di Annie Besant
COMPENDIO DEGLI INSEGNAMENTI TEOSOFICI
DEDICATO
CON GRATITUDINE RIVERENZA ED AMORE
A
H. P. BLAVATSKY
CHE MI MOSTRÒ LA LUCE
Parte nona
CAP. VIII
LA REINCARNAZIONE
Gli stadi ascendenti di coscienza, per i quali il Pensatore
reincarnandosi passa durante il lungo ciclo di vite nei tre mondi
inferiori, sono chiaramente delineati, e l’ovvia necessità di molte
vite in cui sperimentare quegli stadi, ammesso che egli debba
evolvere, porterà alle menti più riflessive la convinzione più
profonda sulla verità della reincarnazione.
Il primo stadio è quello nel quale tutte le esperienze sono sensorie,
il solo contributo della mente consistendo nel riconoscere che il
contatto con alcuni oggetti è seguito da una sensazione di piacere,
mentre il contatto con altri è seguito da una sensazione di dolore. Da
questi contatti hanno origine dei quadri mentali, i quali cominciano
tosto ad agire quali stimoli alla ricerca degli oggetti associati con
l’idea di piacere quando questi non sono presenti, ed è così che
appare il germe della memoria e dell’iniziativa mentale. Tale prima e
grossolana divisione del mondo esterno è seguita dall’idea più
complessa dei rapporti quantitativi di piacere o di dolore, a cui già
accennammo.
In questo stadio di evoluzione la memoria ha una durata brevissima, o,
in altri termini, le immagini mentali sono assai transitorie. L’idea
di prevedere il futuro dal passato, anche in modo affatto rudimentale,
non è ancora spuntata nel Pensatore bambino, e le sue azioni sono
guidate all’esterno dagli stimoli che gli pervengono dal mondo
esterno, o tutt’al più dagli impulsi dei suoi appetiti e delle sue
passioni anelanti all’appagamento. Per la soddisfazione del momento
egli sprecherà qualunque cosa, per quanto possa essere necessaria al
suo futuro benessere: il bisogno del momento vince ogni altra
considerazione. Esempi numerosi di anime umane in simili condizioni
embrionali si possono trovare nelle relazioni di viaggi, e la
necessità di molte vite non può fare a meno di imprimersi nella mente
di chiunque studia la condizione mentale dei selvaggi meno evoluti e
la paragona con la condizione mentale dei membri, anche comuni,
dell’umanità nei nostri paesi.
Inutile dire che la capacità morale non è più sviluppata di quella
mentale; l’idea di bene e di male non è ancora stata concepita. Né è
possibile trasmettere ad un’anima, per nulla sviluppata, una nozione
anche elementare sia del bene che del male. Bene e piacevole sono per
essa termini permutabili, come nel caso ben noto del selvaggio
australiano, riferito da Carlo Darwin. Spinto dalla fame quell’uomo
scannò la più vicina creatura vivente che potesse servirgli da cibo e
che si trovò ad essere sua moglie; un europeo, che gli fece delle
rimostranze per la sua malvagità, non riuscì a produrre su di lui
alcuna impressione, poiché dal rimprovero che il mangiare la moglie
fosse cosa assai cattiva, il selvaggio ricavava questa sola
conclusione: che lo straniero a torto pensasse che la carne della
moglie fosse disgustosa od indigesta, e gli rispondeva con un
tranquillo sorriso e battendosi con compiacenza sul ventre: “È molto
buona”. Misurate ora col pensiero la distanza morale fra quell’uomo e
un S.Francesco d’Assisi, e vi convincerete che o deve esistere
un’evoluzione delle anime come esiste quella dei corpi, o che nel
regno dell’anima vi devono essere costantemente dei miracoli e delle
creazioni mostruose.
Per due vie l’uomo può gradatamente emergere da questa condizione
mentale embrionale: o può essere direttamente guidato e diretto da
uomini assai più sviluppati di lui, oppure può essere lasciato senza
aiuto ad un naturale e lento sviluppo. Quest’ultimo caso richiederebbe
un numero incalcolabile di millenni, perché senza esempio e senza
disciplina, abbandonato agli stimoli sempre mutevoli degli oggetti
esterni ed agli urti con altri uomini tanto poco sviluppati quanto
lui, le sue energie interne non potrebbero svegliarsi che assai
lentamente.
Invece sta il fatto che l’uomo si è sviluppato per via del precetto e
dell’esempio diretto e della disciplina imposta. Abbiamo già veduto
che allorquando la massa. dell’umanità comune ricevette la scintilla
che portò in essere il Pensatore, alcuni dei più grandi Figli della
Mente si incarnarono quali Maestri, e che vi fu pure una lunga
successione di Figli della Mente meno avanzati, a vari stadi di
evoluzione, i quali presero un corpo di carne mettendosi alla testa
del grande flusso dell’umanità. Questi ultimi governarono i meno
sviluppati, sotto la benefica direzione dei grandi Maestri, e la
forzata obbedienza a regole elementari di vita buona (molto elementari
invero dapprincipio) affrettarono assai lo sviluppo di facoltà morali
e mentali nelle anime embrionali. Per non parlare di altri ricordi, i
resti giganteschi di civiltà da lungo tempo scomparse, testimoniando
di una grande abilità meccanica e di concezioni intellettuali molto
superiori alle possibilità della massa dell’umanità tuttora
nell’infanzia, bastano a provare la presenza sulla terra di uomini la
cui mente era capace di vasti progetti e di poderose esecuzioni.
Continuiamo a studiare il primo stadio dell’evoluzione della
coscienza. La sensazione era signora dispotica della mente, ed i primi
sforzi mentali erano stimolati dal desiderio, ciò che condusse l’uomo
penosamente e lentamente a prevedere, a far dei progetti. Egli
cominciò a riconoscere un’associazione definita di certe immagini
mentali, e ad aspettare, quando una appariva, la comparsa dell’altra
che sino allora l’aveva invariabilmente seguita; cominciò a fare delle
induzioni e perfino ad iniziare un’azione fidandosi di quelle
induzioni, ciò che costituiva un grande passo innanzi. E cominciò pure
ad esitare di quando in quando nel cedere agli impulsi veementi del
desiderio, quando trovava per ripetute esperienze che la soddisfazione
agognata si associava nella sua mente col susseguente ricorrere del
dolore.
Questa azione fu sollecitata di molto dalla pressione su lui
esercitata da leggi espresse verbalmente, con le quali gli veniva
proibito di concedersi certe soddisfazioni, e gli era detto che la
sofferenza avrebbe seguito la disobbedienza. E l’avverarsi del dolore
annunziato come conseguenza al disobbedire, ogni qualvolta egli cedeva
alla tentazione di afferrare l’oggetto desiderato, faceva sulla sua
mente un’impressione assai più forte che non avrebbe fatto l’avverarsi
inatteso — e quindi per lui fortuito — della stessa cosa non predetta.
In tal modo sorgeva un continuo conflitto fra memoria e desiderio, e
la mente diveniva con ciò più attiva ed era spinta ad un funzionamento
più vivace. Quel conflitto segnava in realtà il passaggio al secondo
grande stadio.
In questo cominciò ad apparire il germe della volontà. Il desiderio e
la volontà guidano le azioni dell’uomo, e la volontà fu anche definita
come il desiderio che esce trionfante dalla lotta dei desideri. Ma
questo non è che un semplice modo superficiale di vedere che non
spiega nulla. Il desiderio è l’energia estrinsecata del Pensatore, la
cui direzione è determinata dall’attrazione di oggetti esterni. La
volontà è l’energia estrinsecata del Pensatore, determinata nella sua
direzione dalle conclusioni che la ragione ha tratto da esperienze
passate, ovvero determinata dall’intuizione diretta del Pensatore
medesimo. In altri termini, il desiderio è guidato dall’esterno, la
volontà dall’interno.
Al principio dell’evoluzione dell’uomo il desiderio ha su di lui un
impero assoluto e lo sospinge in qua e in là; a metà dell’evoluzione
desiderio e volontà sono in continua lotta fra loro e la vittoria
resta ora all’uno ora all’altra; alla fine dell’evoluzione il
desiderio è morto e la volontà regna sovrana assoluta. Finché il
Pensatore non sia abbastanza sviluppato per vedere direttamente, la
volontà sarà da lui guidata per mezzo della ragione; e, siccome la
ragione non può trarre le sue conclusioni che dalla sua provvista
d’immagini mentali, ossia dalla sua esperienza, e siccome questa
provvista è limitata, così la volontà imporrà continuamente delle
azioni sbagliate. La sofferenza derivante da queste azioni sbagliate
aumenta il cumulo d’immagini mentali, fornendo per tal modo alla
ragione un aumento di materiali da cui trarre le sue conclusioni. Così
si progredisce e nasce la sapienza.
Il desiderio si mescola spesso alla volontà, così che ciò che sembra
determinato dall’interno, è realmente in gran parte motivato dagli
appetiti della natura inferiore per oggetti che le procurano
soddisfazione. Invece di un’aperta lotta fra i due, avviene allora che
la natura inferiore si insinua sottilmente nella corrente di quella
superiore e ne devia il corso. Sconfitti in campo aperto, i desideri
della personalità cospirano così contro il loro vincitore ed ottengono
spesso con l’astuzia quello che non riuscirono ad ottenere con la
forza. Durante tutto questo secondo grande stadio, nel quale le
facoltà della mente inferiore sono in pieno corso di evoluzione, la
condizione normale è quella di conflitto, conflitto fra l’impero delle
sensazioni e quello della ragione.
L’umanità ha da risolvere il problema di metter fine al conflitto, pur
conservando la libertà della volontà; di determinare la volontà
inevitabilmente al meglio, lasciando tuttavia quel meglio come
soggetto di scelta. Il meglio deve essere scelto, ma per un atto
volitivo spontaneo che dovrà compiersi con la sicurezza di una
necessità prestabilita. La certezza di una legge ineluttabile deve
essere ottenuta da innumerevoli volizioni, ognuna lasciata libera di
determinare il proprio corso. La soluzione del problema è semplice
quando è conosciuta, sebbene le contraddizioni appaiono a prima vista
non conciliabili.
L’uomo sia libero di scegliere le sue proprie azioni, ma ognuna di
queste porti il suo inevitabile risultato; si immerga egli negli
oggetti dei desideri ed afferri quanto meglio gli piaccia, ma abbia
tutti i risultati della sua scelta, siano essi piacevoli o dolorosi.
Egli arriverà ben presto prima a respingere volontariamente, poi a non
desiderare più affatto quegli oggetti, il cui possesso secondo la sua
costante esperienza finisce sempre per cagionargli dolore. Lotti pure
per procurarsi il piacere ed evitare il dolore; la legge lo dominerà
pur sempre, la lezione verrà ripetuta quanto basti e la reincarnazione
gli offrirà tante vite quante ne bisogneranno allo scolaro più tardo.
A poco a poco il desiderio per un oggetto che reca dolore morrà, e
quando la cosa gli si offrirà con tutte le sue attraenti lusinghe,
egli la respingerà non per forza, ma per libera scelta, perché non è
più per lui desiderabile, avendo perduto il potere di sedurlo. Accade
così di una cosa dopo l’altra: la scelta si va sempre più accordando
con la legge. “Molte sono le vie dell’errore; la via della verità è
una sola”; quando tutte le vie dell’errore sono state percorse, quando
si è trovato che tutte finiscono nel dolore, allora la determinazione
di seguire la via della verità diventa incrollabile, perché fondata
sulla conoscenza.
I regni inferiori lavorano armoniosamente, perché spinti dalla legge;
il regno umano è un caos di volontà in lotta fra loro e ribelli alla
legge, ma da questo regno si sviluppa ben presto una unità più nobile,
una scelta armonica di obbedienza volontaria; questa obbedienza,
appunto per essere volontaria e fondata sulla conoscenza e sulla
memoria dei risultati derivati dalla disobbedienza, è stabile e non
può essere scossa da alcuna tentazione. Come essere ignorante e senza
esperienza, l’uomo sarebbe stato sempre in pericolo di cadere; ma come
un Dio, conoscendo per esperienza il bene ed il male, la sua scelta
del bene è fissata per sempre senza tema di mutamento.
Nel dominio della morale la volontà è chiamata generalmente coscienza,
ed anche in questo campo, come nelle altre sue attività, è soggetta
alle medesime difficoltà. Finché si tratta di azioni già più volte
ripetute e le cui conseguenze sono familiari sia alla ragione, sia al
Pensatore stesso, la coscienza dà una risposta pronta e netta; ma
quando si presentano dei problemi nuovi, sulla cui soluzione
l’esperienza è muta, allora la coscienza non può parlare con
sicurezza; la ragione, la quale non è in grado di formulare altro che
una dubbiosa induzione, le suggerirà una risposta esitante, ed il
Pensatore stesso non può far sentire la sua voce se nella sua
esperienza non sono incluse le circostanze che ora si presentano.
Quindi la coscienza decide spesso in maniera errata: vale a dire che
la volontà, mancando di una chiara direzione da parte della ragione o
dell’intuizione, guida male l’azione.
Né dobbiamo trascurare di tener conto delle influenze che agiscono
sulla mente dall’esterno, dalle forme di pensiero altrui, degli amici,
della famiglia, della comunità, della nazione 1. Tutti questi pensieri
circondano e penetrano la mente con la loro propria atmosfera,
sfigurando l’apparenza delle cose ed alterandone le proporzioni. Così
influenzata, la ragione spesso non riesce nemmeno a giudicare con
calma secondo la sua propria esperienza e trae delle conclusioni false
perché studia le cose attraverso un mezzo alterante.
L’evoluzione delle facoltà morali è assai fortemente stimolata dagli
affetti, per quanto essi siano animali ed egoistici, durante
l’infanzia del Pensatore. Le leggi della morale sono stabilite dalla
ragione illuminata, che discerne le vie per le quali la Natura si
muove e rende la condotta umana consona con la Volontà divina. Ma
l’impulso ad obbedire a quelle leggi, quando nessuna forza esterna lo
imponga, ha la sua radice nell’amore, in quella divinità nascosta
nell’uomo la quale cerca di espandersi, di donarsi agli altri. La
morale ha principio nel Pensatore bambino allorché egli è per la prima
volta mosso dall’amore per la moglie, per il figlio, per l’amico, a
compiere qualche azione in servizio della persona amata senza pensare
affatto ad un guadagno personale,
È questo il primo trionfo ottenuto sulla natura inferiore, il cui
completo soggiogamento significa assoluta perfezione morale. E da ciò
si può misurare l’importanza di non distruggere mai gli affetti, né
cercare di affievolirli, come si fa in molte delle forme inferiori di
occultismo. Per quanto impuri e rozzi possano essere, gli affetti
offrono tuttavia delle possibilità di evoluzione morale che sono
negate all’uomo di cuore freddo e chiuso. È assai più facile
purificare l’amore che crearlo, ed è per questa ragione che fu detto
dal grande Maestro essere “i peccatori” più vicini al regno dei cieli
che non gli Scribi e i Farisei.
Il terzo grande stadio di coscienza consiste nello sviluppo dei poteri
intellettuali superiori; la mente non si ferma più interamente sopra
immagini mentali ottenute dalla sensazione, non ragiona più sopra
oggetti puramente concreti, né si interessa degli attributi che li
differenziano l’uno dall’altro. Il Pensatore, avendo imparato a
discernere chiaramente i diversi oggetti col riflettere sulle loro
dissomiglianze, comincia ora a raggrupparli insieme mediante qualche
attributo che appare in una quantità di oggetti tuttavia dissimili e
che forma come un anello di congiunzione fra essi. Egli ricava, estrae
questo attributo comune e separa tutti gli oggetti che lo posseggono
dagli altri che ne sono privi; ed in questo modo evolve la facoltà di
riconoscere l’identità nella diversità, ciò che costituisce un passo
verso la nozione ancora molto lontana dell’Unità che sta dietro la
pluralità. Egli classifica in tal guisa tutto ciò che lo circonda,
sviluppando la facoltà della sintesi ed imparando a costruire, così
come ad analizzare.
Fa poi ancora un passo, e riesce a concepire la proprietà comune come
idea, separatamente da tutti gli oggetti nei quali si riscontra,
costruendo così un’immagine mentale di un ordine più elevato che non
sia quella di un oggetto concreto — l’immagine cioè di un’idea che non
ha esistenza fenomenica nei mondi della forma, ma che esiste sui
livelli superiori del piano mentale, e fornisce del materiale sul
quale il Pensatore stesso può lavorare.
La mente inferiore raggiunge l’idea astratta per mezzo della ragione e
compie così il suo volo più ardito, affacciandosi alla soglia del
mondo senza forma e scorgendo vagamente ciò che sta al di là; il
Pensatore vede queste idee e vive abitualmente fra esse, e quando ha
sviluppato ed esercita il potere del ragionamento astratto, diviene
pronto ad agire nel suo proprio mondo e comincia a funzionare nella
sua vera sfera d’azione. Siffatti uomini poco si curano della vita dei
sensi, né si danno pensiero dell’osservazione esterna o
dell’applicazione mentale ad immagini di oggetti esterni; i loro
poteri sono rivolti verso l’interno e non più verso la ricerca di
soddisfazioni fuori di loro stessi. Essi vivono calmi, immersi nello
studio dei problemi filosofici, degli aspetti più profondi della vita
e del pensiero e cercando di comprendere le cause piuttosto che di
preoccuparsi degli effetti; si avvicinano sempre più verso la
conoscenza dell’Uno che sta dietro tutte le diversità della Natura
esterna.
Nel quarto stadio di coscienza si vede quell’Uno, e col trascendere le
barriere innalzate dall’intelletto la coscienza si espande ad
abbracciare il mondo, scorgendo tutte le cose in sé e come parti di
sé, e riconosce se stessa come un raggio del Logos e perciò una con
Lui. Dov’è allora il Pensatore? È divenuto Coscienza, e mentre l’Anima
spirituale può a suo piacimento servirsi dell’uno o dell’altro dei
suoi veicoli inferiori, egli non è più limitato al loro uso, né ha di
essi bisogno per questa vita piena e cosciente. La reincarnazione
obbligatoria a questo punto è finita e l’uomo ha vinto la morte, ha
veramente raggiunto l’immortalità. Allora è divenuto ” una colonna nel
tempio di Dio e non ne uscirà mai più!”.
Per completare questa parte del nostro studio ci è necessario
comprendere in che modo i diversi veicoli della coscienza vengono
successivamente vivificati e resi attivi quali strumenti armonici
dell’Anima umana.
Abbiamo veduto che, fin dai primi tempi della sua vita separata, il
Pensatore possedeva degli involucri di materia mentale, astrale,
fisica eterica e fisica densa. Questi involucri costituiscono i mezzi
per i quali la sua vita vibra all’esterno, il ponte della coscienza
come potremmo chiamarlo, lungo il quale ogni impulso del Pensatore
arriva al corpo fisico denso e viceversa ogni stimolo del mondo
esterno arriva al Pensatore. Ma questo uso generale dei corpi
successivi come parti di un tutto coordinato, è ben altra cosa dal
vivificarsi di ognuno di essi successivamente, onde servire come
veicolo distinto di coscienza indipendentemente da quelli al di sotto
di esso. È appunto questa vivificazione dei veicoli che dobbiamo
esaminare.
Il veicolo più basso, il corpo fisico denso, è il primo che deve
essere organizzato per un’attività armonica; ed il cervello e il
sistema nervoso devono essere elaborati e resi delicatamente
responsivi ad ogni vibrazione compresa nella loro gamma di potere
vibratorio. Negli stadi primitivi, allorché quel corpo è composto
delle specie più grossolane di materia, questa gamma è estremamente
limitata, e l’organo fisico della mente non può rispondere che alle
più lente vibrazioni provenienti dall’interno, mentre la sua risposta
è assai più pronta, come è naturale, per gli stimoli provenienti da
oggetti del mondo esterno simili ad esso per la materia di cui sono
composti.
La vivificazione del corpo fisico denso quale veicolo di coscienza
consiste nel renderlo responsivo alle vibrazioni iniziate
dall’interno, e la rapidità di questa vivificazione dipende dalla
cooperazione della natura inferiore con quella superiore, dalla sua
leale subordinazione alla forza direttiva interna. Quando, dopo molti,
molti periodi di vita spunta nella natura inferiore l’idea che essa
esiste per gli scopi dell’anima, che tutto il suo valore dipende
dall’aiuto che all’anima può dare, che si guadagnerà l’immortalità
solo fondendosi in quella, allora la sua evoluzione procede a passo di
gigante. Prima di allora l’evoluzione è stata incosciente: da
principio le soddisfazioni della natura inferiore erano lo scopo della
vita, e, questo, pure essendo un preliminare necessario per
risvegliare le energie del Pensatore, non contribuì affatto in modo
diretto a fare del corpo un veicolo di coscienza; il lavoro diretto
sopra di esso comincia quando la vita dell’uomo stabilisce il proprio
centro nel corpo mentale, e quando il pensiero comincia a dominare la
sensazione.
L’esercizio dei poteri mentali agisce sul cervello e sul sistema
nervoso, in modo che i materiali più rozzi vengono gradatamente
espulsi e sostituiti con altri più fini, che possano vibrare
all’unisono con le vibrazioni di pensiero loro trasmesse. Il cervello
si raffina nella sua costituzione, e per mezzo di circonvoluzioni
sempre più complesse accresce l’estensione superficiale che può esser
ricoperta di materia nervosa adatta a rispondere alle vibrazioni di
pensiero. Il sistema nervoso diventa più delicatamente equilibrato,
più sensitivo e più pronto nel rispondere ad ogni fremito
dell’attività mentale; e quando ha riconosciuto come sua vera funzione
quella di servire di strumento all’Anima, da quell’istante principia a
cooperare attivamente con lei.
La personalità comincia a disciplinarsi deliberatamente ed a porre gli
interessi permanenti dell’individualità immortale al disopra delle
proprie soddisfazioni transitorie; essa dedica all’evoluzione dei
poteri mentali quel tempo che avrebbe potuto impiegare nella ricerca
di piaceri più bassi, e giorno per giorno risparmia il suo tempo per
occuparlo in uno studio serio. Il cervello viene sottoposto alla
ricezione degli impulsi interni invece di quelli esterni, viene
educato a rispondere a pensieri consecutivi ed a frenarsi
nell’emissione di immagini inutili e slegate, fatte di impressioni
passate; viene insomma abituato a restare in riposo quando l’opera sua
non è richiesta dal suo signore, a rispondere a vibrazioni, non ad
iniziarle 1.
Inoltre si userà di un certo discernimento e di una certa discrezione
nella scelta delle sostanze alimentari che forniscono materiali fisici
al cervello; viene tralasciato l’uso di cibarsi dei generi più
grossolani, quali la carne animale, il sangue e l’alcool, ed
un’alimentazione pura costruirà un corpo puro. Gradatamente le
vibrazioni più basse non troveranno più materiali capaci di risponder
loro, ed il corpo fisico andrà così diventando sempre più un vero
veicolo di coscienza, delicatamente sensitivo e responsivo a tutte le
vibrazioni emesse dal Pensatore.
Non occorre studiare separatamente la purificazione e la vivificazione
del doppio eterico, tanto esso segue da vicino la costituzione del
corpo fisico denso; normalmente non serve quale veicolo separato di
coscienza, ma lavora in accordo sincrono con la sua controparte di
carne, e quando un incidente qualsiasi o la morte lo separano da essa,
non risponde che assai debolmente alle vibrazioni iniziate
dall’interno. La sua funzione, in verità, non consiste nel servire
come veicolo della coscienza mentale, ma come veicolo di Prâna, della
forza vitale specializzata, ed è per questa ragione che il suo
allontanamento dal corpo fisico denso al quale trasmette le correnti
vitali è nocivo e pericoloso.
1 Uno dei segni dai quali risulta che questo lavoro si va compiendo, è
la cessazione dell’intreccio confuso di immagini frammentarie formate
durante il sonno dall’attività indipendente dei cervelli fisici.
Quando si riesce a rendersi padroni del proprio cervello, questo
genere di sogni è sperimentato molto di rado.
Il corpo astrale è il secondo veicolo di coscienza da vivificare, e
vedemmo già i cambiamenti che subisce onde organizzarsi per il suo
compito 1. Prima di questa organizzazione la coscienza lavora dentro
di esso, essendovi come imprigionata, allorché lasciato nel sonno il
corpo fisico, vaga nel mondo astrale; ma quando l’organizzazione è
completa, la coscienza comincia non solo a ricevere per suo mezzo le
impressioni di oggetti astrali le quali formano la così detta
coscienza di sogno, ma anche a percepire coi propri sensi degli
oggetti astrali, vale a dire, comincia a riferire le impressioni
ricevute agli oggetti che le provocano. Queste percezioni sono da
principio confuse, precisamente come lo sono quella della mente nel
periodo infantile di un nuovo corpo fisico, e tanto nell’uno come
nell’altro caso hanno bisogno di essere corrette dall’esperienza.
Il Pensatore deve scoprire gradatamente i nuovi poteri, di cui può far
uso mediante questo più sottile veicolo, e che lo pongono in grado di
dominare gli elementi astrali e difendersi contro i pericoli di quel
piano. Egli non è però lasciato solo ad affrontare questo nuovo mondo,
ma è ammaestrato, aiutato e, sino a che non è capace di salvaguardarsi
da sé, protetto da coloro che più di lui sono esperti nelle cose del
mondo astrale. A poco a poco il nuovo veicolo di coscienza viene
completamente sotto il suo dominio e la vita nel piano astrale diventa
tanto naturale e familiare come la vita nel piano fisico.
Il terzo veicolo di coscienza, il corpo mentale, non è mai, od in ogni
caso ben raramente, vivificato per un’attività indipendente senza la
diretta istruzione di un Maestro: nel presente stadio di evoluzione il
suo funzionamento appartiene alla vita del discepolo 2. Come abbiamo
già veduto, questo corpo viene riordinato per poter funzionare
separatamente nel piano mentale 3, ed anche qui sono necessari studio
ed esperienza prima che esso sia ridotto interamente sotto il dominio
del suo possessore. Un fatto comune a questi tre veicoli di coscienza,
ma che può forse con maggior facilità trarre in inganno quando si
tratta dei corpi più sottili, perché allora è generalmente
dimenticato, mentre nel corpo più denso è tanto ovvio che non può
essere trascurato, è quello che tutti sono soggetti ad evolvere e che
con l’evoluzione superiore aumentano i loro poteri di ricevere
vibrazioni e di rispondervi.
Quale maggior numero di tinte non vede un occhio educato in confronto
ad uno che non lo sia; quante note armoniche non sente un orecchio
esperto, dove un orecchio inesperto non percepisce che la sola nota
fondamentale! A misura che i sensi fisici si affinano, il mondo si fa
più pieno, e mentre il contadino non vede che il suo aratro e il
solco, la mente colta è cosciente di un infinito numero di forme e di
colori squisiti, dei canti e dei graziosi movimenti di tutti gli
esseri e di tutte le fragranze del campo e della foresta, dei gloriosi
tramonti infuocati e dei giuochi splendidi di luce e d’ombra sulle
pendici dei monti. Ora, sia il contadino che l’uomo dalla mente colta
hanno occhi, hanno cervello, eppure che differenza nei poteri di
percezione!
Lo stesso accade in altri mondi: quando i corpi astrale e mentale
cominciano a funzionare quali veicoli di coscienza separati, essi si
trovano, per così dire, nello stadio contadinesco di ricettività, e
quelli che riescono a farsi strada nella coscienza non sono che
frammenti dei mondi astrale e mentale coi loro fenomeni strani ed
illusori; ma questi corpi si sviluppano rapidamente, trasmettendo alla
coscienza un riflesso sempre più esatto ed esteso dell’ambiente che li
circonda. Però anche in questi piani, come ovunque del resto, non è la
nostra conoscenza che segna i limiti dei poteri della Natura; e si
ricordi che nei mondi astrale e mentale, non meno che nel fisico, noi
siamo ancora dei bambini che stiamo raccogliendo alcune poche
conchiglie rigettate dalle onde, mentre i tesori nascosti nell’oceano
rimangono inesplorati.
La vivificazione del corpo causale come veicolo di coscienza segue, a
suo tempo, quella del corpo mentale ed apre all’uomo uno stato di
coscienza ancora più meraviglioso, che si estende da un passato
illimitato al lontano avvenire. Il Pensatore non soltanto possiede
allora la memoria del proprio passato che gli permette di seguire il
suo sviluppo attraverso la lunga successione di vite entro e fuori
dalla carne, ma potrà anche riandare a volontà su tutto il passato
della terra ed imparare le gravi lezioni dell’esperienza del mondo,
studiando le leggi nascoste che guidano l’evoluzione ed i profondi
segreti della vita celati nel seno della Natura. In questo elevato
veicolo di coscienza l’uomo può salire sino ad Iside e sollevare un
lembo del suo velo, perché allora può affrontare l’occhio della dea
senza restare accecato dal suo sguardo abbagliante, e nel fulgore che
da lei emana può vedere col cuore pieno di compassione profonda,
invece che d’impotente angoscia, le cause e la fine del dolore del
mondo. Forza, calma e sapienza affluiscono a coloro che si servono del
corpo causale come veicolo di coscienza, e contemplano con gli occhi
aperti la gloria della Buona Legge.
Quando il corpo buddhico è vivificato come veicolo di coscienza,
l’uomo entra nella beatitudine della non-separatività e conosce per
una piena e vivida constatazione la sua unità con tutto ciò che è.
Come nel corpo causale l’elemento predominante della coscienza è la
cognizione e da ultimo la sapienza, così nel corpo buddhico gli
elementi predominanti sono la beatitudine e l’amore. La serenità che
viene dalla sapienza è la caratteristica principale dell’uno, la più
tenera compassione sgorga dall’altro come da fonte inesauribile; e
quando a queste due si aggiunge la forza calma e divina che segna il
funzionamento di Atmà, allora l’umanità sì è divinizzata, e l’uomo-Dio
è manifesto in tutta la pienezza dei suoi poteri, della sua sapienza,
del suo amore.
Il passaggio ai veicoli inferiori della parte di coscienza
appartenente ai veicoli superiori che quelli sono capaci di ricevere,
non segue immediatamente la successiva vivificazione dei veicoli. In
ciò gli individui differiscono assai uno dall’altro, a seconda delle
loro circostanze e del loro lavoro, poiché questa vivificazione dai
corpi superiori al corpo fisico raramente ha luogo prima che
l’individuo abbia raggiunto quello che si chiama il noviziato del
discepolo 1, nel qual caso i doveri da compiere dipendono dai bisogni
del momento. Al discepolo, come anche all’aspirante, viene insegnato a
tenere i propri poteri interamente al servizio del mondo, e la
partecipazione della coscienza inferiore alla conoscenza di quella
superiore è, nella maggior parte dei casi, determinata dai bisogni del
lavoro nel quale il discepolo è impegnato. Siccome molto di questo
lavoro si compie solo nei piani superiori, è necessario che il
discepolo abbia il pieno uso dei suoi veicoli di coscienza in quei
piani; ma, quanto al trasmettere una conoscenza di quel lavoro al
veicolo fisico, il quale non vi è per nulla interessato, è cosa di
nessuna importanza ed ha luogo o no a seconda degli effetti che può
portare sull’efficacia del lavoro del discepolo nel piano fisico.
Lo sforzo del corpo fisico, quando la coscienza superiore lo costringe
a vibrare in maniera responsiva, è assai grande al presente stadio di
evoluzione, e a meno che le circostanze esterne siano molto
favorevoli, esso può produrre dei disturbi nervosi o una
soprasensibilità con tutti i mali concomitanti. Per tale ragione la
maggior parte di quelli che posseggono pienamente vivificati i veicoli
superiori di coscienza dei quali il più importante lavoro si compie
fuori del corpo, si appartano dalla vita affaccendata degli uomini,
quando desiderano far passare nella coscienza fisica la conoscenza di
cui fanno uso nei piani più alti, preservando in tal modo il sensibile
loro corpo fisico dalle scosse violente della vita ordinaria.
Per prepararsi a ricevere nel corpo fisico le vibrazioni della
coscienza più alta occorre principalmente: la purificazione di quel
veicolo dai materiali più grossolani per mezzo di alimenti puri e di
una vita pura; il completo dominio sulle passioni, coltivando
l’equanimità e l’equilibrio del carattere e della mente, per modo che
non siano toccati dal tumulto e dalle vicissitudini della vita
esterna; l’abitudine di una meditazione calma su argomenti sublimi,
distogliendo la mente dagli oggetti dei sensi e dalle immagini mentali
da essi provocate, fissandola invece su cose più elevate; la
cessazione di ogni agitazione, specialmente quella irrequieta,
eccitabile agitazione della mente che tiene il cervello in continuo
lavoro e lo fa volare senza posa da un soggetto all’altro; l’amore
reale per le cose del mondo superiore, il quale le rende più attraenti
degli oggetti del mondo inferiore, così che la mente dimori contenta
in loro compagnia, come in quella di un carissimo amico. In realtà
questa preparazione è molto simile a quella richiesta per la
separazione cosciente dell’ “anima” dal “corpo”, e che io esposi
altrove nei seguenti termini:
“Lo studioso deve cominciare col praticare un’estrema temperanza in
tutte le cose, coltivando uno stato di mente sereno ed uguale; la sua
vita deve essere pura e così anche i suoi pensieri, il suo corpo
sottomesso rigorosamente all’anima, e la sua mente educata ad
occuparsi di soggetti nobili ed elevati; egli deve praticare
abitualmente la compassione, la simpatia, l’aiuto agli altri,
indifferente ai dolori o alle gioie che riguardano lui solo, e deve
coltivare il coraggio, la fermezza e la devozione. Insomma egli deve
avere la religione e la morale delle quali la maggior parte delle
persone parla soltanto.
“Avendo imparato per mezzo di una pratica perseverante a padroneggiare
la sua mente tanto da poterla tenere fissa per un poco di tempo sopra
una sola linea di pensiero, ne principierà l’educazione più faticosa
di una concentrazione giornaliera sopra qualche oggetto difficile od
astratto, ovvero su di un oggetto elevato di devozione; questa
concentrazione significa fissare fermamente la mente sopra un punto
singolo, senza vagare qua e là e senza cedere alle distrazioni
cagionate da oggetti esterni per l’attività dei sensi, o per quella
della mente stessa. La quale deve essere costretta ad una irremovibile
fermezza e fissità, finché gradatamente imparerà così bene a ritirare
la sua attenzione dal mondo esterno e dal corpo, che i sensi
rimarranno calmi e tranquilli mentre la mente è intensamente sveglia
con tutte le sue energie ritirate all’interno, pronte ad essere spinte
verso un dato punto di pensiero, il più alto a cui essa possa
arrivare. Quando la mente sa mantenersi in questo stato con relativa
facilità, è pronta per fare un altro passo avanti, e per mezzo di uno
sforzo calmo, ma forte, della volontà essa può spingersi oltre il
pensiero più elevato che è capace di raggiungere lavorando nel
cervello fisico, ed in quello sforzo si solleverà fino alla coscienza
superiore unendosi ad essa e ritrovandosi libera dal corpo.
“Quando ciò accade, non c’è senso di sonno o di sogno, né si avverte
alcuna perdita di coscienza: l’uomo si trova fuori del corpo, come se
si fosse liberato semplicemente da un grave peso e non come se avesse
perduto una parte di sé; egli non è in realtà ” disincarnato”, bensì
si è sollevato fuori del suo corpo fisico in “un corpo luminoso”, che
obbedisce ad ogni suo menomo pensiero ed è per lui uno strumento
bellissimo e perfetto della sua volontà. In questo egli è libero nei
mondi sottili, ma sarà necessario che egli educhi a lungo e con cura
le sue facoltà per poter compiere un lavoro attendibile nelle nuove
condizioni.
“La liberazione dal corpo si può ottenere in altri modi: con
l’intensità estatica della devozione, o con metodi speciali che
possono essere impartiti da un grande maestro al suo discepolo.
Qualunque sia la via, la méta è una: rendere l’anima libera in piena
coscienza, capace di esaminare il nuovo ambiente in regioni che sono
fuori dalla portata dell’uomo di carne. A sua volontà può ritornare al
corpo e rientrare in esso, e in queste circostanze può imprimere sul
cervello fisico, e così ritenere mentre si trova nel corpo, la memoria
delle esperienze attraversate.”
***
Chi ha ben compreso le idee principali abbozzate nelle precedenti
pagine, sentirà certamente che quelle idee sono di per se stesse la
prova più forte che la reincarnazione è un fatto di natura, fatto
necessario affinché il grandioso lavoro implicato nelle parole
“evoluzione dell’anima” possa compiersi. Lasciando per il momento da
parte l’idea materialistica che l’anima sia unicamente l’aggregato
delle vibrazioni di un genere particolare di materia fisica, la sola
alternativa che resta, dopo rifiutata la reincarnazione, è che ogni
anima sia una creazione nuova, fatta al momento in cui il bimbo nasce,
e dotata di tendenze buone o cattive, di abilità o di incapacità, dal
capriccio arbitrario del potere creatore. Come direbbero i Maomettani,
l’uomo nasce col proprio fato legato al collo, perché il fato di un
uomo dipende dal suo carattere e dal suo ambiente, e un’anima, gettata
nel mondo appena creata, deve essere votata alla felicità o al dolore
a seconda delle circostanze ambientali e del carattere impostole. La
predestinazione nella sua forma più offensiva è dunque l’alternativa
della reincarnazione.
Invece di considerare l’uomo come un essere in via di lenta
evoluzione, per la quale il crudele selvaggio di oggi svilupperà col
tempo le più nobili qualità del santo e dell’eroe, ed invece di vedere
così nel mondo un processo evolutivo saggiamente ideato e saggiamente
diretto, saremmo obbligati a scorgere in esso un caos di esseri
senzienti trattati nella maniera più ingiusta, ai quali un potere
esterno, non ispirato né da giustizia, né da pietà, distribuisce a suo
arbitrio felicità o dolore, sapere od ignoranza, virtù o vizio,
ricchezza o miseria, genio od idiotismo,… un vero pandemonio
irrazionale e senza significato. E questo caos vien supposto essere la
parte più elevata di un cosmo, le cui regioni inferiori manifestano
tutta l’azione meravigliosa ed ordinata di una legge che sempre evolve
forme più alte e più complesse da altre inferiori e più semplici, di
una legge che evidentemente tende alla giustizia, all’armonia, alla
bellezza.
Se poi si ammette che l’anima del selvaggio è destinata a vivere e a
progredire e che, invece che condannata in eterno al suo presente
stadio infantile, compirà la sua evoluzione dopo la morte ed in altri
mondi, allora il principio dell’evoluzione dell’anima è ammesso e sola
rimane la questione del luogo. Se tutte le anime sulla terra fossero
allo stesso punto di evoluzione, molto si potrebbe dire a favore
dell’ipotesi secondo la quale altri mondi sono necessari per
l’evoluzione di anime al di là dello stadio infantile. Ma attorno a
noi abbiamo delle anime assai avanzate che nacquero con nobili qualità
mentali e morali, e perciò stando a quell’ipotesi dovremmo supporre
che prima della loro unica nascita in questo mondo tali anime si siano
evolute in altri. Ma se così fosse non potrebbe non stupire il fatto
che una terra, la quale offre delle condizioni svariatissime adatte
tanto per le anime poco sviluppate quanto per quelle avanzate,
dovrebbe essere una sola volta e di volo visitata da anime ad ogni
stadio di sviluppo, delle quali la rimanente evoluzione avverrebbe poi
in mondi simili al nostro e come il nostro capaci di fornire tutte le
condizioni necessarie alle anime a vario grado di sviluppo, quali
appunto si mostrano essere alla loro nascita quaggiù.
La Sapienza Antica insegna bensì che l’anima progredisce passando per
più mondi, ma insegna pure che in ognuno di questi essa si reincarna
ripetutamente finché non abbia completata l’evoluzione possibile in
quel mondo. Quei mondi poi, secondo i suoi insegnamenti formano una
catena evoluzionistica, nella quale ognuno di essi funziona come campo
per alcuni stadi di evoluzione. Il nostro globo offre un campo adatto
per l’evoluzione dei regni minerali, vegetale, animale ed umano, e
perciò le reincarnazioni collettive o individuali hanno luogo su di
esso in tutti questi regni. Certamente una evoluzione ulteriore ci
aspetta in altri mondi, ma secondo l’ordine divino questi non si
schiuderanno a noi, se prima non avremo perfettamente imparate le
lezioni che il nostro ha da insegnarci.
Studiando il mondo che ci circonda, troviamo che da più linee di
pensiero siamo condotti all’idea della reincarnazione. Notammo già
come le immense differenze che separano uomo da uomo implichino un
passato evolutivo dietro ogni anima, e come le medesime differenzino
la reincarnazione individuale degli uomini, i quali appartengono tutti
ad un’unica specie, dalla reincarnazione delle anime monadiche di
gruppo nei regni inferiori. Le differenze relativamente piccole che
distinguono i corpi fisici degli uomini, i quali tutti sono
esternamente riconoscibili per uomini, non sono proporzionate alle
immense differenze che per qualità morali e mentali passano tra il
selvaggio più arretrato e il tipo umano più nobile. I selvaggi hanno
spesso uno splendido sviluppo ed una grande capacità cranica; eppure
quanto diverse sono le loro menti da quella del filosofo o del santo!
Se consideriamo le qualità morali e mentali come risultati accumulati
del vivere civile, ci troviamo di fronte al fatto che gli uomini più
abili del giorno d’oggi sono sorpassati dai giganti intellettuali del
passato, e che nessuno ai nostri tempi raggiunge l’attitudine morale
di alcuni santi storici. Inoltre dobbiamo considerare che il genio non
ha né padre né figlio, che si manifesta improvvisamente e non come
coronamento di una famiglia che si è andata gradatamente
perfezionando, che generalmente è sterile, o se ha figli, questi sono
figli del corpo, non della mente. Ancor più significante è il fatto
che un genio musicale nasce, nella maggior parte dei casi, in una
famiglia musicale, perché quella forma di genio ha bisogno di una
speciale organizzazione nervosa per manifestarsi, e l’organizzazione
nervosa cade sotto la legge di eredità. Ma quanto spesso il compito di
tale famiglia sembra finito quando ha provvisto il corpo ad un genio,
e come essa in poche generazioni si perde nell’oscurità dell’umanità
comune! Forse che i discendenti di Bach, di Beethoven, di Mozart, di
Mendelssohn furono eguali a quei sommi dell’arte? La verità è che il
genio non viene trasmesso di padre in figlio, come i tipi fisici di
famiglia degli Stuart e dei Borboni.
Come si possono spiegare i “fanciulli prodigio” se non con la
reincarnazione? Prendete ad esempio il caso del bambino che fu poi il
dottor Young, lo scopritore della teoria ondulatoria della luce, un
uomo la cui grandezza non è forse ancora universalmente riconosciuta.
All’età di due anni egli leggeva “abbastanza correntemente”, e prima
di compiere i quattro anni aveva letto per intero la Bibbia due volte;
a sette anni cominciò a studiare aritmetica, e qualche anno dopo lo
troviamo nella scuola, conoscitore sicuro delle lingue latina, greca,
ebraica, francese, italiana, delle matematiche, del restauro dei
libri, dell’uso e costruzione del telescopio, nonché cultore
appassionato di letteratura orientale. A quattordici anni doveva
essere affidato, insieme ad un altro ragazzo più giovane di lui di un
anno e mezzo, alle cura di un precettore privato, ma avendo questi
mancato all’impegno, lo Young stesso fece da maestro al suo compagno
Sir William Rowan Hamilton mostrò delle facoltà anche più precoci.
Aveva appena tre anni quando cominciò a studiare l’ebraico, e a sette
anni, da uno dei Membri del Collegio della Trinità di Dublino fu detto
possedere della lingua ebraica una conoscenza assai più profonda di
quella di molti candidati di quel Collegio. A tredici anni conosceva
almeno tredici lingue, fra le quali, oltre le classiche e le europee
moderne, erano inclusi anche il persiano, l’arabo, il sanscrito,
l’indostano e persino il malese. A quattordici anni scriveva una
lettera di complimenti all’ambasciatore di Persia che visitava allora
Dublino; quest’ultimo dichiarò che non avrebbe mai supposto vi fosse
in Gran Bretagna una persona capace di scrivere un tale
1 Vita del dott. Tommaso Young di G. Peacock.
135
documento in lingua persiana”. Un suo parente dice: “Io lo ricordo
bambino di sei anni, quando, dopo aver risposto ad una difficile
questione di matematica, correva allegramente a giocare col suo
carrettino. A dodici anni sfidò Colburn il fanciullo calcolatore
americano, presentato allora al pubblico di Dublino come curiosità, e
non sempre ebbe la peggio”. Nel 1823, avendo egli diciotto anni, il
Dr. Brinkley (Astronomo Reale d’Irlanda) disse di lui: “Questo
giovane, non dico sarà, ma è il primo matematico del suo tempo”. “In
collegio la sua carriera fu, si può dire, senza confronti. Fra una
quantità di competitori di merito superiore all’ordinario, egli fu
sempre il primo in ogni materia ed in ogni esame.” 1
Lo studioso paragoni ora questi fanciulli con un semi-idiota od anche
con un ragazzo comune; noti come essi, dotati di vantaggi così grandi,
diventino poi i duci del pensiero, e si domandi quindi se è possibile
che tali anime non abbiano un passato dietro di loro.
Le somiglianze di famiglia vengono generalmente spiegate con “la legge
di ereditarietà” ; ma delle differenze nel carattere mentale e morale
che continuamente si riscontrano nella cerchia di una stessa famiglia,
nulla si dice. La reincarnazione spiega le somiglianze col fatto che
un’anima nel rinascere viene diretta verso una famiglia che le
provvede, per mezzo dell’eredità fisica, un corpo adatto ad esprimere
le sue caratteristiche; e spiega pure le differenze con l’attribuire
il carattere mentale e morale all’individuo stesso, pure mostrando che
dei vincoli contratti in passato lo hanno condotto a rinascere a
contatto di qualche altro individuo di quella stessa famiglia . Una
cosa molto significativa, nel caso di gemelli, è che spesso durante
l’infanzia essi si rassomigliano tanto che neppure l’occhio della
madre o della nutrice riesce a distinguerli; ma più tardi il Manas,
quando ha esercitato la sua influenza sul veicolo fisico, lo avrà
modificato in modo che la somiglianza fisica diminuisce e le
differenze di carattere si imprimono sulle mobili fattezze3.
La somiglianza fisica con dissomiglianze mentali e morali sembra
implicare l’incontro di due differenti linee di cause.
La spiccata dissomiglianza che fra persone di poteri intellettuali
presso che uguali esiste nell’assimilare dei generi particolari di
cognizioni, è un altro fatto che depone in favore della
reincarnazione. Una verità viene riconosciuta subito da uno, mentre
l’altro non giunge ad afferrarla anche dopo lunga ed accurata
osservazione; e viceversa, se si presenti loro un’altra verità, questa
viene compresa immediatamente dal secondo e non ha valore per il
primo. “Due studiosi si sentono attratti dalla Teosofia e cominciano a
studiarla; dopo un anno uno si è miliarizzato con i suoi concetti
fondamentali e può applicarli, l’altro si dibatte in un labirinto. Per
l’uno ogni principio pare familiare fin dal primo momento; all’altro
riesce nuovo, inintelligibile, strano. Chi crede nella reincarnazione
comprende che l’insegnamento è vecchio per l’uno, nuovo per l’altro;
il primo impara rapidamente perché ricorda, cioè non fa che richiamare
alla mente cognizioni passate; l’altro impara lentamente perché la sua
esperienza non ha incluso queste verità di natura e le sta acquisendo
penosamente per la prima volta.” 1 Così pure l’intuizione ordinaria è
“il semplice riconoscimento di un fatto che era familiare in una vita
trascorsa, benché in questa si presenti per la prima volta” 2, ed in
ciò abbiamo un altro segno della via percorsa dall’individuo nel
passato.
La maggior difficoltà che molte persone provano ad accettare la
dottrina della reincarnazione, è l’assenza di memoria del passato.
Pure accade loro giornalmente di constatare che hanno dimenticato
moltissime cose della loro vita nei corpi attuali, e che i primi anni
della fanciullezza sono velati e confusi e quelli dell’infanzia
addirittura vuoti. E devono anche sapere che taluni eventi passati,
sfuggiti alla loro coscienza normale, sono tuttavia nascosti nelle
cavità recondite della memoria, donde, durante alcune malattie o sotto
l’azione del mesmerismo, possono alle volte esser ricordati nuovamente
ed in maniera vividissima. Si sa di uno che, moribondo, parlò una
lingua udita solo nella sua infanzia ed ignorata poi per tutta una
lunga esistenza; nel delirio, eventi da lungo tempo dimenticati si
sono presentati lucidamente alla coscienza. In realtà nulla si
dimentica; ma molto viene celato alla visione limitata della nostra
coscienza di veglia, che è la forma più ristretta di coscienza, benché
sia la sola riconosciuta dalla grande maggioranza.
Allo stesso modo che una parte della vita presente è ritirata fuori
della portata di questa coscienza di veglia, e si ripresenta soltanto
nei momenti in cui il cervello per iperestesia è capace di rispondere
a vibrazioni che di solito lo colpiscono inosservate, così pure la
memoria delle vite passate giace accumulata fuori della portata della
coscienza fisica. Essa si trova tutta col Pensatore, il quale solo
persiste di vita in vita; egli ha a sua disposizione l’intero libro
della memoria, perché è il solo “Io” che abbia attraversato tutte le
esperienze registrate in quel libro. Il Pensatore può anche imprimere
questi suoi ricordi del passato sul veicolo fisico, non appena questo
sia stato abbastanza purificato da poter rispondere alle sue rapide e
sottili vibrazioni; ed è allora che anche all’uomo di carne è dato
partecipare alla conoscenza del passato accumulato. La difficoltà
della memoria non sta nel dimenticare poiché il veicolo inferiore, il
corpo fisico, non è mai passato attraverso le precedenti vite del suo
possessore; ma sta
piuttosto nell’essere il corpo attuale assorbito nel suo presente
ambiente, sta nella mancata responsività ai delicati fremiti coi quali
solo l’anima può parlare. Coloro dunque che vogliono ricordare il
passato, debbono non accentrare i loro interessi nel presente, ma
purificare e raffinare il corpo, finché questo sia capace di ricevere
impressioni dai mondi più sottili.
La memoria delle vite passate è posseduta pure da un considerevole
numero di persone, che sono arrivate ad ottenere la necessaria
sensibilità dell’organismo fisico: per esse la reincarnazione
naturalmente non è più una teoria, ma è divenuta un fatto di
conoscenza personale. Esse hanno imparato quanto più ricca diventi la
vita allorché vi affluiscono le memorie di trascorse esistenze,
allorché gli amici di questa breve ora quaggiù sono riconosciuti per
gli amici di molto tempo addietro e gli antichi ricordi rafforzano i
legami del fuggevole presente. La vita guadagna in sicurezza e
dignità, quando è veduta attraverso le lunghe età trascorse, quando
gli affetti di una volta riappaiono negli affetti di oggidì. La morte
prende allora il suo vero posto come un semplice incidente nella vita,
simile al mutamento di una scena ad un’altra, simile ad un viaggio che
separa i corpi, ma che non può dividere l’amico dall’amico. Gli anelli
del presente si trovano essere parte di un’aurea catena che si estende
nel passato ed il futuro può essere affrontato con una calma serena
nella certezza che questi anelli dureranno per tutti i tempi avvenire
e formeranno parte di quella ininterrotta catena.
Di quando in quando si dà il caso di bambini che hanno memoria del
loro passato immediato, specialmente se nella vita precedente morirono
nell’infanzia e rinacquero quasi immediatamente. In Occidente tali
casi sono più rari che in Oriente, perché là le prime parole di un
simile fanciullo non incontrerebbero che incredulità, ed egli stesso
finirebbe per non prestar fede ai suoi ricordi. In Oriente, dove la
credenza nella reincarnazione è quasi universale, si ascoltano con
attenzione i ricordi del bambino e quando se ne presenti l’opportunità
se ne verifica l’esattezza.
Nei riguardi della memoria vi è un altro punto importante che merita
di esser tenuto in considerazione. Come abbiamo visto, la memoria
degli eventi passati rimane solo col Pensatore, ma i loro risultati,
trasformati in facoltà, sono a servizio dell’uomo inferiore. Se il
complesso di questi eventi passati fosse gettato dentro il cervello
fisico, simile ad una grande massa di esperienze non ordinate né
classificate, l’uomo non potrebbe essere guidato dai risultati del
passato, né servirsene di aiuto per il presente. Costretto a scegliere
tra due linee di azione, egli dovrebbe estrarre da quella massa
confusa di fatti degli eventi di natura analoga al caso attuale,
rintracciarne i risultati e, dopo un lungo e penoso studio, giungere
ad una qualche conclusione che, molto probabilmente potrebbe essere
viziata dall’aver trascurato qualche fattore importante ed alla quale
arriverà quando il bisogno di una decisione sarà passato da molto
tempo. Tutti gli eventi, banali ed importanti, di centinaia di vite
formeranno una massa parecchio intricata e caotica a cui sarà
difficile riferirsi in un’emergenza qualsiasi che richieda una pronta
decisione.
Il metodo assai più efficace della Natura lascia al Pensatore la
memoria degli eventi e provvede al corpo mentale un lungo periodo di
esistenza disincarnata, durante il quale tutti gli eventi vengono
coordinati, paragonati e classificati: i loro risultati vengono
trasformati in facoltà e queste formano poi il futuro corpo mentale
del Pensatore. In tal modo quelle facoltà aumentate e migliorate sono
pronte per un uso immediato, e contenendo esse i risultati del
passato, una decisione risulterà in accordo con essi e potrà esser
presa senza alcun indugio. La percezione rapida e chiara, il giudizio
pronto non sono altro che il prodotto di esperienze passate, modellate
in una forma pratica ed efficace all’uso; queste facoltà sono senza
dubbio degli strumenti più utili di quel che non sarebbe una massa di
esperienze non assimilate, dalla quale ad ogni occasione si dovessero
scegliere tutti i fatti rilevanti e paragonarli fra loro onde trarne
le necessarie induzioni.
Però da tutte queste linee di pensiero la mente ritorna e si acquieta
nella necessità fondamentale della reincarnazione, come quella che
rende intelligibile la vita e non fa della impotente creatura umana un
trastullo dell’ingiustizia e della crudeltà. Con la reincarnazione la
dignità dell’uomo viene rialzata, ed egli appare quale un essere
immortale che evolve verso un fine divinamente glorioso; senza di essa
non è che un fuscello travolto dal torrente impetuoso di circostanze
casuali, irresponsabile quindi del suo carattere, delle sue azioni,
del suo destino. Con la reincarnazione egli può guardare con intrepida
speranza innanzi a sé, per quanto si trovi oggi in basso sulla scala
dell’evoluzione, poiché egli è pur sempre sulla scala che conduce alla
divinità, e l’arrivare fino alla sua cima non è che questione di
tempo; senza la reincarnazione invece egli non può avere non solo una
certezza ragionevole di progresso nel suo avvenire, ma neppure una
certezza di un avvenire qualsiasi. Perché una creatura senza passato
dovrebbe avere innanzi a sé un futuro? Egli può ben essere una
semplice bolla venuta a galla sull’oceano del tempo. Lanciato nel
mondo dal nulla, con qualità buone o cattive date a lui senza ragione
né merito, perché dovrebbe lottare per farne il miglior uso possibile?
Non sarà forse il suo futuro, se pure ne ha uno, così isolato, senza
cause, senza relazioni, come il suo presente? Col sopprimere la
reincarnazione dalle sue credenze, il mondo moderno ha tolto a Dio la
Sua giustizia ed all’uomo la sicurezza; questi potrà essere fortunato
o sfortunato, ma la forza e la dignità conferite dalla fiducia in una
legge immutabile gli sono state strappate ed egli è stato lasciato a
dibattersi impotente in un impraticabile oceano di vita.
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