.
Il nuovo corpo astrale viene prestissimo in contatto col doppio
eterico, esercitando una considerevole influenza sulla sua formazione,
e per suo mezzo il corpo mentale agisce sull’organizzazione nervosa,
preparandola a diventare in futuro uno strumento adatto alla propria
espressione. Questa influenza, cominciata nella vita prenatale (così
che un fanciullo, venendo al mondo, rivela nella sua conformazione
cerebrale l’estensione e l’equilibrio delle sue qualità mentali e
morali), continua ancora dopo la nascita, e la formazione del cervello
e dei nervi e la loro correlazione con i corpi astrale e mentale
procedono fino al settimo anno, età in cui il nesso fra l’uomo ed il
suo veicolo fisico è completo, così che si può dire che egli lavori
d’ora innanzi per mezzo di esso piuttosto che sopra di esso.
Fino a quell’età la coscienza del Pensatore è più nel piano astrale
che nel piano fisico, ciò che è spesso provato dall’azione delle
facoltà psichiche nei fanciulli; essi vedono invisibili compagni e
paesaggi incantati, odono voci inudibili dalle persone più attempate,
ricevono impressioni fantastiche e delicate del piano astrale. Questi
fenomeni svaniscono generalmente a misura che il Pensatore comincia a
lavorare effettivamente col veicolo fisico, ed il bimbo sognatore
diviene allora il ragazzo comune, spesso con grande sollievo dei
genitori impensieriti per le “stranezze” del loro bimbo delle quali
essi ignorano totalmente le cause. La maggior parte dei bambini hanno
almeno un breve periodo di queste “stranezze”, ma imparano presto a
celare le loro fantasticherie e le loro visioni per tema del biasimo
o, quel che è ancor peggio per loro, del ridicolo. Se i genitori
potessero vedere i cervelli dei loro figlioletti, che vibrano sotto un
inestricabile intreccio di impulsi fisici e astrali, affatto
inestricabile anche ai piccini stessi, e che ricevono a volte, tanto
sono plastici, delle impressioni persino dalle regioni più alte, sotto
forma di una visione di bellezze eteree, di fatti gloriosi, sarebbero
certo più pazienti, più attenti alle ciarle confuse dei bimbi che si
ingegnano di tradurre col difficile mezzo di parole inusate le
fuggevoli impressioni delle quali sono coscienti e che cercano di
afferrare e ritenere. La reincarnazione, se fosse ammessa e compresa,
solleverebbe la vita del bambino nel suo aspetto più penoso, nella
lotta cioè che l’anima sostiene senza alcun aiuto per acquistare il
dominio sui suoi nuovi veicoli, e per collegarsi completamente al suo
corpo più denso senza perdere il potere di impressionare i più
sottili, per modo che questi siano capaci di trasmettere a quello le
loro vibrazioni più delicate.
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