SCIENZA E VEDANTA – LA FORMA UMANA 1

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SCIENZA E VEDANTA – LA FORMA UMANA
E L’EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA (PARTE PRIMA)

A cura di Andrea Boni

Sommario

L’articolo si propone di investigare le strette connessioni che sussistono tra la Filosofia del
Vedanta e le teorie scientifiche che sono state formulate fino ad ora. Cercheremo quindi di spiegare
il Vedantasutra secondo una prospettiva scientifica. Il lavoro trae ispirazione da una serie di
lezioni tenute da Marco Ferrini (HG Matsyavatara Dasa), da suoi saggi e libri scritti sul tema e
riportati in bibliografia da una serie di articoli pubblicati sulla rivista Savijnanam del
Bhaktivedanta Institute, a cura di T.D. Singh (Bhaktisvarupa Damodara Swami), e da studi personali a
carattere scientifico e teologico approfonditi a seguito di Studi universitari, anni di ricerca
Accademica, e studi a carattere indologico svolti sotto la supervisione di Marco Ferrini. I
commentari al Vedantasutra presi in considerazione sono quelli di Ramanujacaraya, Nimbarcacarya,
Madhavacarya, Shankaracarya e soprattutto il commentario della sampradaya Gaudya-Vaishnava di
Baladeva Vidyabushana.

Fin dal primo sutra, il trattato di Badarayana indica l’importanza della forma umana per lo sviluppo
della coscienza. Per fare il salto decisivo, occorre infatti interrogarsi sulla natura ultima della
Realtà, ciò che viene definito Brahman, la Verità Assoluta, oltre nomi e forme del mondo fenomenico
(e illusorio). Tutti gli Acarya ci dicono che la chiave di comprensione del primo sutra è la
presenza di una conoscenza di base di ciò che è la coscienza e della sua evoluzione. La Coscienza
gioca infatti un ruolo centrale nel Vedanta. La frase di Cartesio “Penso, dunque sono”, costituisce
un buon punto di partenza per una discussione lucida e priva di pregiudizi sul fenomeno Coscienza;
da una prospettiva vedantica la frase può essere elaborata come: “aham brahmasmi” (Io sono il sé
spirituale).

Lo scopo di questo saggio è mettere in evidenza le strette relazioni che sussistono tra il vedanta e
la scienza, ed i legami tra Coscienza e materia, al fine di comprendere la verità spirituale che
sottende a tutti i fenomeni del mondo in continuo mutamento, ed avere così una prospettiva diversa
sul senso della vita.

Introduzione
I Vedanta Sutra di Badarayana sono contenuti in quattro Adhyaya o libri. Tra le sei scuole
filosofiche, o Shad Darshan, il Vedanta è sicuramente il più popolare ed il più studiato. I Sutra di
Badarayana, circa 560, sono così concisi e sintetici che senza un commentario sono molto difficili
da comprendere. E’ difficile trovare una connessione tra Sutra successivi e tra Sutra stessi.

Sutra letteralmente significa ‘filo, corda’. Il termine viene solitamente tradotto con ‘aforisma’,
vocabolo che però esprime solo in parte il significato di sutra: un aforisma vive di per sé, con una
sua autonomia ed una sua logica complete; un sutra estrapolato dal suo contesto è invece facilmente
travisabile in quanto vive collegato a quel che precede e a quel che lo segue. Nell’opera in esame
sutra indica un filo che collega tutti gli aforismi, la comprensione profonda di ciascuno dei quali
è talvolta impossibile senza lo studio dei precedenti e dei successivi. Sutra indica anche una
formula succinta, elaborata tuttavia ad un livello elevato di coscienza; per questo necessita di
essere spiegata da Maestro a discepolo attraverso i tradizionali bhashya, o commentari per poter
trascendere una comprensione di ordine puramente letterale-intellettuale e cogliere il più ampio
significato di questa formula tecnicamente sintetica.

Il sistema Vedanta, che indaga la natura della Verità assoluta (Brahman), è quello che più si
avvicina al concetto occidentale di teologia. Le dottrine teologiche di matrice vaishnava espresse
dai movimenti della Bhakti, fanno in genere riferimento a quella summa teoretica del massimo
prestigio che sono i Vedantasutra, unanimamente considerati la conclusione più elevata della logica
speculativa upanishadica e dunque dei Veda.

Vedanta ha tre significati principali. Il meno pregnante sta ad indicare che è l’opera ultima,
quella che porta a conclusione tutte le speculazioni contenute nelle Upanishad, armonizzandole e
proponendole al più alto livello. Il primo capitolo dei Vedantasutra esordisce infatti conciliando i
risultati della ricerca speculativa upanishadica, ed è il contenuto principale di questo testo. Un
significato più rilevante di Vedanta è quello di ‘fine dei Veda’: il contenuto dei Veda viene
infatti ripreso nei Vedantasutra e portato ad un livello superiore, del tutto trascendente rispetto
ai primi tre scopi umani o Purusha-artha; da qui l’accezione di Vedantasutra come ‘Verità Ultima’.
Mentre nei Veda sono riconciliabili tre categorie di interessi, rispettivamente relative agli atti
sacrificali, alla sapienza speculativa e al culto delle Divinità, i Vedantasutra trascendono quei
piani della realtà prettamente connessi alla materia (prakriti) Ciò non significa che negano la
materia, ma che la considerano uno strumento, una particolare modalità prodotta dalla Verità Ultima
e ad Essa funzionale.

Nell’interpretazione personalistica i Vedantasutra operano anche una sutura concettuale tra il mondo
dello Spirito e quello della Materia, evidenziando la loro identità nella differenza e con ciò
superando il monismo assoluto propugnato dalla scuola Mayavada.

Per quanto riguarda il terzo significato si conviene che le Upanishad (conosciute anche come
Vedanta) costituiscano la parte finale della Rivelazione Vedica.

Le molteplici interpretazioni dei Sutra di Badarayana hanno dato luogo alle diverse scuole del
Vedanta darshana, che si ripartiscono in due categorie principali: una di impronta impersonalistica,
l’altra di impronta personalistica. La prima è rappresentata dal Kevaladvaitavada, scuola del
rigoroso non-dualismo o monismo assoluto, fondata sul sistema teoretico Advaita-vedanta, il cui
principale codificatore è Shankara Acarya, famoso asceta e filosofo vissuto nel VII secolo d.C.,
autore di un gran numero di opere originali, tra cui il Bhajagovindam, nonché compilatore di
voluminosi bhashya relativi non soltanto ai Brahmasutra, ma anche alle principali Upanishad e alla
Bhagavad Gita. La scuola di Shankara è caratterizzata da un monismo radicale che nega l’esistenza
del mondo sensibile definendolo parvenza, illusione, sogno (per questo viene anche detta Mayavada),
e si fonda sulla dottrina del Brahman impersonale, privo di ogni qualità e attributo (nirguna e
nirvishesha Brahman).

Le scuole di impronta personalistica vanno invece sotto il nome di Vishishtadvaita, ‘monismo
differenziato’, e si sviluppano in quattrorami principali, tutte di matrice Vaishnava, e più
specificatamente appartenenti alla corrente Bhagavata. Le scuole del Vedanta Vaishnava, fondate su
di un rigoroso monoteismo e sulla devozione a Dio nella forma personale (Vishnu-Krishna), elaborano
in maniera approfondita tematiche relative a Dio, all’essere individuale, al tempo, alla natura e
alle loro reciproche relazioni.

Seppur in armonia tra loro, ogni scuola Vaishnava ha sviluppato una peculiare dottrina
filosofico-spirituale, un particolare rasa, o gusto, da cui deriva una relazione personale con Dio,
descritto nella letteratura Vedica come unico e Supremo, e al tempo stesso pienamente in grado di
reciprocare i sentimenti dei Suoi Devoti secondo le infinite modalità di Bhakti ad essi più consone.
Essendo il Vedantasutra un lavoro di esegetica, ci si aspetterebbero dei passaggi che sono spiegati,
ma difficilmente è possibile trovare un singolo Sutra che fornisca un riferimento univoco ad un
verso delle Upanishad. Il risultato è che vari commentatori hanno provato ad identificare dei
passaggi o ad immaginare quali testi costituiscono la materia di discussione principale di ogni
singolo Sutra. Il saggio Badarayana ha intenzionalmente costruito i Sutra in modo tale che possano
essere di applicazione universale, e in modo che non possano essere confinati ad una particolare
religione o testo. Essi contengono principi universali di religione e filosofia, validi in qualsiasi
epoca e non confinati alla sola letteratura Sacra Indiana. E’ importante assumere questo punto di
vista nella lettura e nell’interpretazione dei Sutra.

Vedanta ha tre significati principali. Il meno pregnante sta ad indicare che è l’opera ultima,
quella che porta a conclusione tutte le speculazioni contenute nelle Upanishad, armonizzandole e
proponendole al più alto livello. Il primo capitolo dei Vedantasutra esordisce infatti conciliando i
risultati della ricerca speculativa upanishadica, ed è il contenuto principale di questo testo. Un
significato più rilevante di Vedanta è quello di ‘fine dei Veda’: il contenuto dei Veda viene
infatti ripreso nei Vedantasutra e portato ad un livello superiore, del tutto trascendente rispetto
ai primi tre scopi umani o Purusha-artha; da qui l’accezione di Vedantasutra come ‘Verità Ultima’.
Mentre nei Veda sono riconciliabili tre categorie di interessi, rispettivamente relative agli atti
sacrificali, alla sapienza speculativa e al culto delle Divinità, i Vedantasutra trascendono quei
piani della realtà prettamente connessi alla prakriti. Ciò non significa che negano la materia, ma
che la considerano uno strumento, una particolare modalità prodotta dalla Verità Ultima e ad Essa
funzionale.
Per quanto riguarda il terzo significato si conviene che le Upanishad (conosciute anche come
Vedanta) costituiscano la parte finale della Rivelazione Vedica.

Le molteplici interpretazioni dei Sutra di Badarayana hanno dato luogo alle diverse scuole del
Vedanta darshana, che si ripartiscono in due categorie principali: una di impronta impersonalistica,
l’altra di impronta personalistica. La prima è rappresentata dal Kevaladvaitavada, scuola del
rigoroso non-dualismo o monismo assoluto, fondata sul sistema teoretico Advaita-vedanta, il cui
principale codificatore è Shankara Acarya, famoso e grande asceta e filosofo vissuto nel VII secolo
d.C., autore di un gran numero di opere originali, tra cui il Bhajagovindam, nonché compilatore di
voluminosi bhashya relativi non soltanto ai Brahmasutra, ma anche alle principali Upanishad e alla
Bhagavad Gita. La scuola di Shankara è caratterizzata da un monismo radicale che nega l’esistenza
del mondo sensibile definendolo parvenza, illusione, sogno (per questo viene anche detta Mayavada),
e si fonda sulla dottrina del Brahman impersonale, privo di ogni qualità e attributo (nirguna e
nirvishesha Brahman).

Le scuole di impronta personalistica vanno invece sotto il nome di Vishishtadvaita, ‘monismo
differenziato’, e si sviluppano in quattro rami principali, tutte di matrice Vaishnava, e più
specificatamente appartenenti alla corrente Bhagavata. Le scuole del Vedanta Vaishnava, fondate su
di un rigoroso monoteismo e sulal devozione a Dio nella forma personale (Vishnu-Krishna), elaborano
in maniera approfondita tematiche relative a Dio, all’essere individuale, al tempo, alla natura e
alle loro reciproche relazioni.

Seppur in armonia tra loro, ogni scuola Vaishnava ha sviluppato una peculiare dottrina
filosofico-spirituale, un particolare rasa, o gusto, da cui deriva una relazione personale con Dio,
descritto nella letteratura Vedica come unico e Supremo, e al tempo stesso pienamente in grado di
reciprocare i sentimenti dei Suoi Devoti secondo le infinite modalità di Bhakti ad essi più consone.

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